Maurizio Caprara per il "Corriere della Sera"
«Assolutamente inaccettabile». Il primo ministro indiano Manmohan Singh ha definito così la decisione del governo italiano di non far ripartire per Kochi i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, il 22 marzo prossimo, al termine di quattro settimane in Italia grazie a un permesso ottenuto in occasione delle elezioni nel nostro Paese.
A New Delhi, come era prevedibile, il ministero degli Esteri ha convocato ieri l'ambasciatore d'Italia Daniele Mancini. Colloquio di venti minuti.
Il sottosegretario Ranjan Mathai ha fatto presente a nome del suo Paese di «non essere d'accordo», ha riferito un comunicato, con il mancato rientro di Latorre e Girone nella città del Kerala nella quale i due fucilieri erano in libertà vigilata per l'accusa di aver ucciso il 15 febbraio 2012, scambiandoli per pirati, i pescatori Ajeesh Binki e Valentine Jelastine. Una posizione che il governo indiano sostiene «con fermezza», si legge nella nota. Ma occorrono anche altri dettagli per avere la misura di qual è stata ieri la risposta ufficiale dell'India alla decisione italiana sui marò, resa pubblica lunedì dal ministro degli Esteri Giulio Terzi.
I DUE MARO LATORRE E GIRONEIl gruppo dei deputati di sinistra che si era rivolto a Singh per avere spiegazioni non è rimasto soddisfatto. Il premier avrebbe promesso di attivare «tutti i canali diplomatici» per far tornare i fucilieri italiani. «Tutti i canali diplomatici» non significa certo in ogni modo. I deputati preferirebbero una durezza che non hanno riscontrato. Nello Stato del Kerala, patria dei due indiani morti, da una società di pescatori è stato annunciato uno sciopero. La moglie di Jelastine ha affermato di non aver «ancora avuto giustizia».
IL MINISTRO TERZI A KOCHI CON I DUE MAROMancini deve essersi trovato in una condizione delicata, considerato che gli era stato chiesto di essere garante dei rientro dei marò a Kochi. Nel frattempo, risulta al Corriere, Terzi ha ricevuto (non convocato, ed è la convocazione un segno di protesta) il diplomatico ieri più alto in grado nell'ambasciata d'India a Roma, l'incaricato d'affari Ravi Shankar. Non ne è stata data notizia in pubblico.
Manmohan singhA Shankar sarebbe stato fatto notare che sui marò c'è un procedimento alla Procura di Roma e che da quando il 18 gennaio a New Delhi la Corte suprema ha ritenuto indiana la giurisdizione sulla morte dei due pescatori le sollecitazioni per scambi di opinione sul caso non hanno avuto effetti. Ciò, ha aggiunto Terzi, avrebbe reso un rientro dei marò in Kerala una «estradizione de facto», priva di garanzie. Non sarebbe stato accennato, forse sottintendendolo, che l'Italia su un'estradizione del genere avrebbe difficoltà: per l'omicidio l'India prevede anche la pena di morte.
Senza farne pubblicità, la Farnesina ha mandato a partner di Unione Europea e Nato a Bruxelles un riepilogo delle tesi giuridiche sostenute per annullare il viaggio dei marò. Il testo confuta la pronuncia della Corte suprema. È nato per contrastare giudizi sulla scelta italiana come quelli che il capo dell'Unione marittimi dell'India Abdul Ghani, non citato, ha riassunto così: «È stata tradita la fiducia».
MASSIMILIANO LATORRE E SALVATORE GIRONEIl ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid ha osservato che alla comunicazione di Roma sul rifiuto della partenza, motivata con l'intenzione di aprire una controversia internazionale, «non si può rispondere in modo istintivo». Pur sapendo che non riotterrà i due marò, il suo ministero ha sottolineato di attendersi che l'Italia «impegnata nel rispetto del diritto, mantenga la promessa» restituendo Latorre e Girone. Tra quanti a Roma si occupano del caso c'è chi crede che Terzi avrebbe dovuto prima aprire la controversia e poi informare che i marò restano a casa. La partita non è chiusa.