1. Nostra Incantevole Italia, il viaggio di Corrias nell’Italia a testa in giù. Settant’anni di geografia inedita tra scandali, sangue, gossip
Carmine Gazzanni per http://www.lanotiziagiornale.it
Portella della Ginestra, Via Fani, Ostia, il Teatro Ariston, Cogne, L’Aquila, Lampedusa, Pontida, la villa di Sant’Ilario e quella di Arcore. Fino anche al Lungotevere dove vive “il re del superfluo illustrato che diventa essenziale”, Roberto D’Agostino. Quello di Pino Corrias (Nostra Incantevole Italia, ed. Chiarelettere) è un libro non solo da leggere, ma da divorare.
Su cui prendere appunti, studiare e ragionare. Per capire la storia passata, riflettere su quella presente e cambi are quella futura. Perché, scrive Corrias nella sua introduzione, “ci sono persone convinte che il Vajont sia stata una tragica fatalità” o che Gianni Agnelli “sia stato un grande imperatore, un re a cavallo che si occupava davvero dei poveri italiani”.
Quello di Corrias, invece, è un viaggio-disvelamento, volto a raccontare, con la sua magistrale penna, la “vera” Italia, un Paese a testa in giù e delle doppie se non triple verità.
Italia Crac
Già, perché non è cosa da poco ricordare che nella storia di Portella della Ginestra e del bandito Salvatore Giuliano, come scrisse l’inviato de L’Espresso Tommaso Besozzi, “di sicuro c’è solo che è morto”, con le inquietanti ombre sulla rete tra Democrazia Cristiana, banditismo e mafia; non è cosa da poco ricordare la grandezza di Pier Paolo Pasolini, il suo Salò, scritto e realizzato in risposta a Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (“lo considerava falso, patinato, commerciale”) e la sua “ultima cena” direttamente dalle parole di Ninetto Davoli.
E poi, ancora, la strage di Piazza Fontana col dottor Fusco, uomo dei servizi segreti, che sapeva e non ha impedito la strage del 12 dicembre 1969; o il rapimento di Aldo Moro, con Francesco Cossiga che, “alla prima riunione, davanti a Berlinguer, Nenni, Andreotti, dissi: ‘Sappiate che, salvo un colpo di fortuna, noi Moro non riusciremo a liberarlo’”. E poi via via, in giro nel tempo e nell’Italia martoriata da fatti di cronaca, silenzi, stragi e ascese di questo o quel personaggio politico.
Pino corrias- nostra incantevole italia copertina
Fino all’epilogo, all’ultimo capitolo che è un messaggio per Sergio Mattarella: via dal Quirinale che nel tempo “ha ospitato trentuno papi, quattro re, dodici presidenti della Repubblica”. Via da quel simbolo di potere vetusto e smodato. E magari scegliere la bellissima Villa Lubin.
Così, “con un solo trasloco – conclude Corrias – il presidente Mattarella cancellerebbe due scandali, quello gigantesco del Quirinale e quello comico del Cnel”. Chissà, magari se Mattarella dovesse trovarsi tra le mani Nostra Incantevole Italia, dopo aver viaggiato nelle pagine e nella storia, potrebbe anche compiere il grande passo. Che sarebbe il primo da quando siede al Colle.
Pino Corrias, NOSTRA INCANTEVOLE ITALIA, Edizioni Chiarelettere
INTRODUZIONE
Le carte geografiche contengono il mondo. Quando siamo in viaggio, calcolano le distanze. Ci raccontano dove siamo. Cosa ci lasciamo alle spalle e cosa troveremo un po’ prima dell’orizzonte. Questo libro è la mappa del mio viaggio in Italia. E’ fatto di luoghi dove il tempo si è addensato, dilatandosi in un racconto da tramandare con i testimoni di quel tempo, di quel luogo. E insieme con loro, dirne l’intreccio che ne scaturì e le conseguenze che ancora ci riguardano. È una geografia che prova a mettere ordine nel disordine della nostra storia.
