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    “IO NON INSEGNO CALCIO, INSEGNO VITA” – BOMBASTICA INTERVISTA DI DOTTO A SILVIO BALDINI, CHE ALLENA GRATIS LA CARRARESE IN SERIE C – "SONO NATO POVERO. MI PIACE LA VITA DEL PASTORE.  LA SOCIETÀ DI OGGI VUOLE SOLO VINCENTI E CREA COSÌ UNA GENERAZIONE DI FALLITI" – L’ABORTO DI ROSY E VALENTINA CHE NASCE DISABILE AL 100%: “LA VITA E’ LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO” - IL CALCIO IN CULO A DI CARLO: “A DISTANZA DI ANNI, QUANDO M’INCONTRA A COVERCIANO, FINGE DI NON VEDERMI” - ADANI: "BIELSA A LEEDS, COME BALDINI A CARRARA. HANNO TRASFORMATO UNA PIAZZA MORTA IN UN COVO DI PASSIONI” - VIDEO


     
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    Giancarlo Dotto per Vanity Fair

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    Ventaccio che Dio lo manda. Notte fonda. La luna è una patacca gigante, biondo platino, la testa di Jayne Mansfield schizzata in cielo dopo che si è separata dal corpo. Partono da casa i tre uomini decisi a incontrarsi e, in un certo senso, sfidarsi all’alba. Il Pazzo da raccontare, lo Scriba che lo racconta, l’Ossesso, amico dei due, che li fa conoscere.

     

    Il Pazzo, Silvio Baldini, arriva da Marina di Massa. L’Ossesso, Lele Adani, da Reggio Emilia. Lo Scriba, da Roma. Appuntamento allo stadio dei Marmi di Carrara sotto le Alpi Apuane. Dove Michelangelo, altro furioso notevole, si arrampicava a scegliere e fare all’amore con il marmo giusto per le sue statue. Terra di smodati e di anarchici, Carrara. Nell’area antistante il cimitero, il monumento dedicato a Gaetano Bresci, l’anarchico che s’era messo in testa di uccidere a pistolettate re Umberto I e lo uccise davvero.

     

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    Me lo sento, la prima cosa che mi chiederà Baldini sarà: cosa ti ha spinto a venire fin quassù da me? Il Pazzo Silvio abbraccia l’Ossesso Lele come un fratello. Più di un fratello. “Il giorno in cui dovessi mancare, sarà lui il riferimento dei miei tre figli”. Era un suo giocatore al Brescia, Lele, poi gli ha fatto da vice al Vicenza, prima di decidere che la sua missione era smaniare calcio a Sky.

     

    Adani parla di Baldini come il Messia, ma anche il Messi, degli allenatori. Il Marcelo Bielsa italiano. Marcelo Bielsa, detto “el loco”, per restare in tema. “Bielsa a Leeds, come Baldini a Carrara. Hanno trasformato una piazza morta in un covo di passioni. Bielsa ha mandato i suoi giocatori a pulire le gradinate dello stadio. Tre ore di ramazza. I calciatori dovevano condividere la fatica dei tifosi operai”. Silvio ascolta e ha gli occhi lucidi. Si commuove facile, Silvio, anima lirica e feroce. Un cuore enorme in petto e un punteruolo acuminato in tasca per eventuali cattivi incontri, che la vita è la stessa di quando era bambino, una foresta di emozioni forti, di fate e di lupi. Foresta è anche il nome del suo calciatore prediletto.

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    Il Pazzo Silvio mi vede e mi fa: “Ma perché cazzo uno come te è venuto fin quassù da uno come me?”.

     

    LA DOMANDA. È il giorno che deraglia il treno a Lodi. Silvio Baldini, 61 anni, è uno che deraglia da quando è nato. Che fosse pazzo, è cosa nota. Lui, come Pino Daniele, è il primo ad autodenunciarsi. Sente le voci di dentro, come Eduardo. Non si limita a sentirle, obbedisce ciecamente. L’immagine che lo consegna per sempre al catalogo dei fuori di testa: Parma-Catania del 2007, molla in mondovisione un calcio in culo quanto meno irrituale al suo collega, Di Carlo. “Mi aveva offeso con parole e gesti sprezzanti. A distanza di anni, quando m’incontra a Coverciano, finge di non vedermi”.

