Laura Cesaretti per Il Giornale
AULA SENATO
C' è una grande paura che aleggia in Parlamento, alla vigilia ormai del suo scioglimento e mentre è in corso l' ultimo, faticoso tentativo di fare una nuova legge elettorale. Una paura di cui pochi parlano apertamente, ma che è ben sintetizzata dallo scambio di battute tra due senatori - uno di Forza Italia e uno del Pd - intercettato giorni fa a Palazzo Madama: «Se non passa il Rosatellum, farsi eleggere al Senato sarà una lotteria», dice il primo. «Una roulette russa, direi - replica l' altro - chi viene eletto poi finirà dritto in galera».
Si tratta del micidiale combinato disposto tra preferenze (previste dal vigente Consultellum sia alla Camera che al Senato) e innovazioni del Codice penale che, grazie alla famosa o famigerata legge Severino, prevedono nuove fattispecie nebulose come il «traffico di influenze illecite», che lasciano ai pm sufficiente discrezionalità per perseguire presunti scambi di «indebite promesse» di favori in cambio di denaro. E di denari, col sistema delle preferenze, ne occorrono molti davvero, per pagarsi la campagna elettorale.
corte costituzionale
Tanto più al Senato, dove la Corte costituzionale ha per la prima volta introdotto le preferenze, anzi peggio: la preferenza unica su base regionale. Ogni candidato, per vincere un seggio, dovrà cercare di prendere più preferenze dei suoi compagni di lista sul territorio dell' intera regione.
«E solo per affiggere un manifesto in tutti i comuni della Lombardia, per esempio, serve l' equivalente di una rapina in banca», nota sarcastico Alessandro Maran, vicepresidente dei senatori Pd. «Con l' introduzione delle preferenze al Senato è stata inferta al sistema una picconata criminogena, e temo ce ne accorgeremo», aggiunge. Parole analoghe a quelle usate da Francesco Paolo Sisto di Forza Italia, che dice secco: «Le preferenze sono criminogene. Con l' aggravante che la recente legislazione penale lascia enorme spazio discrezionale alle procure».
roberto giachetti
Roberto Giachetti, che fu candidato per il Pd al Campidoglio, ricorda: «Se si calcola che, solo per essere eletti consiglieri comunali a Roma, molti hanno investito più di 100mila euro, figuratevi cosa può succedere su una circoscrizione grande come l' intera regione, con la guerra fratricida tra candidati dello stesso partito. Si rischia una dinamica analoga a quella che ha fatto esplodere la Prima Repubblica con Tangentopoli».
Il meccanismo perverso non spaventa solo gli eletti dei «vecchi» partiti. Anzi: i più terrorizzati sono i Cinque stelle, finiti in Parlamento dopo selezioni in rete in cui hanno raccolto - i più votati - una trentina di preferenze, non saprebbero da dove cominciare a raccogliere consensi sul proprio nome. «Altro che rete, stavolta vi servirà la rete da pesca», ha ironizzato Ugo Sposetti quando alcuni di loro gli hanno confidato la propria ansia di perdere il posto.
ugo sposetti
Sposetti, già tesoriere dei Ds e senatore Pd, è tra coloro che denunciano lucidamente il problema da molto tempo: <L' Italia non può permettersi una campagna elettorale con le preferenze: rischiamo di essere travolti da una nuova questione morale». Uomo che si intende di numeri, Sposetti ha fatto i calcoli: «Le spese possono toccare cifre da capogiro, fino a 6/700mila euro per un seggio. Saremo soggetti al traffico di influenze, con tutti i rischi insiti nell' assenza di una legge sulle lobby». E accusa il suo partito, che «è stato alla testa della campagna contro i rimborsi elettorali». Col risultato che le casse dei partiti sono vuote, alla vigilia della campagna elettorale.
RENZI FRANCESCHINI
Matteo Renzi ha già annunciato che, se non si riformasse il Consultellum, si candiderà al Senato. E con lui, medita, dovranno farlo anche gli altri big: Dario Franceschini, Andrea Orlando, Anna Finocchiaro. Tutti pancia a terra a guadagnarsi i voti. Solo i cento capilista bloccati alla Camera saranno al sicuro dalla sanguinosa guerra per le preferenze: «Andrà a finire che gli unici che vorranno candidarsi saranno consiglieri regionali e sindaci, che hanno già i loro voti. Per tutti gli altri, i costi sarebbero proibitivi», sospira Antonio Boccuzzi, deputato Pd ed ex operaio alla ThyssenKrupp di Torino.