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Giordano Stabile per la Stampa
Gli ispettori dell' Opac sono entrati ieri a Douma, a dieci giorni dal presunto attacco chimico che ha scatenato la rappresaglia di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Ma le potenze occidentali temono che non trovino più nulla perché sospettano che i russi stiano cercando di alterare le prove, mentre l' Intelligence israeliana mette in dubbio l' efficacia dei raid di sabato e teme un' imminente «vendetta» dell' Iran.
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La missione dell' Opac Gli uomini dell' Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche sono arrivati a Damasco tra venerdì e sabato. Sembrava che potessero accedere subito alla cittadina alla periferia della capitale siriana. Ma lunedì si è consumato all' Aja un duello diplomatico fra la «triplice alleanza» e la Russia. Gli inviati Usa e britannico hanno accusato la Russia di voler manomettere le prove, tenuto conto che la polizia militare di Mosca si trova a Douma ormai da una settimana.
Erano stati i militari siriani ad avvertire l' Onu che la strada e la zona circostante il luogo dell' attacco non era stata «ancora sminata» ma alla fine, ieri mattina, è arrivata l' autorizzazione, anche su pressione della Francia, che con il presidente Macron ha accusato la Russia di voler «far sparire le prove».
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Ieri pomeriggio gli ispettori hanno potuto fare un sopralluogo. Mosca ha ribattuto che era l' ufficio per la sicurezza dell' Opac a non dare l' autorizzazione e soprattutto ribadito che l' attacco del 7 aprile era stato inscenato dai ribelli, tanto che i suoi militari hanno ritrovato nella cittadina «un laboratorio e un deposito di sostanze chimiche». I timori delle potenze occidentali sono forti ma va anche detto che per la prima volta l' Onu è in grado di visitare il sito di un presunto attacco dopo un lasso di tempo limitato. Gli ispettori preleveranno campioni di suolo, raccoglieranno testimonianze e cercheranno di esaminare i feriti, molti però già trasferiti nella provincia di Idlib assieme ai combattenti ribelli.
I dubbi israeliani Una conferma indipendente dell' attacco chimico del 7 aprile serve anche a Usa, Francia e Gran Bretagna a ribadire la legittimità della loro azione di rappresaglia. Ma l' Intelligence israeliana non è convinta dell' efficacia dei raid, che avrebbero avuto un «impatto limitato» sulle capacità chimiche del regime e soprattutto non hanno scalfito il rafforzamento militare in corso, sia di Bashar al-Assad che dell' alleato iraniano, ormai in possesso in Siria di una sua «forza aerea», fatta di droni capaci di lanciare missili guidati, come quello abbattuto sul Golan il 10 febbraio e di una rete di cinque basi.
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Israele teme la «vendetta», promessa dal capo dell' aviazione dei Pasdaran Amir Ali Hajizadeh, dopo che lunedì scorso un raid israeliano ha ucciso sette dei suoi uomini alla T4. Ieri la tv di Stato siriana ha accusato lo Stato ebraico di aver tentato un altro blitz, «respinto dalla contraerea». Le voci sono poi state smentite ma il clima è quello di uno scontro imminente, non fra America e Russia, ma fra Siria, Iran e Israele. L' aviazione israeliana ha rinunciato a esercitazioni in Alaska per tenere pronti tutti i suoi F-15. E Assad ha lanciato una offensiva su tre fronti per liberarsi delle ultime enclave ribelli.
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I combattenti di Jaysh al-Islam si sono arresi ad Al-Dumayr, nella sacca del Monte Qalamoun, a Nord-Ovest di Damasco. Alcune cittadine sono state riconquistare nell' enclave fra Homs e Hama, sul punto di collassare, mentre pesanti raid aerei e di artiglieria hanno martellato Jisr Shugur nella provincia di Idlib, in mano a un gruppo jihadista erede di Al-Nusra.
Le truppe saudite Intanto il ministro degli Esteri saudita, Adel al Jubeir, ha annunciato che il Regno sta discutendo con l' amministrazione Trump del possibile invio di truppe in Siria, che gli Stati Uniti vogliono invece lasciare. I colloqui - ha spiegato - durano «dall' inizio della crisi siriana» e «la proposta - ha aggiunto - è in discussione dai tempi della presidenza di Barack Obama». Ma allora non venne accolta.
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