Alberto Simoni per "La Stampa"
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Il colosso americano dell'hi-tech, Intel, è pronto a staccare un assegno da 80 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per portare la produzione di semiconduttori e nano-chip di tecnologia avanzata in Europa, consentendo quindi al Vecchio Continente di sviluppare un'indipendenza nella progettazione del suo futuro digitale.
Le trattative fra alcune capitali europee e i manager della società statunitense, già in corso da tempo, potrebbero avere un'accelerazione nelle prossime settimane in virtù della recente approvazione dello European Chips Act che dispone 43 miliardi di dollari per la produzione dei semiconduttori nei Paesi Ue.
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Era il segnale che al quartiere generale di Santa Clara attendevano tanto che il ceo di Intel, Pat Gelsinger, ha salutato lo Eu Chips Act «come una storica occasione per recuperare il terreno perduto».
La creazione di poli produttivi altamente tecnologici per sviluppare chip è assai costosa ed è impossibile per una singola azienda sobbarcarsi interamente i costi. Vale per l'Europa e per gli States. In dicembre Intel ha annunciato la creazione di un centro produttivo in Ohio.
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L'investimento è di 20 miliardi di dollari e a sorreggerlo ci sono gli incentivi del governo federale che d'intesa con il Congresso metterà in circolo 52 miliardi di dollari. Biden ha dato al tema carattere di priorità strategica per due motivi: il primo è l'effetto sull'occupazione che fabbriche come quelle dell'Ohio avranno sulle comunità locali, la proiezione indica 10 mila posti di lavoro subito che potrebbero salire a 14 mila.
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Il secondo è eliminare la dipendenza dai mercati asiatici dove viene prodotto l'80% dei microchip, sbarrando la strada alla penetrazione sui mercati occidentali della Cina. L'Europa deve recuperare il terreno rispetto agli Stati Uniti e va avanti celermente.
Fonti vicine al dossier contattate da La Stampa hanno confermato che Intel ha fatto un passo indietro rispetto al piano originario che prevedeva un maxi investimento su un unico sito. Il piano attualmente è suddiviso in tre parti: le fonderie che produrranno i cosiddetti «wafer di silicio» saranno in Germania.
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La divisione di Ricerca e Sviluppo (R&D) potrebbe finire in Francia, anche se ci sono altri Paesi che sgomitano, fra questi c'è l'Olanda. Il terzo aspetto riguarda il nostro Paese che gestirebbe «l'advanced packaging», cioè il processo di assemblaggio dei microchip.
Sono step che Intel non conferma nei dettagli ma alla nostra richiesta di una precisazione ha risposto «che l'individuazione dei singoli siti dipende da vari fattori come la disponibilità di manodopera specializzata, le infrastrutture e il sostegno del governo».
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Ovvero tocca all'esecutivo individuare un sito che rispetti le caratteristiche. Il 23 ottobre il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, era stato a Boston e a Washington e in quell'occasione aveva incontrato il segretario al Commercio Usa, Gina Raimondo, che sta guidando le trattative con il Congresso Usa sui finanziamenti al comparto hi-tech.
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Giorgetti aveva confermato le voci su un possibile ingresso dell'Italia nella linea di produzione europea di chip. La prossima settimana il ministro sarà a Bruxelles per una serie di incontri non legati alla vicenda Intel, ma a margine del Consiglio europeo vedrà la Commissaria per il Digitale Margrethe Vestager per discutere dei 43 miliardi del Chips Act.
Il dossier italiano a fari spenti comunque prosegue. La cabina di regia è a Palazzo Chigi, il premier Mario Draghi aveva già incontrato il capo di Intel durante una missione in Europa. Roma ha stanziato ben 4 miliardi di dollari a fronte un investimento complessivo che si aggira sui 10 miliardi. Restano da individuare i siti per «l'advanced packaging».
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Nella tabella di marcia fissata da Intel, «entro qualche mese sarà annunciato il primo step» ovvero il collocamento in Germania delle fonderie. Quindi passeranno ancore mesi prima dei successivi passi. Ed è in questa finestra temporale che l'Italia dovrà presentarsi con il nome del sito prescelto.
C'è una short list; quattro le regioni coinvolte dopo l'uscita della Sicilia. Sono Lombardia, Puglia, Veneto e Piemonte. Qui sarebbero stati individuati alcuni snodi logistici fra Vercelli e Novara.