1 - «SACRIFICI E POCO TEMPO LIBERO» UNO SU SEI NON RIFAREBBE FIGLI
Diodato Pirone per “il Messaggero”
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«I figli invecchiano. Ma non invecchiano loro. Invecchiano te. I figli ti invecchiano perché passi le giornate curvo su di loro e la colonna prende per buona quella postura; perché parli lentamente affinché capiscano quel che dici e questo finisce per rallentare te; perché ti trasmettono malattie che il loro sistema immunitario sconfigge in pochi giorni e il tuo in settimane; perché ti tolgono il sonno per sempre. Assonnato e curvo, lento, acciaccato, sei nella terza età.
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I figli ti invecchiano anche perché quando arrivano al mondo mettono fine, con violenza inaudita, a quella stagione di aperitivi feste e possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita». E' l'inizio del monologo di Mattia Torre sullo choc che travolge una coppia quando arrivano i figli: dopo un successo clamoroso sui social, è diventato un film, con Valerio Mastrandrea e Paola Cortellesi. Mojito addio, benvenuti pannolini insomma.
Una chiave di lettura che ai nostri padri e madri non sarebbe mai venuta in mente, ma che fa riconoscere l'intera generazione di mezzo - quella dei 25-44enni - che in Italia, lo ha drammaticamente confermato l'altro giorno l'Istat, ha smesso di fare figli. Solo una ragione socio-economica, come si tende a pensare? Un Paese per vecchi, che non sostiene in alcun modo le giovani famiglie? Anche, ma non solo, come conferma il sondaggio Swg che pubblichiamo in queste pagine.
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Il dato più eclatante è che il 15% di coloro che hanno figli non li rifarebbe ma il bello è che questa percentuale sale al 22% (ovvero a quasi uno su quattro) nella fascia d'età fra i 25 e i 44 anni, ovvero fra coloro che i figli li dovrebbe sfornare sul serio. Non è corretto, tuttavia, descrivere gli italiani come gente insensibile al tema. Anzi. Lo stesso studio dell'Swg ci racconta che il 67% degli intervistati, una larga maggioranza, pensa che «senza un figlio la vita di una persona è incompleta». Anche su questo punto però coloro che si collocano nella fascia 25/44 anni sono molto più tiepidi e scendono al 57%.
IL NODO
avere figli: prima e dopo 78
Il vero nodo che la ricerca mette in rilievo è che gli italiani non pensano che la crisi demografica sia un'emergenza. Nonostante gli allarmi sempre più dirompenti dei demografi e degli economisti secondo i quali una delle ragioni del declino italiano sta proprio nella riduzione della vivacità intellettuale determinata dall'invecchiamento della popolazione, solo il 33% degli intervistati ritiene che il «calo demografico sia una priorità da affrontare». Manco a dirlo questa percentuale crolla al 24% fra chi ha 25/44 anni. Addirittura il 27% del totale degli intervistati sostiene che «il problema non è grave» e questa percentuale si impenna al 36% fra i più giovani.
Ma perché gli italiani sottovalutano in modo così evidente il tema del crollo delle nascite? La risposta non è semplicissima. La ragione più diffusa per la riduzione del numero dei figli che viene data dal campione Swg è l'insicurezza economica. Una ragione condivisa dal 66% degli intervistati e dal 74% di chi, fra costoro, non ha figli. La seconda ragione (62%) sarebbe la precarietà lavorativa (70% fra chi non ha figli).
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Altre motivazioni alla crisi demografica sono meno popolari. Si va dalla mancanza di servizi per la famiglia che viene trovata convincente dal 35% degli intervistati al 29% che trova troppo difficile conciliare la vita lavorativa con quella famigliare, al 15% che risponde seccamente che «fare un figlio comporta troppi sacrifici a livello personale». Altre motivazioni sono poco condivise ma spicca un 10% di intervistati che si lamenta perché la «propria rete familiare darebbe uno scarso supporto alla cura del bambino». Un altro 10% addossa la responsabilità della crisi demografica italiana alla maggiore indipendenza delle donne che ne ha ridotto l'interesse a fare e seguire i figli.