ITALIA CRAC BUCO
Sono stato sotto il sole di Portella delle Ginestre, dove il bandito Giuliano battezzò nel sangue il nostro dopoguerra di protettorato americano, protagonista e poi anche vittima di un intreccio tra il potere, la mafia, la politica, i depistaggi, che sarà la matrice nera di altre cento storie italiane. Fino al rettilineo di Capaci e al boato di via D’Amelio, le morti di Falcone e Borsellino, due magistrati onorati solo dopo morti e che non hanno ancora smesso di imprigionarci.
Ho visto la diga del Vajont, che sta ancora lassù, intatta e vuota da quando l’onda che la scavalcò scese a distruggere tutto, anche le ragioni delle vittime, annegate e disperse dall’ottusità di un progresso che non ammette regole, non ammette controlli e alla fine la fa franca.
vajont
Mi sono seduto davanti alle vetrine che furono della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, esplose in quel lontano dicembre 1969 che aprì la stagione della strategia della tensione, con le sue stragi, i suoi misteri, e poi degli Anni di Piombo, passati per via Fani, il sequestro Moro, i 55 giorni più neri della Repubblica. Quando le ragioni dello Stato e i torti delle Brigate rosse cancellarono tante cose, compresa la pietà.
VILLA WANDA DI LICIO GELLI
Sono tornato al Pio Albergo Trivulzio, dove nacque Mani Pulite, quando per una breve stagione sembrò che la legge fosse davvero uguale per tutti, e il potere della politica e della grande impresa venivano chiamati a rispondere dei loro comportamenti, dei loro danni.
Sono stato a villa Wanda, dove ho incontrato Licio Gelli, venerabile maestro di un potere che fu insieme minaccioso, pervasivo e grottesco. Nel villone di Arcore, dove Silvio Berlusconi ha fabbricato la televisione commerciale, il partito azienda, e non bastandogli più i soldi e il potere, ha finito per accumulare ragazzine a tassametro perdendo il senno e l’onore.
pino corrias
Nella villa di Grillo, a Sant’Ilario, dove è nato il furente populismo che cavalca l’antico sovversivismo piccolo borghese e i nuovi inganni digitali. Sul pratone di Pontida, in cima al quale un tale Umberto Bossi mostrava l’Ampolla con l’acqua del dio Po e nessuno rideva. E poi a casa di Romano Prodi, a Bologna, dove la sinistra ha provato a rinascere in forma di Ulivo, senza più smettere, da allora di cercare il modo più efficace per distruggersi, divorata dai rancori.
AGGUATO DI VIA FANI - UNO DEGLI AGENTI DI SCORTA DI ALDO MORO
Mi sono seduto dentro il Teatro Ariston di Sanremo, dove da molto più di mezzo secolo l’Italia si incanta in una ricreazione collettiva. E in quell’altro teatro della nostra storia, la Rai di viale Mazzini, Roma, che nel bene e nel male, ci fa da specchio e da cattedrale, dove tanti riti si compiono, compresi quelli terribili accaduti a Vermicino e a Cogne, quando si è scelta la morbosità del dolore in cambio di ascolti.
Ho passeggiato dentro al nuovo Lingotto, a Torino, ex fabbrica simbolo della nostra industria, che imprigionava il tempo alla catena, e ora lo ha liberato moltiplicandolo dentro i vuoti della nuova piazza sociale, il Centro commerciale. Ho rivisto le macerie de L’Aquila, servite a sperimentare una nuova forma di propaganda politica, sulla pelle dei sopravvissuti. E gli scogli di Lampedusa, primo confine d’Europa, assediato dal mare dell’immigrazione, dove si scontrano le ondate della paura, della propaganda politica e quelle dell’accoglienza.
Bandito Giuliano
Dentro al perimetro di quei luoghi ho rimesso a punto la cronologia delle date, le facce dei protagonisti, le loro storie, gli intrecci che li hanno perduti, li hanno salvati, ci hanno segnato al punto da diventare una parte della nostra. Come hanno fatto Pasolini morendo e Federico Fellini vivendo, due tra i più grandi narratori del nostro tempo, capaci di raccontarci i loro sogni e le nostre ossessioni. Un po’ prima che lo facessero i selfie e persino il sito Dagospia che trasforma i labirinti del potere in un gioco di società.
pier paolo pasolini by richard avedon
Incantevole Italia è il resoconto di un viaggio durato molti anni, alla fine del quale ho provato a rimettere ordine a storie che in tanti si sono esercitati a complicare anche quando erano semplici. Perché viviamo in uno strano Paese scandito dal trasformismo delle classi dirigenti, dove tutte le verità sono sempre provvisorie.
