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    “IO SONO UN BUGIARDO CHE DICE SEMPRE LA VERITÀ” - DA FELLINI A ORSON WELLES, I FREGNACCIARI CHE HANNO FATTO LA STORIA CON LE LORO FANDONIE – UN BALLISTA PROFESSIONISTA ERA PAOLO VILLAGGIO CHE MENTIVA PER NON FARE LA DIETA. ERNEST HEMINGWAY MILLANTAVA IMPRESE MILITARI MAI COMPIUTE. MONTANELLI E LE STORIE SUI PARTIGIANI. E QUANDO LUCIO DALLA SI RITROVO’ IN OSPEDALE CON UN’ULCERA PERFORATA NESSUNO GLI CREDETTE – SCRITTORI E DOTTORI MENTONO ENTRAMBI, I MEDICI PER FAR DEL BENE, GLI SCRITTORI PER...


     
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    Jessica D'ercole per "la Verità"

     

    fellini fellini

    Centoquarant' anni fa, in questi giorni, sul Giornale per i bambini uscivano le prime puntate di Storia di un burattino scritte svogliatamente da un pigrissimo Collodi. Per lui altro non era che una «bambinata», buona solo a portare qualche spiccio a casa.

     

    Non aveva idea che il suo Pinocchio, con le sue fandonie e quel naso che gli si allungava ogni volta che ne diceva una, avrebbe fatto il giro del mondo fino a diventare emblema e sinonimo della bugia. Mark Twain diceva: «Mentiamo ogni giorno, a ogni ora, da svegli e nel sonno» e un sondaggio del 2005 realizzato in occasione della Biennale internazionale dell'umorismo nell'arte di Tolentino gli dava ragione.

     

    Lo studio aveva stimato in un miliardo e 400 milioni il numero di bugie raccontate dagli italiani in un anno, tre milioni 800.000 al giorno, 156.000 all'ora, 2.600 al minuto, oltre 43 al secondo. Un numero impressionante che sarebbe stato sicuramente più alto se Federico Fellini fosse stato ancora vivo. Il Maestro della Dolce vita era così bugiardo da dichiararsi di «una sincerità spudorata». Era solito mischiare invenzione e realtà per abbellire le sue storie, per dare un tocco di colore al mondo e anche per prendersi gioco di interlocutori spesso troppo creduloni.

     

    orson welles orson welles

    Era capace di negare l'evidenza senza alcuna vergogna spiazzando chi gli stava vicino. Ricorda Bruno Zanin, il Titta Biondi di Amarcord, in un'intervista a Stefano Lorenzetto, quella volta che gli diede buca al Théâtre de la Ville di Parigi: «Mi aveva promesso di venirmi a vedere con Giulietta Masina. Gli feci tenere due posti in prima fila alla première.

     

    L'indomani trovai in camerino un biglietto di scuse: era dovuto andare a cena con la moglie dall'ambasciatore italiano. Peccato che il diplomatico la sera prima fosse con la consorte a teatro proprio per incontrarvi Fellini. Era fatto così.

     

    Nella sua villa di Fregene imitava al telefono la voce della colf per non farsi trovare: "Il maestro non è in casa"». D'Altronde fu Fellini a dire: «Le cose più reali per me sono quelle che ho inventato». Come lui Orson Welles. Amava estasiare pubblico e amici con piogge di bugie su piccole verità. Del falso ne fece la sua arte, in fondo «la mia carriera è cominciata con un falso, l'invasione dei marziani. Avrei dovuto andare in prigione. Non devo lamentarmi: sono finito a Hollywood!».

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    È vero che il suo successo arrivò con la finta radiocronaca dell'invasione aliena sulla Cbs che paralizzò New York, ma la sua carriera decollò con un'altra bugia. La prima volta che calcò il palcoscenico era a Dublino e per farsi scritturare s' era spacciato un noto attore americano, millantando pièces in cui avrebbe recitato o diretto solo qualche anno dopo.Le stelle del cinema che hanno mentito per ottenere un ruolo non si contano.

     

    Si va da Eddie Redmayne che disse d'essere un cavallerizzo nato quando sul set, neanche in sella, fu disarcionato, a Whoopi Goldberg che sul curriculum s' invecchiò di sei anni per ottenere ruoli più maturi, passando da George Clooney che per darsi un tono sostenne d'aver avuto una piccola parte in Il bacio della pantera di Paul Schrader ignorando di trovarsi difronte alla direttrice casting di quel film. Tornando a Welles: «A Hollywood tutto quello che si vede è vero, comprese le bugie».

     

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    Straordinario contaballe anche Pupi Avati. Per lui la menzogna è il motore della sua vita: «È fondamentale mentirsi: se la mattina, quando mi alzo, dovessi fermarmi davanti all'immagine da vecchio riflessa nello specchio, è evidente che non andrei sul set. Invece uno si racconta quello che non è, e poi si affida all'autoillusione che il film che stai girando metterà in discussione la storia del cinema mondiale», raccontava ad Alessandro Ferrucci sul Fatto.

     

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    Altro ballista professionista Paolo Villaggio. Ma lui le frottole le raccontava solo alla moglie per andare a cena fuori ed evitare la dieta. Ne diceva talmente tante Lucio Dalla - sulle Bugie ci fece anche un album - nessuno gli credeva mai.