Infine sul che fare per favorire l'incremento delle nascite ben tre risposte (il sondaggio permetteva tre scelte) superano quota 40: concedere maggiori sgravi fiscali alle famiglie con figli; rendere i servizi per i bambini economicamente accessibili e creare più servizi per la famiglia. Il 43% delle coppie senza figli chiede però una maggiore flessibilità suglim orari di lavoro.
giuseppe de rita
2 - "SI RIFIUTANO I SACRIFICI CHE I FIGLI RICHIEDONO" - GIUSEPPE DE RITA IL FONDATORE DEL CENSIS: “È UN PROBLEMA CULTURALE OGGI SEMPRE PIÙ GIOVANI RINVIANO IL PASSAGGIO ALLA VITA ADULTA”
Giacomo Galeazzi per “la Stampa”
Analisi secca, senza sfumature: «Per riempire le culle non bastano bonus o asili nido gratis. Bisogna lavorare sul tessuto sociale e ricostruire un'idea di comunità». Il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis ed ex presidente del Cnel, attribuisce il crollo delle nascite a «una dinamica culturale malata». Prende in mano i dati sulla natalità a partire dagli anni 70 e li mette a confronto con quella che chiama la «cetomedizzazione» dell'Italia.
Qual è la tendenza in corso?
«In Italia la denatalità è un dato ormai strutturale. Ciò provoca un danno anche economico. Per anni la dottrina tradizionale riteneva l' elevata natalità un moltiplicatore delle possibilità di povertà».
narcisista
Poi cosa è cambiato?
«Ora la prospettiva sociologica si è capovolta: la denatalità diminuisce la ricchezza sociale attraverso effetti negativi sulla mobilità economica e sulla psicologia collettiva. Le culle sempre più vuote sono il risultato di un Paese impaurito, ripiegato sul presente, incapace di pensare al futuro».
Problema solo culturale?
«Non solo. C'è un narcisismo di massa che fa temere al ceto medio un progressivo impoverimento. Non si è più disposti a fare sacrifici per proiettare in avanti, attraverso i figli, le proprie speranze. Il crollo delle nascite nell' ultimo decennio sarebbe stato ancora più verticale se l' Italia non avesse goduto dell' effetto compensatorio della fecondità delle straniere».
narcisista moderno
Cosa deve fare la politica?
«C'è un quadro di incertezza occupazionale ed economica che contribuisce a una profonda revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione. E' un paradigma sociale segnato dalla tendenza a rinviare i momenti di passaggio alla vita adulta, soprattutto la scelta coraggiosa di diventare genitori».
Qual è l'alternativa?
«Si preferisce divertirsi o mettere da parte risorse in vista di qualche investimento o nel timore di esigenze future. Quello che entra in cassa viene messo a risparmio invece che a consumo. Fare figli è ritenuto un salto nel buio».
Quanto ha inciso la crisi economica di questo decennio?
«La crisi ha pesato su tutto, anche sulla voglia di avere figli. Ma non è detto che le coppie sarebbero più propense ad allargare la famiglia se migliorassero gli interventi pubblici. E' un problema più profondo, di mentalità e di dittatura dell' io. Una società che non sa più dire "noi" non fa figli. Si è perso l' equilibrio nei rapporti sociali necessario per stare bene insieme, uno accanto all' altro. Per uscire dall' inverno demografico occorre rimboccarsi le maniche. Servono umiltà, volontà di fare, capire, migliorarsi. Altrimenti è la decadenza».
ossessione social
Cosa è cambiato dal 2008?
«Il ceto medio di natura impiegatizia ha peggiorato la propria condizione, si è precarizzato e ha introiettato insicurezze e rabbia che prima non aveva. Invece di un salto di qualità c' è stato un balzo all' indietro generalizzato».
E ciò a cosa è dovuto?
«L'egolatria dei social riduce gli orizzonti mentali e impedisce di accettare la sfida della genitorialità. Sono cresciuti timori, risentimento, autoreferenzialità. Tutti dicono che in Italia non c' è più un euro, ma non è vero. Aumentano i depositi bancari, le polizze vita, il risparmio nei fondi d' investimento, i soldi provenienti dall' economia sommersa e nascosti nel materasso. Lo conferma il fatto che in giro sono introvabili le banconote da 200 euro. Se non si fanno figli è soprattutto perché non si vuole ridimensionare tenore di vita, abitudini e comodità. I figli costano e obbligano eterni Peter Pan a uscire da loro egoismo». ».
me generation su time
Tanti vanno all'estero...
«Le nuove generazioni, quelle in età fertile, vanno a studiare o lavorare all' estero e lasciano il Paese al suo declino. La metafora della mucillagine rende bene l' idea: monadi scomposte che si riaggregano in poltiglie indistinte, senza un collante che le unisca in nome di un bene comune o di un progetto familiare. Non c' è più la speranza di migliorare, di crescere».