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    “IO NON C’HO PAURA DELLE GUARDIE…” - LA STORIA STUPEFACENTE DI ELSA LILA: DA CANTANTE A SANREMO A CASSIERA DEGLI SPACCIATORI AMICI DI “DIABOLIK” - LA 41ENNE ALBANESE ARRESTATA NELLA SUA CASA A SAN LORENZO - A UN BOSS DICEVA: “DEVI FARTI AMICO QUALCUNO DELL’APPARATO DELLO STATO, QUI È COME IN ALBANIA. TANTA GENTE È VENDUTA” - I NOVE ARRESTI TRA ACILIA E SAN LORENZO: TRA LORO ANCHE IL PUGILE "TITY", AMICO DI DIABOLIK - VIDEO


     
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    Rinaldo Frignani per corriere.it

     

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    Era lei a tenere la «Scatola di Babbo Natale». Una cassa nascosta dove c’erano soldi e libri mastri della banda di pusher. Da «cantante più famosa del secolo in Albania» nel 1999 a due partecipazioni a Sanremo (2003 e 2007) all’arresto per associazione a delinquere. La parabola di Elsa Lila, ora a Rebibbia.

     

    Quarantuno anni, originaria di Tirana, figlia di famosi musicisti, a Roma studentessa, pop star e adesso in carcere: gli agenti della Squadra mobile, coordinati dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, le hanno notificato ieri mattina nella sua casa a San Lorenzo l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Maria Paola Tomaselli.

     

    In cella sono finite altre otto persone, un destinatario è morto e altri tre, compreso il capo banda albanese, Arindi Boci, detto «Rindi», sono latitanti. Per chi indaga Lila era la contabile del gruppo. Non risultano per ora contatti diretti con la droga (soprattutto hashish e marijuana) gestita con riunioni della cupola in un paio di locali di Acilia e nascosta in un box auto a Torrevecchia e in un altro a Casal Bernocchi, come anche in un appartamento in via Stresa, alla Camilluccia, ma il giudice la considera pienamente «partecipe del sodalizio» e «persona di fiducia» proprio di Boci, al quale offre nell’estate 2019 la sua casa per nascondersi dalle forze dell’ordine («Vai, fiodati di là, cambia posto»), e con il quale si confida di non aver paura della polizia in caso di perquisizione «ma dei ladri», che avrebbero potuto rubare la «Scatola» con i soldi che servivano anche per l’assistenza legale dei sodali arrestati. Che utilizzavano telefonini criptati per non essere ascoltati. Al punto che uno di loro confidandosi con un complice afferma: «Se si aprono questi (le memorie), fanno un carcere nuovo a Roma!».

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    E proprio sulle forze dell’ordine e sulla possibilità di corromperle, la cantante ha le idee chiare: «A me dello Stato non viene nessuno a controllarmi, mi conoscono, ho ottimi rapporti». In un caso «mi hanno fatto una multa (al suo b&b) ma mi hanno detto di non pagarla che non avrebbero fatto i controlli». Perché qui «come in Albania, un amico/aggancio con lo Stato serve, perché ti salva qualsiasi sia il governo, bisogna trovare il modo visto che anche qui c’è tanta gente venduta».

     

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    Se Boci, che era stato rassicurato proprio da Lila sui timori di essere intercettato («Ci sono strumenti che trovano le spie»), è tuttora ricercato, in carcere è invece finito anche il pugile Petrit Bardhi, detto «Titi», 47 anni: per chi indaga faceva parte del gruppo di albanesi con Arben Zogu e Dorian Petoku, - «Riccardino» e «Pluto» - in affari con Fabrizio Piscitelli, «Diabolik», il capo ultrà laziale ucciso nel 2019, per la gestione dello spaccio a Ponte Milvio e delle slot machine nei locali pubblici. Allora come oggi i contatti più importanti erano con i clan di Acilia. Ma in questo caso Bardhi, che ha presieduto ad alcuni vertici anche a Centocelle grazie ai suoi contatti nella Capitale reperiva i clienti all’organizzazione, ma reggeva anche le comunicazioni con gruppi napoletani e calabresi.

     

     

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