     

    Quando si sentì male sul set di Allonsanfàn dei fratelli Taviani il produttore Giuliani De Negri convinto della sua malafede urlò: «Mi sta truffando, mi sta turlupinando! Lo denuncio, vi giuro che lo denuncio». Era sul piede di guerra e quando arrivò in ospedale per metterlo spalle al muro e lo trovò lì, ricoverato per un'ulcera perforata, ci rimase male.

     

    Usava le menzogne, ma solo per farsi bello, Ernest Hemingway. Millantatore, raccontava di imprese militari e prodezze eroiche mai compiute. Si vantava di essere stato al comando di un reparto di Arditi, di aver ucciso personalmente un numero inverosimile di austriaci, di aver liberato il Ritz di Parigi che però era già stato abbandonato dai tedeschi.

     

    Le sue pose da macho, diceva Zelda Fitzgerald, erano fasulle quanto un assegno non coperto. A farle eco la sua terza moglie, Martha Gellhorn, che lo piazzò al secondo posto di un'ipotetica classifica mondiale dei grandi bugiardi, secondo solo al Barone di Münchausen.

    villaggio un bugiardo in paradiso villaggio un bugiardo in paradiso

     

    Eroiche imprese militari anche quelle che Indro Montanelli raccontava a Tiziana Abate in Soltanto un giornalista: «Riuscii a indossare la mia uniforme da capitano dei granatieri: volevo arrendermi da soldato, non da imboscato. M' interrogava un ufficiale della Wehrmacht. Avevo avuto il permesso di vestire la mia giubba da capitano anche in cella e un giorno venne a interrogarmi un sottufficiale. Mi rifiutai di rispondergli perché il suo grado era inferiore al mio. Quell'orgoglio di soldato fu il collante che tenne insieme i miei nervi: la fierezza militare prevalse sulla paura».

     

    Peccato però che il principe del giornalismo italiano non divenne mai capitano, neppure tenente, restando sempre semplice sottotenente. Non era nemmeno un granatiere, bensì un fante. Non comandò mai neanche la banda di Ascari che, come fece notare Marco Bertoncini su ItaliaOggi, divenne una compagnia in due sue altre biografie, un battaglione di una lettera ad Arrigo Petacco, un plotoncino in una missiva ad Aldo Borelli. Ma in fondo, come disse Giorgio Bocca a Massimo Gramellini: «Montanelli era un attore, con tutti i difetti degli attori, ma una brava persona incapace di colpi bassi. Certo, un contaballe Durante la resistenza, ha raccontato così tante balle sulla sua amicizia con i partigiani che alla fine i fascisti sono stati costretti a metterlo in galera. Però era un uomo dell'Italia onesta che non rubava».

    montanelli montanelli

     

     Per soldi Alexandre Dumas padre esaltava le gesta di Giuseppe Garibaldi all'Indipendente. Scriveva Giuseppe Buttà in I Borboni di Napoli: «Descrisse Garibaldi un Orlando furioso per la forza, un Federico II di Prussia ed un Napoleone I per la strategia militare. Fra le altre cose narrò che avea veduto innumerevoli schiere di soldati Napoletani combattere in Milazzo contro duemila e cinquecento ragazzi garibaldini. Fu questo un fenomeno ottico prodotto da que' belli sessantamila franchi». A Dumas però le bugie scorrevano nel sangue e nell'inchiostro delle sue penne.

     

    Ricorda Piero Citati sul Corriere della Sera che, nel 1832, lo scrittore sostenne che si era rivolto a lui un giovane americano, Edgar Poe. «"Al primo abordo riconobbi che avevo a che fare con un uomo rimarchevole, due o tre osservazioni ch' egli mi fece sul mio mobilio e gli oggetti che mi attorniavano, sulla maniera nella quale le mie robe erano sparse nella camera, sulla parte morale e intellettuale del mio individuo - mi colpirono per la loro giustezza e la loro veracità".

     

    ERNEST HEMINGWAY ERNEST HEMINGWAY

    Come gli accadeva spesso, Dumas mentiva. Non aveva mai conosciuto Poe, che non era mai stato in Francia e in Italia».

     

    «Io sono un bugiardo. Un bugiardo che dice sempre la verità» scriveva Jean Cocteau, frase che anche Truman Capote avrebbe voluto far sua quando se ne andava in giro a dire che la regina d'Inghilterra lo aveva invitato a pranzo mentre l'invito gli venne dal fotografo della regina madre al cui solo tavolo è poi stato. Ma il giornalista di Paris Review George Plimpton aveva capito come smascherarlo: «Quando iniziava a raccontare una bugia tendeva ad alzare gli occhi al cielo e a guardare verso l'alto».

    truman capote truman capote

     

    Beccata, ma dalla polizia, Lee Israel, una biografa americana che non riuscendo a sbarcare il lunario con la scrittura, dopo aver venduto un paio di lettere autografe rubate in una biblioteca, decise di inventarne altre di sana pianta per poi chiedere perdono - dopo qualche mese ai domiciliari - con un'autobiografia dal titolo Can you Ever Forgive Me?. Che la menzogna fosse nel Dna di uno scrittore lo diceva anche l'ottocentesco scapigliato Carlo Dossi, ma lui nel girone dei bugiardi ci mise anche i dottori: «Mentono entrambi, i medici per far del bene, gli scrittori per far del bello».

    ERNEST HEMINGWAY ERNEST HEMINGWAY

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