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    L’ESERCITO DELLE MAMME-NONNE - IN ITALIA, NEL 2015, SONO NATI PIU’ DI 12 MILA BAMBINI CON LA PROCREAZIONE ASSISTITA - LE ITALIANE CHE VOGLIONO UN FIGLIO A TUTTI I COSTI SONO LE PIU’ ANZIANE DELL’UNIONE EUROPEA 


     
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    Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”

     

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    In Italia, in un anno solo, sono nati 12.836 bambini grazie alla procreazione medicalmente assistita. Più di 12mila piccoli riempiono uno stadio di medie dimensioni: è come se all' arena di Lucca o sugli spalti di Como al posto delle seggiole dei tifosi ci fosse un pieno di culle. Non è solo una questione di provette e camici bianchi. Nel 2015, raccontano gli ultimi dati disponibili del ministero della Sanità, il 2,6% dei genitori italiani è ricorso alla procreazione assistita (le pma, come abbreviano gli addetti ai lavori) e i cicli di trattamento iniziati superavano le 95mila unità raggiungendo qualcosa come 74mila coppie.

     

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    Tra trattamenti di primo livello come l' inseminazione intrauterina e tecniche di secondo e terzo (la fecondazione in vitro e l' iniezione Icsi di un singolo spermatozoo, il transfer degli embrioni, i prelievi testicolari, la diagnosi genetica pre-impianto e la donazione di gameti) chi decide di affidarsi alla scienza per avere un bambino, prima dell' agognata gravidanza, finisce col prendere pure una laurea in medicina.

     

    «Per fecondazione assistita si intendono le modalità con cui è possibile fare nascere un essere umano senza ricorrere a un rapporto eterosessuale», prova a fare chiarezza il dottor Luca Gianaroli, che fino a qualche anno fa è stato presidente dell' Eshre, la società europea per la riproduzione umana e l' embriologia. «In alcuni casi questo avviene senza la trasmissione del patrimonio genetico di entrambi i partner, ma grazie alla donazione di gameti maschili o femminili da parte di un soggetto esterno. In certi tipi di trattamenti la fecondazione si ha all' interno del corpo, cioè in vivo, mentre altri come la Fivet comportano il ricorso a procedure di inseminazione eseguite in laboratorio».

     

    LA PERSONALIZZAZIONE

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    «Non esiste una tecnica più adatta in assoluto», continua, «la cosa migliore è personalizzare il trattamento». Esistono talmente tante varianti, insomma, che il grosso sta proprio lì: individuare la metodologia più efficiente. «Le tecniche Fivet in vitro e le iniezioni Icsi, che per certi versi hanno procedimenti simili, rimangono quelle più comuni: da sole valgono più del 50% delle tecniche di pma usate in Italia».

     

    Dopodiché intendiamoci, come tutte le pratiche mediche anche quelle legate a una fecondazione "indotta" presentano dei rischi: «Un dosaggio inadeguato dei farmaci per la stimolazione ovarica può essere problematico per il buon esito dei trattamenti e il prelievo di ovociti è una vera e propria procedura chirurgica con tutti i rischi che ciò comporta», segnala il professore, «anche se si tratta di eventualità remote».

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    Il ricorso alla pma, nel nostro Paese, è in continua crescita: «Da un lato perché sono caduti tanti paletti della legge 40 che la vietava», commenta Gianaroli, «e poi perché rimaniamo sotto la soglia media europea per questi trattamenti».

     

    Ne servirebbero 1500 ogni milione di abitanti per coprire il fabbisogno della popolazione, da noi se ne fanno poco più che mille. Risultato: la corsa al centro specializzato. «Senza contare che si è alzata l' età media in cui una donna desidera avere il primo figlio e così è cresciuto anche il pericolo di un' eventuale infertilità». Che non è solo femminile. Nei numeri del ministero quella maschile incide nel 18,3% dei casi e per un altro 13,1% riguarda entrambi i componenti della coppia.

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    Ovvio, a questo si sommano fattori prettamente "rosa" (l' endometriosi o la menopausa precoce), ma quando le cose si fanno in due si spartiscono anche i rischi. Le difficoltà sono invece territoriali: i 366 centri che nello Stivale si occupano di pma non sono distribuiti in maniera omogenea. La maggior parte di essi, il 63,3%, è concentrata in cinque regioni: Lombardia, Campania, Sicilia, Lazio e Veneto. Al Sud le liste d' attesa sono infinite.

     

    «Da quando è in vigore la legge 40 ci siamo battuti per ripristinare quei diritti che erano stati cancellati con un colpo di spugna», spiega Filomena Gallo, avvocato e segretario dell' associazione Luca Coscioni per la ricerca scientifica che da 13 anni fa la spola tra i tribunali del Belpaese e i centri medici specializzati.

     

    «Abbiamo ottenuto 38 pronunciamenti a favore e solo nel 2015 sono nati quasi 13mila bambini che altrimenti non ci sarebbero stati e sono anche la nostra storia». In un Paese dove l' eterologa non decolla per assenza di gameti nel settore pubblico (e nonostante sia stata resa nuovamente lecita dalla Corte Costituzionale nel 2014), dove i costi per i privati possono arrivare anche a 7mila euro e dove molti cittadini decidono di provarci oltre confine per carenza di informazioni, quelli sono numeri importanti.

     

    LA BATTAGLIA

    «Nei dossier del ministero non ci dicono quanti bimbi sono nati da diagnosi pre-impianto e quanti sono, all' anno, gli embrioni conservati e non idonei alle gravidanze. Perché? Le italiane che cercano un bambino sono le più anziane d' Europa. La ricerca di una gravidanza si posticipa e le percentuali di riuscita si abbassano», dice la radicale. Se le ragazze con meno di 29 anni hanno il 39% di possibilità di rimanere incinta grazie a una tecnica di pma, superati i 44 quella cifra si riduce del 5%.

     

    «L' indifferenza della politica, su questi aspetti, è emblematica: per vedere riconosciuti alcuni diritti basilari ci siamo rivolti alla magistratura, il Parlamento se ne è sempre lavato le mani», chiosa la Gallo.

     

     

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