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    IL GIRO D'AFFARI DELL'ISIS - ARMI, ESPLOSIVI, DOCUMENTI E MEZZI DI TRASPORTO VENGONO PAGATI GRAZIE ALLA VENDITA DI PETROLIO IN NERO, FINTE RIMESSE E RACCOLTE DI FONDI PER FINALITÀ RELIGIOSE - MA I CONTROLLI SUI MOVIMENTI DI DENARO SONO PRATICAMENTE IMPOSSIBILI


     
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    Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

     

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    Viaggiano quasi esclusivamente su circuiti non bancari e ormai è quasi impossibile intercettarli. Stiamo parlando dei flussi finanziari dell’Isis e, più in generale, delle organizzazioni terroristiche internazionali. Che muovono capitali sempre più grandi, indispensabili per supportare le complesse attività criminali: acquisto di armi, esplosivi, documenti di identità, mezzi di trasporto, covi, complici, strumenti di comunicazione e logistica internazionale.

     

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    Di soldi ne servono tanti e le fonti di business, tutte ovviamente fuori legge, non sono poche: vendita di petrolio in nero e di reperti archeologici trafugati; poi ci sono i proventi dei sequestri  oltre che del traffico illecito di droga e persone. Non solo. I meccanismi sono sofisticati e così il «fatturato» dei terroristi  cresce anche con «apparenti raccolte di denaro di fatto consegnate a terroristi mediante la copertura di rispettabili attività religiose o di attività commerciali o finanziarie, sostanzialmente false».

     

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    A tracciare la mappa della «finanza del terrore» è un rapporto del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo che Libero è in grado di anticipare. Dito puntato, nel documento del Centro Sturzo, sulle «finte rimesse» attraverso circuiti internazionali di pagamento non bancari, come i money transfer (ieri al Senato è stata riportata a 1.000 euro la soglia massima per i trasferimenti di contanti). Canali che sfuggono ai controlli standard previsti dalle norme sull’antiriciclaggio.

     

    Tant’è che nel 2014 in Francia (i dati sono del ministero delle Finanze di Parigi) e in Italia le segnalazioni di operazioni sospette in odore di terrorismo sono state scarsissime: le autorità francesi ne hanno messe insieme 7 su 38.419, mentre dentro i nostri confini ne risultano solo 93 su 71.758 totali.

     

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    Quello relativo all’Italia, stando alle statistiche della Banca d’Italia (Unità di informazione finanziaria), è un dato in netto calo: nel 2010 le segnalazioni per sospetto finanziamento al terrorismo erano state 222, scese progressivamente fino a 131 nel 2013; nel primo semestre di quest’anno il campanello d’allarme è suonato 74 volte.

     

    Troppo poco: possibile che le attività criminali terroristiche aumentano di intensità e, allo stesso tempo, i flussi finanziari crollano? Chiaramente no. Ragion per cui, secondo il Centro Sturzo, servirebbe una svolta e cioè «un nuovo modello di analisi legato ad altri indicatori dell’anomalia finanziaria delle operazioni, dei profili soggettivi di chi ne è autore o beneficiario, dei luoghi di provenienza e destinazione dei fondi».

     

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    Bloccare i quattrini vorrebbe dire azzoppare i terroristi: il rapporto, infatti, suggerisce di spostare l’attenzione proprio sui capitali. Indagini finanziarie a tappeto risulterebbero assai più utili rispetto al «controllo delle frontiere interne ed esterne». Ciò perché «si possono neutralizzare singoli terroristi o gruppi di essi, ma la loro sostituzione avverrà fin quando il meccanismo economico criminale di supporto sarà attivo, cioè fin quando ci sarà la disponibilità di capitali di finanziamento».

     

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    Come dire: piuttosto che affannarsi a capire dove siano  localizzate le basi terroristiche tra Belgio e Francia, l’intelligence del Vecchio continente (ma non solo) dovrebbe seguire e beccare i quattrini. Follow the money, non si sbaglia mai.

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