     

    Baldini non è uno normale. Piovono conferme. Tutte le mattine alle 7 spaccate è lui che apre i cancelli dello stadio dei Marmi. Arriva in tuta col suo pick up, s’infila nella sala mensa, indossa i guanti di lattice e si mette lì a sbucciare e a centrifugare. Rape e mandarini per tutti, ospiti, giocatori e collaboratori. “La rapa aumenta l’ossigeno nel sangue del 22 per cento”. Lo aiuta Davide, un ragazzo di Carrara che arriva in sella a un Harley Davidson. Verosimilmente pazzo anche lui. “Qui a Carrara siamo da sempre abituati al niente, da quando è arrivato Baldini noi tifosi godiamo come ricci”. Lui, Silvio, non gode, ancora rimugina il rospo.

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    Mica la sconfitta 1 a 4 con l’ultima in classifica della domenica prima. No, ce l’ha con Maccarone, suo giocatore da sempre, quarantenne ancora voglioso, un passato che conta tra calcio italiano e inglese, perché dieci giorni prima non aveva festeggiato il rigore della vittoria tirato al 96’ da Tavano, l’altro gioiello attempato di casa, e se n’era andato dritto e nero nello spogliatoio. Voleva tirarlo lui quel rigore. Baldini non lo digerisce il rospo. Lo vive come un fallimento personale. “Dentro di me penso: ma questa vittoria a che serve se te, a 41 anni, non riesci a gioire perché quell’altro ci ha fatto vincere. Sei un mio giocatore da vent’anni. Che cazzo ti ho trasmesso?”.

     

    Ma la vera domanda è: perché un grande allenatore, riconosciuto come tale dai suoi colleghi più celebri, a cominciare dall’amico amico Conte, Spalletti e Mancini, decide prima di sparire e poi, tre anni fa, di andare ad allenare gratis la Carrarese, una squadra di serie C? Lui lo chiama “il mio nuovo inizio”. E spiega perché. “Dopo che per sei anni sono andato per monti a cacciare pernici con i pastori siciliani”.

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    Se non lo fai per i soldi, se non lo fai per ambizione, perché lo fai? Come tutti i pazzi naif, lui si lascia martellare il cuore da passioni primordiali. Sanguina a tempo pieno. È il suo genio. Il suo carisma. Comincio a capire perché Lele Adani ne parla come un messia. Baldini è nudo anche quando si veste per la montagna. Soprattutto, quando si veste per la montagna. Tutto lo confessa. Il corpo inquieto, gli occhi forastici ma capaci di lacrime e dolcezze inaudite, le mani, la voce, gli improvvisi silenzi. La mappa delle sue radici. “Non ci potevo più stare dentro il sistema. Me lo impedivano i miei valori, la mia necessità di emozioni. La società di oggi vuole solo vincenti e crea così una generazione di falliti…A un certo punto della mia vita volevo tornare a sognare. Il primo anno era la squadra più debole, ma è stato l’anno più magico, perché sognavamo. Oggi siamo più forti, ma non sogniamo più. E se qualcosa va storto, come domenica, pali, rigori sbagliati, è perché non lo meriti. Io questa cosa la so bene”.

     

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    L’ANTEFATTO. Lui questa cosa la sa bene. Sul suo whatsapp l’immagine con la scritta: la famiglia è sacra. Il padre Valentino lavorava nelle cave di marmo. “Era il mio destino. Che altro potevo fare, il bagnino?... Mia nonna aveva visto le due guerre. Alle elementari leggevamo il libro Cuore di De Amicis, la storia della piccola vedetta, la maestra piangeva e noi si piangeva con lei. Oggi le emozioni non ci sono più. Un amico, giorni addietro, mi fa: mi sono fidanzato a Belluno.  Belluno? E che ci fai tu a Belluno? L’ho conosciuta con la chat… Si sono visti, si sono piaciuti, si sono scopati. Dimmi tu, dov’è l’emozione dell’incontro, il brivido della conquista? Così è cresciuto Silvio Baldini, con le favole della nonna, le storie di De Amicis, delle osterie e delle bische, degli uomini che andavano a cavare il marmo e ogni tanto morivano, “perché se ti cade un libro addosso non ti fai niente, ma se ti cade un blocco di marmo….”. 

     

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    LA FORESTA. Maccarone e Tavano sono i suoi calciatori storici, ma il suo pupillo è Giovanni Foresta. Un piccolotto riccioluto, lo sguardo devoto. Per Baldini si farebbe squartare e, in un certo senso, si è fatto squartare. Baldini lo chiama “il mio eroe”. “Uno, dieci, dodici Foresta in una squadra e vai in cima al mondo, batti anche la Juve”.

     

    Foresta è la sua emanazione in miniatura.

    “Sembra un bambino, ma è più duro del marmo. Arrivò da me con la pubalgia. Lo trovai che piangeva nel tunnel dello stadio. Volevano rimandarlo indietro. “Finché ci sono io, ci sei tu”, gli dico.

