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    ITALIA, IL FISCO E’ UN FIASCO - CON CIRCA 800 LEGGI FISCALI IN VIGORE, SERVONO 341 PAGINE DI ISTRUZIONI PER FARE UNA DICHIARAZIONE FISCALE - LA SCARSA RISCOSSIONE E I MANCATI ACCERTAMENTI INCIDONO SULL’ATTRATTIVITÀ DEGLI INVESTIMENTI ESTERI - POI CI SONO I GIUDICI TRIBUTARI (2700), DI CUI SI DOVREBBE DISCUTERE RUOLO E COMPETENZE: METÀ DELLE SENTENZE EMESSE È RIFORMATA NEI GRADI SUCCESSIVI - QUEI 20 MICROTRIBUTI, CON GETTITO COMPLESSIVO NON SUPERIORE AI 200 MILIONI, PRIVI DI UNA CORRETTA CODIFICAZIONE E SONO DIFFICILMENTE TRACCIABILI…


     
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    Ferruccio De Bortoli per “L’Economia - Corriere della Sera”

     

    Se lo stracitato marziano di Ennio Flaiano fosse arrivato a Roma nella primavera del 2022, avrebbe ovviamente avuto molte occasioni per cui stupirsi. Dibattito extraterrestre sul termovalorizzatore a parte.

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    Come prima cosa avrebbe constatato che nel caso di un’invasione — ma il marziano della commedia teatrale di Flaiano è imbelle, anzi finisce per essere vittima dei nostri difetti — il dibattito pubblico italiano si sarebbe concentrato sulle colpe degli aggrediti. Dunque, via libera? No, conoscendoci meglio il nostro strano ospite alla fine avrebbe consigliato ai suoi simili di lasciar perdere. Inutile invaderci. A maggior ragione dopo aver assistito una lunare discussione sulla riforma fiscale. Perché? Che cosa ne avrebbe dedotto? Prima di tutto che l’impegno generale di tutte le forze politiche — assolutamente encomiabile — è quello di ridurle. In Italia sono troppe. La pressione fiscale è elevatissima. Bravi.

     

    yacht in campania non dichiarati al fisco yacht in campania non dichiarati al fisco

    Salvo poi chiedersi se non ci sia qualcosa di esoterico, di imperscrutabile, nel nostro modo di essere, di affrontare la realtà. All’articolo 10 della legge delega è scritto a chiare lettere che la riforma — così generosa di promesse di pagare meno tasse debba avvenire «senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Miracoli in Terra. Com’è possibile? C’è qualcosa di assolutamente irresistibile nella capacità italiana di (non) fare i conti, avrebbe pensato il nostro marziano, al quale Flaiano diede il nome di Kunt. Meglio restare alla larga da questi qui.

     

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    Ha ragione Luigi Marattin, presidente della Commissione Finanze della Camera, che ha messo nell’opera titanica di riordinare i tributi competenza e passione: il dibattito sulla riforma fiscale è stato ed è il trionfo dell’ipocrisia. La maggioranza ha votato, il 5 ottobre scorso, all’unanimità (ma con l’uscita dei ministri leghisti) il testo della legge delega. Poi ognuno è andato per conto proprio. Sciolti. E si è discusso solo di catasto. Non del resto.

     

    Marattin, ospite nei giorni scorsi a Cernobbio del Forum delle professioni, organizzato da The European House-ambrosetti e da Teamsystem, si è lasciato andare all’amara considerazione che dei dieci articoli della riforma ci si è accapigliati solo sull’unico aspetto, il catasto, che non ha effetti fiscali.

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    La legge stessa fa sì che la nuova mappatura degli immobili non abbia conseguenze immediate sul calcolo dell’imu. Ma quando la radiografia sarà realizzata, non prima del gennaio del 2026, saremo in un’altra legislatura, con un nuovo governo. E sempre di legge ordinaria si tratta. Il Parlamento è sovrano (e chissà in quali condizioni di finanza pubblica ci troveremo, ma questo è un altro discorso).

     

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    Dunque, la promessa che le tasse sulle case non aumenteranno è un semplice auspicio. Parlare di certezza è invece un inganno. Anche perché alla rendita catastale se ne aggiunge un’altra, pur separata, che potrebbe facilmente essere usata per ridefinire gli imponibili ai fini dell’imu.

     

    Gli enti locali hanno comunque conservato la facoltà di collegare gli estimi ai valori di mercato. La riforma in ogni caso prevede tempi lunghi. Un massimo di 18 mesi per i decreti delegati. Ma va, finalmente, nella direzione giusta, cioè quella di ridurre il carico fiscale sul lavoro autonomo e d’impresa). Il principio costituzionale della progressività è limitato all’imposta sulle persone fisiche.

