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    LA RIVOLTA DEI POVERI CRISTI - TORNATI A CASA I BLACK BLOC CON L’HOBBY DELLA GUERRIGLIA, RIMANE IN PIAZZA LA GENTE CHE NON RIESCE A SOPRAVVIVERE CON 900 EURO AL MESE


     
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    Mattia Feltri per La Stampa

    Fernando, disoccupato di 52 anni, dice: «Il mio sogno è un gelato». Ha fatto il ferraio, il fabbro, ha lavorato nell'edilizia, in una fabbrica di gomma. È entusiasta che i giornalisti parlino con lui. Dice: «Domani compro La Stampa. Quanto costa?». Uno e trenta. «Eh, buonanotte. Io con un euro e trenta ci compro un chilo di pasta e il pomodoro e ci mangio quattro giorni».

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    Dice di essere un esodato ma non ne ha chiaro il concetto. Ha contributi versati in Italia, Germania, Belgio. Fa lavoretti per la Caritas. «In cambio mi danno qualche soldo, qualche vestito. Così non devo andare a rubare». Vive in un appartamento occupato, «nove punto sette metri. Ma sono un privilegiato perché sono da solo e ho un televisore di trent'anni che funziona ancora bene».

    Alle 15.30 un ragazzo col megafono chiama a raduno i suoi, giovani dei centri sociali di Bologna e circondario. Saranno due o trecento. Vanno ai pullman. In piazza, davanti a Porta Pia e sotto al monumento al bersagliere, rimangono in poche centinaia. Hanno le tende, siedono sui cartoni. Ci sono bambini di ogni età.

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    La più piccola si chiama Elisa e ha tre anni. Ragazzi ascoltano la musica e ballano, suonano strumenti a percussione, bevono birra italiana. Si gioca a pallone e si ascolta Tutto il calcio minuto per minuto. Due vecchi peruviani hanno piazzato una scacchiera su una cassetta di frutta. Ragazze puntellate di piercing si esibiscono con clavette, anelli e palle.

    Jamal ha ventuno anni, i genitori eritrei ma è nato a Roma. Fa il meccanico per 850 euro al mese. «Abitavo in due stanze a 600 euro ma mi hanno sfrattato. Io e mia moglie eravamo sulla strada, allora ho preso il primo appartamento che ho trovato. Mille e 200 euro. L'ho lasciato subito». Adesso vive in occupazione. Qui sono rimasti soprattutto quelli dei comitati e delle associazioni per la casa.

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    Gli altri stanno tornando verso le loro città, il loro mestiere. Alexandro ha 30 anni, è peruviano, abita a Monte Mario per 800 euro e 800 ne ricava dall'impiego di badante. «Viviamo coi soldi di mia moglie, che però è incinta. Fra tre mesi partorisce e per qualche tempo non so che faremo». Sua moglie è baby sitter. Ha appena finito di pulire una grande pentola in cui hanno cotto la pasta: sono venuti con bombola e fornello. Juan ha 35 anni, due figli di dieci e tre.

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    Fa il muratore: «D'estate arrivo a guadagnare mille e duecento euro al mese, ma d'inverno il lavoro è poco, e ci sono dei mesi in cui non riesco a pagare l'affitto e il padrone dice che una volta o l'altra mi butta fuori». «La casa si prende», dicono gli striscioni. Oppure: «Occupamo perché non sapemo 'ndo annà». «Riappropriazione, sollevazione».

    «No, non ti dico niente». Perché? «Non mi fido di te. Chi mi dice che sei un giornalista?». Ho la tessera. «E chi mi dice che la tessera non è falsa?». È una donna di colore, sulla quarantina, parla bene italiano. Arrivano altri: «Ti stupisci che non ti dicano il cognome? Dove abitano? Nessuno di noi è in regola. Io sono qui da 17 anni e vengo dal Sudamerica. Lavoro in nero a 600 euro.

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    Se non lavoro quanto vogliono loro, se non dico signorsì, mi lasciano a casa e ne prendono un altro. La maggior parte di noi la casa l'ha occupata perché o paghi l'affitto e compri da mangiare a tua moglie e ai ragazzi. Io ho un figlio di 14 anni, vorrebbe le scarpe come i suoi amici. Gli ho detto: quanto costano? Cento euro, mi ha detto. Ma ringrazia il cielo se ti compro quelle da dieci».

    Aspetteranno qui che arrivi qualcuno come se arrivasse la Madonna. Emilio ha 63 anni e un cartello addosso che dice «Euro assassino» ed «Europa usuraia». Fa il muratore. Peserà sessanta chili. Non lavora da tre anni. «Non ho i contributi, nessuno mi dà più niente da fare.

    Chiamano i rumeni che sono forti e si accontentano di due lire». Il ministro Maurizio Lupi è atteso fra due giorni. «Non mi aspetto che mi dica niente perché i politici non credono più in niente. Io non ero mai sceso in piazza prima di due anni fa. Vengo qui e cerco di essere dignitoso».

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    Fino a ieri sera, a stamattina, c'era chi protestava per l'ambiente, chi per la scuola. Matteo ha 18 anni e viene da Ravenna. Ha una scopa e una paletta e con gli amici pulisce per terra. «La scopa l'abbiamo trovata qui, non sappiamo di chi sia. Ma non volevamo lasciare sporco». Dice: «Siamo venuti a Roma per cercare di trovare una sintesi fra le tante anime di questa piazza». Parla bene, Matteo, come un libro stampato. Spiega qual è la sintesi: «L'economia dev'essere al servizio dell'uomo e non l'uomo al servizio dell'economia».

    Una soluzione ce l'ha Massimiliano. Ha 38 anni, vive a San Paolo fuori le Mura con la moglie, una figlia di 19 e una di due e mezzo. Lo stipendio è mille e due, non può permettersi l'affitto. «Hai mai sentito parlare di signoraggio? Sai meglio di me di che stiamo parlando. Basterebbero due decreti facili. Basterebbe l'emissione della moneta in mano allo Stato, che finanzierebbe politiche sociali e infrastrutture senza indebitarsi. Invece ci danno 14 euro. Ma che me ne faccio?». Si gira di scatto. Un urlo si è levato da sotto la statua del bersagliere: ha segnato Tevez.

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