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Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”
Ci sono contraddizioni e tempi sconcertanti nel cambiamento di linea sanitaria da parte delle autorità di Pechino: per quasi tre anni, erano bastate poche decine di contagi per imporre lockdown a intere città, fino allo spegnimento totale del focolaio. Era la politica «Covid Zero», che tenendo chiuso il Paese inseguiva la cancellazione del coronavirus dal territorio nazionale.
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Ora che secondo stime filtrate dal governo della Sanità cinese i positivi sono esplosi a oltre 250 milioni (il 90% asintomatico, pare), il Partito-Stato ha annunciato la fine di ogni controllo, restrizione, tracciamento. A partire dall'8 gennaio, i cinesi potranno tornare a viaggiare nel mondo, per turismo o affari, senza dover scontare fino a due settimane di quarantena sorvegliata al ritorno. Liberi tutti e allarme internazionale. Al quale Pechino risponde rispolverando la frase usata già nel gennaio 2020: «Bisogna comportarsi in modo scientifico, per garantire sicurezza nella circolazione delle persone». La stessa motivazione scientifica invocata quando è stata la Cina a chiudersi al mondo.
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Xi Jinping aveva definito il «Covid Zero» una «guerra popolare». Senza sconfessare quella formula, il 7 dicembre ha ordinato la ritirata dalla prima linea dell'intransigenza sanitaria. Ancora l'11 novembre, con meno di 10.000 positivi su una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti, erano sottoposte a restrizioni nei movimenti e nelle attività industriali e commerciali 48 città della Repubblica popolare. Un costo sociale ed economico altissimo, che ha quasi azzerato la crescita della Cina.
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In quei giorni, gli epidemiologi avvisavano Pechino che nel «Covid Zero» erano state bruciate enormi risorse, senza preparare una «strategia d'uscita» dall'emergenza, da fondare anzitutto sui vaccini. Il 23 novembre scoppiò una rivolta nella cosiddetta iPhone City di Zhengzhou, dove 200 mila operai erano costretti a lavorare in regime di quarantena. Poi una tragedia a Urumqi: dieci persone uccise nel rogo di un palazzone sigillato per il lockdown.
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Tra il 26 e il 27 novembre, migliaia di cittadini scesero in strada da Shanghai a Pechino, gli studenti protestarono nelle università: non sopportavano più la vita sospesa, il lavoro danneggiato, l'impossibilità di viaggiare Per fermare il coronavirus si rischiava il virus della contestazione sociale.
Ora si dice che già a fine novembre i contagi stessero correndo molto più di quanto le autorità di Pechino hanno mai ammesso. Il sospetto è che Xi abbia pianificato la ritirata dal «Covid Zero» dopo essersi resi conto che il fronte era stato scavalcato dall'ondata di infezioni. Si minimizzano i numeri dei decessi, per confermare che il Partito ha agito «scientificamente»: in tre anni, secondo la Cina ci sono stati 5.245 decessi, rispetto agli oltre 6 milioni nel mondo.
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