Estratto dell’articolo di Raffaele Ricciardi, Rosaria Amato per “la Repubblica”
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C'è il collega violento che in un momento di rabbia urla «ti spacco la faccia». E quello più sottile, che raccomanda ai nuovi arrivati di non prestare soldi al vicino di scrivania perché non li restituirà mai, o racconta in giro che "porta sfiga". La violenza tra colleghi è un'area grigia rispetto al mobbing classico, quello "verticale" che oppone i sottoposti ai superiori. Ma il bullismo, o mobbing "orizzontale" come lo definisce la giurisprudenza, è tutt' altro che trascurabile: da una survey realizzata per Repubblica da Aidp (Associazione direttori del personale) emerge che coinvolge il 30% delle imprese, e per il 43% dei manager è frequente.
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Tra le vittime ci sono soprattutto donne e giovani. Un risultato in linea con l'ultima indagine del Workplace Bullying Institute, centro di ricerca per il quale il 30% dei lavoratori statunitensi ha avuto a che fare con colleghi-bulli. «La violenza entra nei luoghi di lavoro in due modi, differenziabili in base al movente - spiega Silvio Ripamonti, professore di Psicologia del lavoro all'Università Cattolica - nel mobbing "classico" c'è un fine organizzativo: un interesse a eliminare un dipendente, collega o capo. Il bullismo, invece, è fine a sé stesso: uno sfogo della propria aggressività».
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La tipologia più diffusa, secondo l'indagine condotta su 600 manager dal Centro Ricerche dell'Aidp guidato dal professor Umberto Frigelli, in collaborazione con la Cattolica, è costituita da pettegolezzi e voci di corridoio: riguarda oltre il 50% dei casi. Seguono esclusione e boicottaggio, svalutazione delle opinioni anche davanti ai superiori (un po' più del 30%), invasione della privacy.
Il 34% degli intervistati è stato testimone di aggressioni e il 4% di maltrattamenti o minacce. «L'effetto individuale di questi comportamenti è l'aumento di malattie stress-lavoro correlate», spiega Ripamonti. Ma c'è anche un deciso impatto sulla produttività: «Crescono assenteismo e turnover».
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Il fenomeno lievita, e anche le denunce. In assenza di una legge, anche se diversi tentativi sono stati fatti negli ultimi 20 anni, i tribunali hanno costituito una sorta di codice del mobbing, compreso quello "orizzontale". «La svolta è rappresentata dalla sentenza del 4 dicembre 2020 della Cassazione - spiega Emanuele Dagnino, professore di Diritto del Lavoro all'Università di Modena e Reggio Emilia - che amplia la responsabilità disciplinare del datore di lavoro rispetto ai comportamenti che vanno a incidere sul benessere delle persone in azienda». […]
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