     

    Mesi fa quasi si tronca un piede in partita. Perone, legamenti, la cartilagine. Lo riporto in panchina mesi dopo, ma non sta ancora bene. Stiamo perdendo. “Ha bisogno di me, mister? Prendo un Toradol e gioco”. Questo è Foresta. Uno che guadagna trenta mila euro l’anno, non so se ci arriva. Ma perché uno così non gioca in  serie A? Foresta mi ha dato l’anima. Gli dico sempre: “Giovannino, io devo arrivare a giocare contro la Juve con te capitano”.

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    LE PREMONIZIONI. Ha le premonizioni da sempre, Baldini. “Mia nonna mi diceva: la vita è la legge del contrappasso”. Mi racconta la storia di Rosy, la sua fidanzata brasiliana. Quasi quarant’anni prima. “L’avevo conosciuta in un night. Rimane incinta. Dovevo sposarla. Tutto già combinato. Tre giorni prima, sento una voce dentro che mi dice: non farlo. Stavo in bisca. Alle tre di notte arriva un amico con mia mamma: la Rosi all’ospedale s’è tagliata le vene. Rosy abortisce a Napoli e torna in Brasile. Sparisce. Conosco Paola, dieci mesi dopo decido di sposarla. Alla vigilia del matrimonio, mi chiama Rosy. Non sapeva del mio matrimonio. “Spero che tu possa soffrire quello che ho sofferto io”, mi maledice. Mia moglie rimane incinta. Le ecografie sono tutte regolari, ma io le dico. “C’è qualcosa che non va per il verso giusto…me lo sento”.

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    Valentina nasce con venti giorni di ritardo. Ha rischiato di morire nella pancia della madre. È una bimba disabile. Doveva campare 6 mesi, oggi ha 33 anni. Disabile al cento per cento. Non parla. Non può stare in piedi. Lo sapevo. L’ho sentito. E sai perché? Ho sempre saputo cos’è il male. Quel bambino avrebbe dovuto nascere, ho tolto a quella ragazza la felicità diventare mamma, ho fatto vincere il mio egoismo e sono stato punito”.

     

    Questo è Silvio Baldini. Se c’è la colpa, arriva il castigo. Inesorabile. Non si scappa. “Io so che la mia coscienza deve sempre rendere conto degli atti che compio”. Ha avuto altre due premonizioni opposte prima della nascita degli altri due figli, Mattia e Niccolò. I medici sconsigliavano: “All’ottanta per cento nasce disabile”. “Sapevo che non sarebbe stato così e così non è stato”.

     

    “La sconfitta è l’unica cosa che tiene in vita i miei sentimenti. Io la cerco. Me la chiamo…Lo dico sempre ai giocatori: io sono nato sbagliato, ma poi ci ho messo del mio. Quando ho capito che la sconfitta è il dono della mia vita, mi ci tuffo dentro, nelle difficoltà, in tutti i casini. Vuoi saperne un’altra?”.

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    Voglio saperlo.

    “A Empoli sto bene. Mi vogliono fare un contratto di cento milioni per cinque anni. All’epoca mi cercavano anche Fiorentina e Napoli. Arriva Zamparini e mi offre due miliardi l’anno per tre anni per andare al Palermo. Penso ai tre figli, mia moglie spinge, e accetto. Un madornale errore. La scelta dei soldi. Finisce il feeling con i sogni. Tradisco me stesso. Perché oggi alleno gratis secondo te? Zero assoluto, neanche un rimborso spese. Con quella scelta finisce tutto. Zamparini, ricco a palate, si sente onnipotente, metteva bocca sulla formazione. Lo insulto. Mi esonera. Mi mandano a allenare il Parma, ma la mia storia di allenatore è finita. Ho capito che dovevo mettermi da parte. Come campo? Me la cavo con i risparmi e i 2.400 euro di pensione. I soldi sono il diavolo. Avevo ceduto l’anima. Anche scopare mi piace, ma non ho mai tradito mia moglie”.

     

    Lele Adani racconta Silvio Baldini: “Mi diede la fascia di capitano al Brescia, nonostante fossi poco più di un ragazzo. Mi ha conquistato definitivamente il giorno in cui, all’alba, mi portò nel bosco dove lui andava a trovare se stesso. Si spogliò, rimase a torso nudo in pieno inverno. Ci abbracciammo. “Non ho bisogno di coprirmi, quando trovo la mia essenza”, mi disse. “Quel giorno diventai uomo”.

