Pierangelo Sapegno per "La Stampa"
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«Perché lu fici? Perché?». La mamma di Loris lo chiedeva a se stessa, ma chissà se ce lo siamo sognati. Non riusciremo mai a capire un motivo per cui le mamme uccidono i loro bambini. Però lo fanno.
Sono 85 le creature con meno di un anno uccise in Italia dai genitori, dal 2002 al 2019, e 473 i figlicidi (indagine Eures). Sotto i sei anni, sono quasi sempre le madri a buttarci addosso queste scene di orrore.
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Mirko galleggiava a faccia in giù, sembrava una bambola di pezza dimenticata nell'acqua del bagno. Benedetta è morta lentamente, fra atroci dolori, dopo aver preso il diserbante che le aveva dato sua madre. Lei, Francesca Sbano, era stata appena abbandonata dal marito, bracciante agricolo di San Normanno (Brindisi), e dopo aver lasciato il flacone del veleno nel bidone della spazzatura, era andata sul balcone e s' era buttata giù dal terzo piano. C'era una lettera scritta a mano sopra il tavolo: «Vado via, porto mia figlia con me». Aveva fatto come Medea.
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Samuele lo trovarono con la testa spaccata nella villetta di Cogne.
È stata condannata sua madre, Anna Franzoni, che non ha mai confessato, e che tutto il paese attorno a lei, dal marito agli amici al prete, continua a ritenere innocente. Il più delle volte, invece, confessano. E scopriamo che sono loro le figure più tragiche, come se fossero donne di un altro mondo. E forse lo sono. Perché la vita non è sempre un buon affare, e ci sono tanti modi per scappare. Questo è il più terribile.
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Loris Stival era stato trovato in un canalone a 4 chilometri dalla scuola che frequentava, e la madre, Veronica Panariello, ne aveva denunciato la scomparsa collaborando con la polizia alle ricerche, fino a quando le prove e gli indizi non l'avevano inchiodata: era stata lei a ucciderlo e gettarlo senza mutandine in quello scarico d'acqua che passava fra i campi d'erba secca e qualche desolata trazzera sperduta sotto il sole. In un video, Veronica si metteva le mani nei capelli: «Perché lu fici? Perché?». Nel maggio 2002 a Valfurva, Loretta Zen uccise la piccola Vittoria, di 8 mesi, dopo averla messa nel cestello della lavatrice e fatto partire il lavaggio, come se volesse cancellarla.
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A Vieste, nel luglio 2004, Giuseppina Di Bitonto soffocò i figli di due e 4 anni tappando loro la bocca con il nastro adesivo. Poi si tolse la vita nello stesso modo. Mery Patrizio annegò nella vasca da bagno il suo piccolo Mirko di cinque anni e lo confessò solo dopo 15 giorni passati a inventarsi la storia di fantomatici ladri che li avevano aggrediti nella loro casa in provincia di Lecco. Aveva organizzato meticolosamente tutta la scena, cercando di curarla nei minimi dettagli e s' era fatta trovare pure legata e imbavagliata.
Dagli archivi Mediaset spuntò un book fotografico di una Mery più giovane di qualche anno in pose da diva, e i giornali si buttarono a pesce morto sui suoi sogni infranti di aspirante velina, spazzati via dalla sua nuova dimensione di mamma e sposa. Non è vero che le cattive ragazze vanno dappertutto. E noi facciamo fatica a riconoscere un'umanità sconfitta anche in quelle donne che compiono un gesto contro natura, uccidendo barbaramente la vita che hanno creato.
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Ma qualche volta sono vittime pure loro, distrutte proprio dalla loro stessa follia, dall'insostenibile fardello della normalità. La vita non è sempre un buon affare.
Quelle immagini, Mery le aveva mandate a Mediaset solo per avere un posto tra il pubblico alla Ruota della Fortuna. In realtà, dietro il suo timido sorriso e i capelli biondi, aveva avuto un'infanzia difficile con una madre malata di depressione e da ragazza quel ruolo di bella del paese l'aveva vissuto quasi come un illusorio riscatto, prima di cercare un'identità diversa per trovare un posto in mezzo a noi, e innamorarsi, e sposarsi, come tutte le belle ragazze dei paesi, e accettare dopo 5 anni di matrimonio l'idea della maternità, per affrontare un parto difficile e poi quel senso di inadeguatezza e la fatica di allevare un bambino che amava senza capire perché.
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Quando confessò disse: «L'ho ucciso io. Ma lo amavo. Lo amavo più di me». Mery è finita in un ospedale psichiatrico a Castiglione delle Stiviere, dove hanno ricoverato anche Aisha Christine Eulodie Coulibaly, una mamma ivoriana di Abbadia Lariana che il 25 ottobre del 2013 aveva ucciso il suo bambino più piccolo, Nicolò, di appena 3 anni, con un colpo di forbice dritto al cuore. Aisha diceva che non sapeva perché l'aveva fatto. L'aveva ucciso come fosse una figurina. Era bastato un solo fendente.
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Qualcuno può spiegare perché? Nella mitologia, la prima madre assassina è Medea che sposa Giasone e mette al mondo dei bambini che poi uccide per vendicarsi del marito che l'aveva lasciata perché si era innamorato di un'altra. Nelle madri Medea, sostiene lo psicologo Stefano Becagli, «si riscontra una metamorfosi crudele. La felicità della maternità non è più quella di donare la vita, bensì unicamente quella di possedere un figlio ideale». Il figlio viene percepito come un oggetto, e non come un individuo e la prosecuzione del proprio corpo a cui hai dato la vita. Gli esperti ci hanno sempre spiegato che la maternità in alcuni casi produce un'ansia invasiva, che rischia di sfociare in uno stato di depressione capace di generare pulsioni aggressive incontrollabili.
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L'equilibrio fisico e psicologico delle neomadri viene stravolto da ritmi ed esigenze che non corrispondono più ai suoi bisogni, fino a generare depressioni post partum o esplodere in vere e proprie psicosi. Nelle confessioni delle mamme assassine si ritrovano molte volte gli stessi deliri, «sentivo le voci che mi dicevano di ucciderlo», «ho dovuto farlo per salvarlo dalla vita». Ma la vita che pensavano di salvare era quella loro. Non quella del bambino. Hanno ucciso tutt' e due le vite. È l'unica cosa che abbiamo capito.
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