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    "LA PREMIER POTREBBE PORTARE IL 2% A FRATELLI D'ITALIA. TAJANI E SCHLEIN SOLO LO 0,5%" - IL PARERE DEI SONDAGGISTI SULLA PERSONALIZZAZIONE DELLE ELEZIONI EUROPEE - SALVINI AVREBBE FATTO LA SCELTA GIUSTA NON CANDIDANDOSI. ALMENO SI È RISPARMIATO UN PARAGONE IMPIETOSO CON IL 2019, QUANDO IL SUO NOME INCASSÒ IL BOTTINO RECORD DI 2 MILIONI E 200 MILA PREFERENZE…


     
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    Serena Riformato per "la Stampa" - Estratti

     

    giorgia meloni giorgia meloni

    La citazione viene scontata: mi si nota di più se mi candido (e non vado a Bruxelles) o se non mi candido? Alla fine, quasi tutti i leader hanno ceduto alla tentazione. Nelle liste per le Europee di giugno ci saranno Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Elly Schlein e Carlo Calenda.

     

    Gli assenti, almeno su carta, si annunciano i temi europei: sulle scelte di voto degli italiani, stima l'Istituto Demopolis, peseranno per il 61 per cento il partito, per il 25 i candidati in lista, per appena il 14 per cento il programma per l'Europa.

     

    «È probabilmente normale in un Paese nel quale la campagna elettorale sembra guardare soltanto alle questioni interne», commenta il direttore dell'istituto Pietro Vento. In linea di principio, l'espediente elettorale di proporre candidature "civetta" non piace alla maggioranza degli elettori: il 61 per cento, secondo l'ultima rilevazione di Quorum/YouTrend per Sky TG24, valuta negativamente la decisione dei capi di correre per una carica che non andranno a ricoprire.

     

     

    scrivete giorgia sulla scheda elettorale - vignetta by vukic scrivete giorgia sulla scheda elettorale - vignetta by vukic

    La disapprovazione sale al 70 per cento fra i sostenitori del Pd. È un dato ricorrente, rimarcato da tutti gli istituti demografici: il giudizio cambia in maniera significativa in base alle aree politiche. «Senza dubbio la personalizzazione lascia più perplessi gli elettori di centrosinistra, – dice Lorenzo Pregliasco, co-fondatore di YouTrend – nel centrodestra sono abituati all'idea del nome nel simbolo e tendenzialmente più favorevoli ai leader forti».

     

    La differenza si traduce in alcune percentuali che ad Elly Schlein non piacerà leggere: tra gli elettori del suo partito, il 45 per cento ritiene che la sua candidatura non avrà effetti di alcun tipo sui voti del Pd, il 23 per cento teme addirittura che possa diminuirli (Quorum/YouTrend per Sky TG24). Il 14 per cento si limita a rispondere «non lo so», mentre solo il 18 per cento si dice convinto di una spinta positiva.

     

    MANIFESTI ELETTORALI DI GIORGIA MELONI MANIFESTI ELETTORALI DI GIORGIA MELONI

    Fra i sostenitori di Fratelli d'Italia, è invece il 33 a pensare che il brand Meloni possa spingere più persone a mettere la X sul simbolo con la fiamma. Anche nel partito della premier, tuttavia, il 29 per cento ritiene irrilevante il valore aggiunto della candidatura di bandiera.

     

    Secondo Pregliasco, in realtà, «la presenza dei leader nelle liste, mediamente, non sposta poi così tanti voti: il grosso di chi dà una preferenza a Meloni o Schlein sceglierebbe comunque i partiti che guidano. Sono pochi – conclude – quelli che votano FdI perché c'è la premier candidata e non lo farebbero se non ci fosse».

     

    Roberto Weber, fondatore dell'istituto Ixè la vede diversamente: «Basta guardare al consenso personale della presidente del Consiglio: è più alto di almeno una decina di punti rispetto a quello di Fratelli d'Italia.

     

    Una parte di quella fiducia si concretizzerà in voti in più per il partito». 

     

    (...)

    «La scelta avrà un forte valore comunicativo e simbolico, difficile al momento da stimare», dice Vento. Demopolis misura un impatto meno decisivo – ma comunque presente – per le candidature di Elly Schlein e Antonio Tajani: «Farebbero guadagnare circa mezzo punto al Pd (tra il 20 e il 21 per cento) e a Forza Italia che insieme a Noi Moderati sfiorerebbe il 9 per cento, superando la Lega di Salvini».

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    Invece la decisione imprevista del leader di Azione Carlo Calenda, ragiona Lorenzo Pregliasco, non si può escludere che si riveli un boomerang: «Ha un tipo di elettorato che potrebbe essere indispettito dal dietrofront». E l'assenza di Matteo Salvini e Giuseppe Conte sarà uno svantaggio per i loro partiti?

     

    Potrebbe esserlo per il M5s, valutano i sondaggisti. «Rischia – dice Vento di Demopolis – di restare penalizzato dalla mancanza di Conte in lista e dalla minore notorietà dei propri candidati al Parlamento Europeo». Anche secondo Pregliasco di YouTrend, l'ex premier «era uno dei pochi leader per i quali avrebbe avuto senso investire in una partita personale, perché ha un appeal ben superiore al suo partito».

     

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    Matteo Salvini invece avrebbe fatto la scelta giusta, scampando a un pericolo assai più minaccioso di qualche zero virgola in meno: dover reggere il paragone con il 2019, quando il suo nome incassò il bottino record di 2 milioni e 200 mila preferenze.

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