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    ''IO IL MARCIAPIEDE L'HO BATTUTO COME UNA MIGNOTTA'' - I 70 DI ZERO E IL NUOVO DISCO: ''LA MUSICA MELODICA NON È PIÙ AL CENTRO DELLA SCENA, MA ARRIVA DAGLI USA E DALLA GRAN BRETAGNA CON LE LORO CORAZZATE POTEMKIN DEL RAP. UNO DEI RAPPER IN GIRO VORREI VEDERLO IN USA... 'IL CIELO IN UNA STANZA' OGGI NON C'È. E NEMMENO 'I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA'. LA MIA NON È UNA CROCIATA MA UN'ANALISI LUCIDA''


     
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    Alessandra Menzani per ''Libero Quotidiano''

    renato zero renato zero

     

    La festa per i ruggenti settanta anni di Renato Zero non finisce mai. Il monumentale artista romano chiude la trilogia dedicata alla sua carriera con Renato Zerosettanta Volume Uno, un disco da ieri in vendita con cui conclude un viaggio durato tre mesi e quaranta canzoni inedite.

     

    «La musica è come un salvagente provvidenziale, consente di raggiungere un approdo sicuro e duraturo: vi regalo quest' ultima finestra, dove affacciarvi nei momenti difficili», dice l'indomabile Renato. Prodotto dallo stesso Zero - 50 milioni di dischi venduti all'attivo - per Tattica, è l'occasione per il cantante di raccontarsi e togliere qualche macigno dalle scarpe. «Siamo dei distributori di emozioni e sensazioni, abbiamo una responsabilità. Non rappresentiamo la frivolezza, la canzone "leggera": non diciamo cazzate. I nostri pezzi finiscono nei matrimoni, nei funerali, abbiamo fatto le guerre».

     

    TREDICI TRACCE

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    Nel volume ci sono 13 tracce, si va da C'è, primo singolo estratto dal disco ed uscito il 20 novembre, che parla d'amore, a L'Italia si desta?, dedicato a un Paese disilluso e ferito che ha smesso di credere in quegli stessi valori che hanno contribuito a farla conoscere nel pianeta, a Un Mondo Perfetto, traccia conclusiva, attraverso cui viene dipinto un mondo idilliaco fatto di tolleranza, equilibrio, innocenza e rispetto. Non manca l'ironia, oviamente.

     

     «A 70 anni», aggiunge il Re dei Sorcini, «posso dire di avere raggiunto tappe mai immaginate, non do peso alle classifiche, il Covid mi ha fatto riflettere sui colleghi fonici, tecnici, tutti i lavoratori, mi ha indotto a fare questa operazione. Faremo un Natale senza abbracci, mi mancano», ammette. Si lascia andare a uno sfogo. «Vorrei chiudere la bocca ai politici che non mi hanno fatto fare Fonopoli, ci ho provato per quattro legislature e tre sindaci. Ma mi piace ancora sognare. Loro chiudono gli accessi alle scuole, è grave».

     

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    Zero si riferisce al suo ambizioso e antico progetto per dare spazio e visibilità ai giovani artisti. Un'utopia, forse, che non lo abbandona dal 1992. Rivela di aver sentito il sindaco di Roma Virginia Raggi. «Una settimana fa mi ha chiamato», dice, «ha molta stima di me e mi ha manifestato la volontà di agevolarmi per Fonopoli. Sarebbe bello farlo, anche in una caserma in disarmo».

     

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    La sua opinione su chi comanda, in generale, non è buona: «In sedici anni si impara tanto, ho conosciuto una certa Italia sonnolenta, bigotta, inciuciatrice. Mi sono sentito don Chisciotte. Se per Fonopoli avessi accettato i compromessi suggeriti dagli imprenditori l'avrei fatta, ma ho sempre detto di no perché ci mettevo la faccia».

     

    ARTISTI IMPROVVISATI

    Renato Zero non è tenero verso la musica che va moda oggi, soprattutto quella che piace ai ragazzi: «Non contesto rap e trap. C'è posto per tutti, ma vorrei che il carro portante fosse la musica melodica e armonica, lo esigerei! Io ho fatto il doppiatore, l'attore, il ballerino, il sarto, bisogna fare tante esperienze, non ci si improvvisa».

     

    La colpa? «Della discografia, che ormai non è solo italiana, ma arriva dagli Usa e dalla Gran Bretagna con le loro Corazzate Potemkin. Prima eravamo tutelati. Uno di questi rapper vorrei vederlo in Usa...». Chi gli fa notare il successo internazionale, ad esempio, di Sfera Ebbasta, lui replica: «Volevo solo dire che Il cielo in una stanza oggi non c'è. E nemmeno I migliori anni della nostra vita. La mia non è una crociata ma un'analisi lucida. Io il marciapiede l'ho battuto come una mignotta», dice, usando un'efficace metafora, un'invettiva verso chi diventa famoso in 2 mesi con un talent.

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