     

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    LA MONTAGNA. Si alza di scatto. “Sei venuto qui per raccontarmi? Vuoi conoscermi davvero, capire dove nasce la mia ispirazione? Devi venire sulla montagna con me. Ci carica sul suo pick up, me e Lele Adani, e si va su, a picco, quasi a mille metri, tra boschi di castagni e di abeti, dirupi e strapiombi, sentieri di roccia, che nemmeno i muli. E quando penso, spaventato: qui il folle si deve fermare per forza, oltre non può andare, lui va. Si chiama “Monte Pasquilio”. Qua ci venivano a piedi Ungaretti e Montale a cercare silenzio e ispirazione. Dalla sommità, si vedono le Cinque Terre, Capraia e Gorgona, si vede l’Elba e la Corsica. “Qua ci vengo all’alba con i cani. Non si può cacciare, ma a me non me frega niente di sparare. I cani hanno le emozioni. Come te quando scrivi. Me le trasmettono quando fiutano le pernici. Quando sto qui con i miei cani, non ho bisogno di nessuno…Lo vedi quel vecchio lassù, solo soletto?”. Lo vedo. Un vecchio che s’inerpica e sparisce alla nostra vista. Probabilmente sta cercando un luogo giusto per suicidarsi o per ritrovarsi. “Di sicuro, stava parlando con la morte e noi lo abbiamo infastidito. Se porti Mihajlovic e Vialli quassù, loro vedranno le cose cento volte più grandi di come le vediamo noi. Hanno visto la morte e questo ha acuito i loro sensi…

     

    Sai qual è il mio vero rammarico?”. Non lo so. “Mia moglie Paola mi ha dato la sua vita. S’è sacrificata per me. Come hai fatto a innamorarti di uno come me che ogni tanto sparisce, le chiedo. “Mi sono innamorata dei tuoi difetti”, mi fa lei. Questo è un peso troppo grande per me…”. Ci porta alla fontana dove i cavatori di marmo mettevano la testa sotto l’acqua gelida per smaltire le sbornie. “Il giorno che porto la Carrarese in serie B, non sto allo stadio con gli altri, vengo qui da solo…Di notte, qua, è ancora più bello.”.

     

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    LO SPOGLIATOIO. “La sera vengo qui al buio da solo e dico le mie preghiere. Agli amici, alla famiglia, ai miei calciatori. Li evoco. Gli parlo della vita, del destino. Al cellulare non è la stessa cosa, non è una preghiera. Se io riesco a trasmettere questo, l’allenamento di oggi avrà un senso”. Arrivano i calciatori. Fanno cerchio. Ascoltano a testa bassa il loro strambo messia. Devoti, affascinati, perplessi. “Il destino siamo noi. Il destino vuole che noi portiamo un messaggio in questa vita. Ho portato il giornalista sulla montagna per spiegare questo. Per voi mi farei ammazzare, ma non tutti ci credete. Giocare o non giocare, conta solo questo per voi. Se non vi trasmetto questo, il senso della vita, abbiamo perso ancora prima di giocare. Azzeccare la diagonale è accessorio…”.

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    Li inchioda ore con i suoi sermoni, i giocatori. “Sapete perché ho fatto questo? Il giornalista deve sapere fino a che punto vi posso rompere i coglioni”. Loro ascoltano in silenzio. “Sono bravi ragazzi, ma gli manca la scintilla dentro. Escono da qui e trovano a casa le mogli che parlano del rossetto di Christian Dior o gli amici al bar che parlano del nulla. È questo il mondo del calcio”.

     

    È questo Silvio Baldini, che si presenta nell’aula di Coverciano, l’università del pallone, e ai suoi titolati colleghi, invece di parlare di tattica, racconta di Mario, il pastore siciliano che domava il suo cavallo guardandolo negli occhi, di quando sui monti bevevano latte di capra e mangiavano il pane arrostito sul fuoco. “Perché se parlo di possesso palla non aiuto nessuno, ma se parlo di Mario do una speranza a tutti”.

     

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    L’ALLENAMENTO. Per spiegare l’importanza del tempo nella scelta del  pressing, Baldini fa vedere ai suoi Mandy Harvey, la ragazza americana sorda,  che canta come un usignolo, scalza, per sentire le vibrazioni della musica attraverso il pavimento. “Io non insegno calcio, insegno vita. Sono nato povero. I miei sono i valori trasmessi da chi ha vissuto le guerre. Se non avessi mia moglie e i figli, sarei già tornato nei monti in Sicilia. Mi piace la vita del pastore. Le tue idee devono essere il tuo coraggio. Troppo facile avere coraggio con le idee degli altri. Qui, in questa vita, non siamo a dipingere un quadro. Noi siamo dentro il quadro”. Maccarone, quarant’anni suonati, spinge come un ossesso, addosso a uno che potrebbe essere suo figlio. Chissà se pensa a Mandy.

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