ISABELLA SANTACROCE - VM 18
Massimiliano Parente per “il Giornale”
Non è più come una volta, quando i grandi editori pubblicavano libri commerciali per far cassa e potersi così permettere libri meno commerciali ma letterariamente importanti: l’editoria di oggi non paga più come una volta, soprattutto i grandi scrittori, paga solo chi vende. Perfino Aldo Busi, pochi anni fa, faticò per trovare un editore per il suo nuovo romanzo, e non perché non ci fosse la fila per pubblicarlo, ma perché voleva essere pagato per il genio che è, a prescindere dalle copie che avrebbe venduto.
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In questi giorni Isabella Santacroce va oltre, con un gesto antico e insieme d’avanguardia: se ne sbatte degli editori e si autostampa duecentocinquanta copie di pregio del suo romanzo V.M. 18, splendida opera d’arte divenuta introvabile (anche per colpa dell’editore Fazi), e le vende a cento euro l’una, direttamente lei (giusto con un’assistente per impacchettare e spedire). Per ripristinare il valore del libro, non solo artistico ma anche materiale.
ISABELLA SANTACROCE - VM 18
Molti lettori hanno già prenotato la loro copia, mentre altri scrivono commenti indignati sulla sua bacheca, incolpandola del costo troppo alto dell’opera. In verità il costo non è affatto alto: qualsiasi collezionista sa che una tiratura così bassa, per un’edizione d’autore rara, potrebbe avere un prezzo superiore. «La mia casa editrice Desdemona Undicesima Edizioni ha oggi inizio», scrive la Santacroce sulla sua pagina Facebook. «Sfidare sempre. Osare sempre. Amare sempre».
ISABELLA SANTACROCE - VM 18
Segno che per lei non sarà un’operazione unica. Paradossalmente qualcuno la accusa di «piegarsi alla logica del mercato». Casomai è il contrario, è una scrittrice nota che sfida il mercato (da non confondere la sua operazione con il self-publishing, visto che prima bisogna essere la Santacroce, e poi vendere libri da collezione).
Con una logica che non fa una piega: «Un libro di Arbasino non può costare come un libro di Fabio Volo, così come un abito di Chanel non può costare come un abito di Benetton». Sarebbe d’accordo lo stesso Arbasino, che in Fratelli d’Italia, mezzo secolo fa, scriveva: «Da noi si fanno con serietà le graduatorie fra libri alla portata di tutti, che vanno lodati, e quelli biasimevoli perché d’élite. Gente che mai oserebbe vantare la propria millecento contro una Jaguar o una Mercedes, elogia Moravia in quanto bestseller per la gente comune, rispetto a Gadda o Beckett che hanno la colpa d’essere troppo difficili e dunque d’avere pochi clienti».
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