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    IN ITALIA CRESCE IL MOVIMENTO DI CHI VUOLE MOLLARE L'EUROPA, E SOPRATTUTTO L'EURO. SALVINI SI AMMOSCIA, I GRILLINI TENTENNANO? CI PENSA UNIMPRESA CON UNO STUDIO CHOC - I PAESI FUORI DALL'EURO HANNO AUMENTATO L'OCCUPAZIONE DALLA CRISI (2008-2015). CHI È DENTRO, HA PERSO MILIONI DI POSTI DI LAVORO. CON LA SOLITA ECCEZIONE DELLA GERMANIA, CHE CON IL SUO EXPORT SELVAGGIO E IRREGOLARE HA UCCISO LE ALTRE ECONOMIE - ''LIBERO'' INFELTRITO VUOLE DIVENTARE IL MEGAFONO DEI 'NO-EURO' ITALIANI E LANCIA LA CAMPAGNA PER UN REFERENDUM ANCHE IN ITALIA. MA AVVERTE: USCIRE ORA È UN SUICIDIO


     
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    1. FUORI DALL' EURO C' È LAVORO - TUTTI I PAESI EUROPEI SENZA MONETA UNICA, DALL' INIZIO DELLA CRISI A OGGI, HANNO AUMENTATO IL PROPRIO TASSO D' OCCUPAZIONE

    Martino Cervo per ''Libero Quotidiano''

     

    Che rapporto c' è tra euro e occupazione?

    unimpresa unimpresa

    Come si comporta il mercato del lavoro nei Paesi con la moneta unica rispetto ai competitor, spesso confinanti? Un recente studio di Unimpresa, basato su dati della Banca d' Italia, traccia un interessante scenario del periodo 2008-2015: un arco di tempo significativo perché permette di fotografare la risposta al peggior choc finanziario dal Dopoguerra, ovvero il fallimento di Lehman Brothers (15 settembre 2008).

     

    La ricerca, pubblicata sul sito http://goo.gl/v12uB8 , restituisce un quadro piuttosto inequivoco: fuori dall' euro si lavora di più. La stessa associazione infatti parla di un andamento «a due velocità» dopo il crac dei subprime: dal 2008 al 2015 l' occupazione è calata nell' area dell' euro di oltre 3 milioni di unità (-2%), mentre è cresciuta di 1 milione (+1,4%) nei Paesi che non adottano la moneta unica. La somma algebrica delle due aree ha visto calare il totale degli occupati di oltre 2 milioni: da 222,8 a 220,7.

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    "Colpa" dell' euro? Ovviamente ogni Paese ha dinamiche proprie e ogni analisi che identifichi un solo fattore sarebbe parziale. Di certo l' eurozona nel suo insieme si mostra meno adatta ad assorbire i periodi di magra. Se si arretra nel periodo di osservazione, come per esempio fanno le statistiche della Commissione europea, si nota come prima del 2008 fosse difficile distinguere dal dato occupazionale i Paesi con l' euro e quelli senza.

     

    Ad esempio, nelle tabelle degli Economic Outlook periodicamente aggiornati dalle istituzioni comunitarie, il quinquennio 1997-2001 (cioè con oscillazioni del cambio contenute ma senza l' euro come moneta corrente) registra un +1,6 nell' occupazione per l' area euro e un +1% per l' intera Unione. Italia e Germania, per fare un esempio, in questo periodo guadagnano entrambe l' 1% di posti di lavoro; la Francia fa +1,8%.

     

    occupazione area euro e fuori euro occupazione area euro e fuori euro

    Neppure il quinquennio successivo 2002-06, a euro introdotto, fa registrare scossoni: l' eurozona fa +0,8% (col nostro Paese in media, mentre la Germania perde lo 0,1% di occupati) e l' Unione fa 0,6%.

     

    Poi arriva la crisi, e il periodo 2007-11 fa stagnare l' occupazione in tutta l' area: dato invariato per tutta l' Europa, euro o no. È dal 2011 che il vantaggio dei Paesi del "club" sul totale del continente scompare. Nel 2012 l' occupazione con l' euro scende dello 0,8%, nell' intera Unione dello 0,6.

     

    Nel 2013 il calo del primo gruppo è doppio: ancora 0,8%, mentre in tutta Europa è 0,4. Il rimbalzino del 2014 fa guadagnare ai Paesi con la moneta unica lo 0,6% di occupati; in Europa il dato complessivo è +1%.

     

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    L' indagine Unimpresa permette di arrivare al 2015 e di tirare le somme: otto anni in cui a mettere il segno meno agli occupati di tutto il continente è l' area euro. Dentro la quale, però, non tutti sono messi allo stesso modo. Anzi: fra i quattro grandi la Francia se la cava (+456mila lavoratori), la Germania fa +1,6 milioni, mentre l' Italia ha lasciato sul campo 625mila posti e la Spagna 2,6 milioni. A mantenere un saldo positivo di occupati ci sono solo, con i piccoli Lussemburgo e Malta, il Belgio e l' Olanda.