Dove c’è gente che per anni ha scritto che il bandito Giuliano non era mai morto, il corpo era di un sosia, e a cascarci sono stati dei magistrati che hanno preteso, mezzo secolo dopo, il DNA dello scheletro, sentendosi degli astuti investigatori.
Ci sono persone convinte che il Vajont sia stata una tragica fatalità.
Che in piazza Fontana ci fossero non solo i fascisti, ma anche Pietro Valpreda, un suo sosia e due bombe, non una.
giovanni falcone sergio mattarella
Che in via Fani sovrintendessero alla strage della scorta di Moro, agenti segreti italiani, anzi israeliani, anzi bulgari.
Che Di Pietro sia stato manovrato dalla Cia per complottare contro Craxi e che Craxi incassasse tangenti per finanziare non il suo circo personale, ma addirittura i palestinesi.
Che Giovanni Falcone, sia stato agevolato nelle indagini contro la mafia, ammirato per il coraggio, protetto, e non invece ostacolato, invidiato, lasciato solo e detestato dai colleghi, gli stessi che a ogni anniversario, applaudono la sua salma.
Che Licio Gelli avesse davvero una intelligenza irresistibile e non solo una irresistibile astuzia di compratore di anime morte, disposte a tutto per il potere e la carriera.
Che la Padania di Bossi esistesse veramente e avesse un inno da ascoltare in piedi, con la mano sul cuore.
previti berlusconi
Che Berlusconi, sceso in campo con Dell’Utri e Previti, sia stato un simpatico padre della Patria e avesse a cuore qualcosa di diverso dai suoi interessi e dalle sue barzellette.
Che Agnelli sia stato un grande imprenditore, un re a cavallo che si occupava davvero dei poveri italiani contenti di viaggiare sulle sue quattro ruote.
Che D’Alema, dai tempi dell’Ulivo, abbia mai smesso di tramare contro la sinistra e contro se stesso, caso psichiatrico, più che politico.
Che Beppe Grillo sia un comico che non fa paura.
casini
Che Pasolini sia stato ucciso dai servizi segreti, anzi dai petrolieri, e non da una banda di teppisti, probabilmente fascisti, che pericolosamente frequentava nei suoi libri e nelle sue notti.
Che i politici abbiano mai smesso di tormentare la Rai, telefonando, raccomandando, pretendendo nomi e luce, per poi insultarla alla prima occasione utile.
Che i costruttori abbiano mai smesso di fare affari e imbrogli sulle macerie dei terremoti e sui paesaggi italiani.
Che i banditi di tutte le risme, compresi i peggiori, i finti buoni, abbiano smesso di guadagnare sulla pelle degli immigrati.
Siamo il Paese del doppio Stato, delle doppie verità, della doppia velocità di crescita tra il Nord e il Sud, ammalato di quattro mafie.
gianni agnelli nudo
Siamo il Paese delle commissioni di inchiesta. Ne abbiamo avute ottantasei in una settantina di anni, la prima, nel 1948, sulla miseria degli italiani, l’ultima, nel 2017, sulle ricchezza fraudolenta delle banche, affidata niente di meno che a Pier Ferdinando Casini, l’ex portaborse di Forlani, ex socio di Mastella, ex galoppino di Berlusconi, per ora alleato di Renzi.
Abbiamo duemilatrecento miliardi di debito pubblico, il 130 per cento del nostro prodotto nazionale lordo, siamo appesi allo spread e facciamo finta di dimenticarcene anche se pesa come una catastrofe sempre imminente.
Evadiamo 111 miliardi di tasse ogni anno, senza riuscire a porvi rimedio, come sa fare qualunque altro paese, appena superato il confine di Chiasso. Tre milioni e mezzo di persone lavorano in nero.