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    La flat tax per le partite Iva è confermata al 15 per cento. C’è un’ipotesi di portarla al 20 per cento fino a 80 mila euro. E soprattutto di evitare gradini eccessivi, frenando la tendenza del nero. Per gli autonomi è prevista poi la possibilità di superare il sistema degli acconti, spesso su redditi nemmeno incassati o del tutto teorici.

     

    La tassazione sui redditi da capitale, mobiliare e immobiliare, varia oggi dallo zero (dei Pir, i Piani individuali di risparmio) al 10 per cento per la cedolare secca, al 26 per cento sulle plusvalenze. Vi sarà un riordino? In quale direzione? Silenzio operoso (forse). Il principio di neutralità fiscale è nello spirito della delega.

     

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    Un primo intervento sull’irpef e sull’irap è già stato apportato con la Legge di Bilancio 2022 per un costo annuale di 6 miliardi. Le aliquote Irpef potrebbero essere ulteriormente ridotte a tre. L’irap è già stata abolita per 835 mila persone fisiche o ditte individuali, poi toccherà a professionisti, alle società di persone e, in prospettiva, a quelle di capitali, ma ovviamente bisognerà aumentare l’ires.

     

    I conti

    Di quanto? Peccato che non se ne parli. La semplificazione è un impegno prioritario. «Non è da Paese civile — nota Marattin — avere 341 pagine di istruzioni su come fare una dichiarazione fiscale». Sono circa 800 le leggi fiscali in vigore. Anche per l’iva la riforma prevede un riordino o meglio una migliore ripartizione tra beni e servizi con l’obiettivo finale di ridurre a due le aliquote. Con la conseguenza che in diversi casi, l’iva aumenterà. Inevitabile. Discorso scomodo, e certamente inopportuno, in una fase di forte inflazione e di esplosione dei costi delle materie prime, ma non eludibile.

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    Parlando a Cernobbio a una platea di professionisti, Marattin ha spiegato che vi sono alcuni temi, di grande importanza, che sono rimasti fuori dalla delega fiscale. In primo luogo, lo scoglio della riscossione e degli accertamenti, che tra l’altro incide fortemente sull’attrattività degli investimenti esteri.

     

    Non ha alcun senso dichiarare di avere un «magazzino fiscale», di tributi non versati, del tutto teorico, superiore a mille miliardi, essendo nel tempo morte le persone e decedute le aziende. La parte aggredibile è intorno agli 80 miliardi. Si avrà il coraggio di cancellarli, dato che sono crediti inesigibili che però paralizzano l’attività dell’agenzia delle Entrate?

     

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    C’è poi l’anomalia, tutta italiana, dei giudici tributari (2700), del loro ruolo e delle loro competenze. Metà delle sentenze emesse è riformata nei gradi successivi. Marattin denuncia poi il caso di 20 microtributi, con gettito complessivo non superiore ai 200 milioni, privi di una corretta codificazione. Si disperdono nella giungla fiscale fino a risultare difficilmente tracciabili.

     

    Onestà intellettuale

    «Se vogliamo ridurre il carico fiscale sui flussi legati al lavoro - spiega Tommaso Di Tanno, fondatore della Di Tanno & associati - dobbiamo avere l’onestà intellettuale di dire che occorrerà un maggior prelievo sui fattori diversi dal lavoro. Quali sono? I consumi, ovvero l’iva e le accise; per quanto riguarda il patrimonio, la tassazione sui proventi finanziari e sulla proprietà immobiliare (Imu, Tari, Tasi) e poi tutto ciò che attiene alla funzione pubblica, imposte di registro, ipotecarie, catastali, concessioni governative e altre minori. Tutto ciò nella delega fiscale è visibile in prospettiva, si scorge all’orizzonte, ma lo si rimuove con lo sguardo fisso al presente e alle prossime elezioni amministrative e politiche».

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    Quanto manca all’appello per rispettare l’articolo 10 della legge delega? Mal contati 15 miliardi (grosso modo il gettito dell’irap). Si può pensare di recuperarli con il margine fiscale che lo scorso anno è stato accresciuto dalla forte ripresa e dagli incassi superiori al previsto della fatturazione elettronica. O dalla lotta all’evasione fiscale, nell’intesa che tutto ciò che si recupera dovrebbe, come la legge già prevede, andare a beneficio di chi paga le tasse. Ma vi è sempre stato, anche con questo governo, qualcuno con un potere di lobby superiore. Il contribuente onesto, fino in fondo, non fa lobby. Paga e basta. In silenzio.

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