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    “FONTANA E’ OSTACOLATO DA SALVINI CHE VUOLE METTERE IN DIFFICOLTÀ IL GOVERNO” - NEGLI ATTI DELL’INCHIESTA COVID, IL PRESSING DEL LEADER LEGHISTA PER NON CHIUDERE LA LOMBARDIA: UN’ALTA FUNZIONARIA REGIONALE SCRISSE A UN CONSIGLIERE DI ITALIA VIVA: “PURTROPPO IL PRESIDENTE È OSTACOLATO DA CONFINDUSTRIA E IMMAGINO DA SALVINI CHE NON VUOLE CHE LA REGIONE PRENDA POSIZIONE”


     
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    Paolo Colonnello per lastampa.it

     

    fontana salvini fontana salvini

    «Alla luce di quanto sopra si evidenzia che: Regione Lombardia, benché avesse contezza diretta dell’espansione esponenziale del contagio nel suo territorio... non ha mai formalmente richiesto, concordato o sollecitato al governo alcun provvedimento contingibile per i territori di Alzano e Nembro, né lo ha fatto per altre aree regionali». Così scrivono gli inquirenti negli atti dell’inchiesta. E d’altronde, spiega bene l’alta funzionaria regionale Andreassi in un messaggio al consigliere regionale di Italia Viva Nicolò Carretta: «Il senatore Matteo Salvini non vuole che la Regione prenda posizione. Vuole mettere in difficoltà il governo... Purtroppo il presidente è ostacolato da Confindustria e immagino da Salvini».

     

    MATTEO SALVINI ATTILIO FONTANA MATTEO SALVINI ATTILIO FONTANA

    Dunque, la gente iniziava a morire a grappoli, e qualcuno cercava «di mettere in difficoltà il governo», fino a negare di poter decidere le zone rosse. Mentre l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera racconta come, nei primi giorni dell’emergenza, «nessun presidio ci ha mai detto che mancavano tamponi, nessuna segnalazione in tal senso è provenuta da Alzano».

     

    Se non ci fossero di mezzo oltre 4.000 morti «inutili», verrebbe quasi da sorridere. Ma per gli inquirenti Fontana e Gallera vengono smentiti dai fatti e dai verbali. Sebbene non tutte le testimonianze che compaiono in questa inchiesta siano coerenti e univoche. Una cosa è sicura: i loro stessi dirigenti avrebbero voluto che si chiudesse tutto subito.

     

    Drammatica la chat che l’allora direttore generale del Welfare Luigi Cajazzo, finito a sua volta indagato, scrive alla moglie il 2 marzo: «Gli ospedali sono al limite, secondo me bisogna fare altre zone rosse per salvare Milano». Cajazzo scrive anche ad Angelo Borrelli, capo della protezione civile: «Angelo perdonami, ho visto le tue dichiarazioni sulla mancanza di criticità. Purtroppo non posso essere d’accordo!». Ma sono grida nel deserto.

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