RAI VIALE MAZZINI
L’economia sommersa vale 208 miliardi. Quella legale è ammalata di clientelismo, familismo, confraternite, cordate, tutte forme non sanguinarie della cultura mafiosa che coltiviamo dal basso. Perfezionando una trappola che mette in fuga migliaia di giovani laureati, ricercatori, imprenditori, artisti che cercano fortuna altrove, in Inghilterra, in Germania, in America, lontano dalle falangi di raccomandati, figli, nipoti, garzoni delle infinite nomenklature che intasano tutte le tubature della Repubblica.
Strilliamo contro gli immigrati, ma sappiamo come sfruttarli a fondo, nelle fabbriche del Nord, nelle campagne del Sud, persino nei centri di prima accoglienza, dove gli rubiamo gli spiccioli dell’assistenza. Vorremmo ributtarli in mare, salvo quelli che ci servono per la cura della casa, dei nostri figli, dei nostri anziani.
Abbiamo la classe politica tra le più corrotte d’Europa, la più ignorante, ma che è lo specchio fedele di un paese che muore di furbizia e conformismo. Dove si venera a chiacchiere la famiglia, ma non si consente alle giovani coppie di avere un lavoro decente e di fare figli.
sanremo 1981 alberto sordi e claudio cecchetto
Eppure.
Eppure andrebbe sempre ricordato da dove siamo partiti, cosa eravamo settanta anni fa, residui di un Paese fascista, razzista, analfabeta, distrutto dalla guerra costata mezzo milione di morti, e nutrito dai massacri compiuti dai nostri italiani brava gente in Albania, Grecia, Jugoslavia, Eritrea, Libia, dove abbiamo stuprato, impiccato, torturato. Per poi essere sconfitti dagli angloamericani, puniti, sottomessi. E poi salvati grazie al riscatto finale della Resistenza, e agli equilibri della guerra fredda.
Che ci hanno consentito di entrare nel nuovo consorzio di nazioni europee uscite anche loro distrutte dalla guerra, dalle dittature, dalla Shoah, dall’orrore. Tutti paesi in ginocchio, non solo noi e la Germania, gli sconfitti, ma anche l’Inghilterra e la Francia, i vincitori. Coi quali abbiamo imboccato l’unica via di rinascita possibile, quella dell’Europa unita.
sanremo 1980 benigni cotugno carlisi
Imperfetta, burocratica, lenta, ma che ha ci garantito uno sviluppo economico e culturale mai visti prima. La copertura della moneta unica, il mercato senza frontiere. Oltre a settant’anni di pace che ha voluto dire intelligenza non sprecata a ucciderci. Ha voluto dire democrazia, tolleranza, giustizia, emancipazione femminile, diritti delle minoranze, benessere sociale.
BEPPE GRILLO CON MARIO MEROLA NELL OTTANTADUE
Vantaggi che ci sembrano così naturali, dentro al nostro paesaggio di vita quotidiana, da non vederne più la lucentezza. Ipnotizzati dalla miserabile mistica delle piccole patrie, della piccola ricchezza, conquistata lavorando dentro la complessità del mondo, dal quale crediamo di difenderci con la semplificazione dei muri. Senza neanche sospettare che i muri imprigionano più di quanto proteggano.
BEPPE GRILLO CON SOLENGHI FIORETTA MARI BEPPE GRILLO PIPPO BAUDO
C’è un palazzo in cima al nostro bagnasciuga che è il simbolo di tutti i palazzi, il Quirinale con le sue milleduecento stanze, apoteosi del potere e dei pennacchi, che ho scelto come ultima tappa del viaggio. Immaginando quanto sarebbe bello chiuderlo per riaprirlo. Traslocando il presidente in un luogo più adatto alla sobrietà di una Repubblica, piuttosto che lasciarlo tra le ombre nere che furono dei papi, dei re, di quel potere distante, minaccioso e ottuso. Restituirlo agli italiani, in forma di spazio pubblico, sgomberarlo dai simboli che lo soffocano e finalmente, riempirlo di ossigeno, riempirlo di vita, annunciare un cambio di stagione.
BEPPE GRILLO CON LORETTA GOGGI ED HEATHER PARISI NEL SETTANTANOVE