Giampiero Mughini per Dagospia
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Caro Dago, come altri italiani educati a un diverso e più antico uso della lingua, sono un po’ in imbarazzo di fronte all’uso di termini che hanno fatto irruzione nelle abitudini correnti del linguaggio e della comunicazione. Su tutti l’uso della parola “influencer”, di cui ho il sospetto che sia una sorta di trabocchetto semantico. Chi diavolo siano questi e queste “influencer” io non ne ho la più pallida idea.
taylor mega e le iene 6
Una volta me ne sono trovata di fronte una in uno studio televisivo. Il conduttore continuava a usare questa parola magica, come a indicare chissà quali opere e attività della nostra eroina. Ne frattempo sfilavano su uno schermo televisivo delle immagini di questa fanciulla che ne garantivano il curriculum, ossia immagini che evidenziavano il suo deretano e altre luoghi del suo corpo.
taylor mega
Premesso che non provavo il benché minimo interesse per il suddetto caso umano, ho chiesto alla fanciulla in che modo e su chi si esercitasse la sua “influenza”. Non mi pare che lei arrivasse a formulare una frase compiuta, balbettò qualcosa di indistinto e la cosa finì lì.
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Ho letto sui giornali che nelle settimane scorse i giocatori della Juve si sono incontrati per una festa non ricordo dove, alla quale erano state invitate una sessantina di “influencer” donne. Anche lì mi chiedo che cosa e come influenzassero gente come Matuidi, il brasiliano Alex Sandro, il dottor Giorgio Chiellini, quel nostro portierone polacco con cui condivido due dei tre esemplari di un cappottone super pop che ho comprato a Roma un paio d’anni fa (il terzo esemplare ce l’ha Renato Zero).
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Ecco, dubito che il nostro portierone si lasci influenzare dalla prima venuta nell’acquisto di un cappottone. Forse lui e le “influencer” hanno dibattuto su come meglio affrontare un calcio di rigore. Può darsi. Ci sono difatti donne - non molte, io ne conosco due o tre e a parte la grandissima Emanuela Audisio che oltretutto è stata una ottima giocatrice di tennis da tavolo - che di calcio se ne intendono davvero.
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Vedo che tu, e fai benissimo, non tralasci occasione per alludere alle gesta e alle immagini di Taylor Mega, una che più “influencer” di così si muore. I tacchi alti, il bikini ridottissimo e poco altro addosso, le labbra su cui è intervenuto un chirurgo d’assalto, le pose studiatissime anche se un po’ gelide da quanto le si legge in volto che sta calcolando l’Iva sulla sua prestazione in corso, accidenti se tutto questo non è un “influenzare” alla grande.
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Laddove noi che siamo stati ventenni un mezzo secolo fa avremmo usato tutto un altro verbo. Eccitare? Attizzare? Fare uscire gli occhi dalle orbite? Cose così che evidentemente non hanno alcun fascino, nessunissimo charme, nessuna misteriosità semantica. Tutta robetta che solo confermerebbe quanto siamo e fuori moda vecchi noi ventenni d’antan.
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Vecchissimi. Ai nostri tempi le “infuencer” non c’erano proprio. Immagini che ci “influenzassero, sì qualcosa emergeva da riviste che quando le compravo le avvolgevo entro a una copia de “le Monde Diplomatique”. Foto cento volte meno attizzanti, meno influenzanti delle attuali e fulgide “influencer”. O forse no. Pose di fanciulle di cui avrei detto allora che erano delle “puttanelle” molto invitanti. Lo avrei detto fra me e me, apprezzandole e dando il risalto che meritano in una corretta lingua italiana.
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