     

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    Perché? Al netto di tesi semplificatorie (ovviamente ci sono anche Paesi europei fuori dall' euro che hanno perso occupati), non è ardito sostenere che una moneta artificialmente forte per molte economie (tra cui quelle del "sud" Europa) come tale può penalizzare la produzione in casa, perché è più conveniente comprare e produrre all' estero: non a caso sono anni di massicce delocalizzazioni. Poi c' è soprattutto la risposta alla crisi, politicamente dettata dai Paesi creditori, Germania su tutti.

     

    grexit grexit

    L' austerity, necessaria per salvaguardare i crediti del sistema bancario che ruota attorno al colosso tedesco, ha impedito attraverso i vincoli di bilancio risposte economiche anticicliche (cioè più spesa in periodi di crisi), abbattendo («distruggendo», come disse l' allora presidente del Consiglio Mario Monti) la domanda interna, i redditi e l' occupazione.

     

    Un meccanismo che ha amplificato gli squilibri interni all' eurozona, privata della leva di aggiustamento del cambio. Piuttosto impressionante il paragone tra due paesi confrontabili come Finlandia e Svezia: il primo (aderente all' euro) come mostra la ricerca Unimpresa ha ceduto quasi il 4 per cento di occupati, la Svezia (che ha la corona) non ha conosciuto, secondo i dati della Ue, variazioni negative anno su anno nel suo mercato del lavoro in questo millennio.

     

     

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    2. COSA DOBBIAMO FARE PER USCIRE SENZA DANNI DALLA MONETA UNICA

    Carlo Pelanda per ''Libero Quotidiano''

     

    Per restare nell' euro o uscirne, evitando danni, comunque l' Italia dovrebbe fare le stesse cose entro un periodo di 5 anni. Questo è il risultato di una simulazione macro svolta dal mio gruppo di ricerca, che qui semplifico. In questo momento l' Italia non può né restare nell' euro né uscirne senza danni e c' è bisogno di un tempo tecnico per rinforzarla affinché o possa stare più comodamente nell' euro stesso oppure tornare con tranquillità alla sovranità monetaria e di bilancio.

    BREXIT - THE MIRROR BREXIT - THE MIRROR

     

    La priorità è ridurre il debito. Le regole dell' Eurozona impongono di farlo con metodi deflazionistici, per esempio il rigore inteso come più tasse e meno spesa per investimenti, creando un paradosso: se l' Italia riducesse il debito seguendo le euroregole cadrebbe in una decrescita inarrestabile.

     

    Prima del burrone, dove si sfracellerebbe anche l' euro, l' Italia sarebbe "salvata" da un commissariamento europeo, cioè dalla Germania, che garantirebbe la sua finanza pubblica, ma in cambio di una ascarizzazione geopolitica, di un' accettazione del rigore estremo e del dominio tedesco sul sistema economico italiano.

     

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     La Germania, però, potrebbe non trovare vantaggi in tale operazione, preferendo una crisi totale dell' Italia che farebbe implodere l' euro, imputando a Roma la catastrofe, sapendo che poi l' Italia se la conquisterebbe comunque senza dovere spendere soldi di garanzia, cosa alla quale l' elettorato tedesco è totalmente ostile. La priorità per Berlino sarebbe di evitare una svalutazione competitiva che darebbe impulso alla residua ma ancora robusta potenza industriale italiana a danno di quella tedesca, motivo per il quale ha voluto l' Italia nell' euro nonostante non rispettasse i parametri.

     

    Certamente nei think tank tedeschi, a porte chiuse, si valuta con simulazioni simili a quella qui accennata se convenga dare un po' di euroflessibilità all' Italia per allungarne l' agonia senza farla morire, tenendola sotto controllo con lo strumento europeo, oppure far crollare l' euro e annettere un' Italia in ginocchio nell' area del nuovo marco. Ma, appunto, la flessibilità che la Germania può accettare senza rivolte interne è poca e pertanto le alternative per l' Italia sono l' agonia lenta oppure l' implosione indotta strumentalmente.

    euro crisi euro crisi

     

    Sarebbe meglio uscire, quindi? Se si trovasse un modo, ora come ora, il mercato finanziario globale pretenderebbe un premio di rischio insostenibile per rifinanziare il debito italiano, il sistema bancario perderebbe capitali e le imprese si troverebbero senza credito, la lira resterebbe svalutata a lungo inducendo barriere doganali negli altri europei, e l' inflazione distruggerebbe il potere d' acquisito di salari e pensioni, ecc., nonostante la possibilità di stampare moneta, e monetizzare il debito, fornita dal ritorno alla sovranità monetaria. Interverrebbe l' America a salvarci perché pilastri della Nato?

     

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    Un po', ma non a sufficienza perché avrebbe come interlocutore principale la Germania - le potenze si accordano tra pari - e lascerebbe a Berlino il compito di sistemare il casino italiano.

     

    Alla fine, se l' Italia non risolve il problema del debito non potrà né restare nell' euro né uscirne senza danni fatali. Ma come farlo entro l' eurogabbia che impedisce stimolazioni in deficit della crescita?

     

    L' unica è vendere patrimonio pubblico per ridurre almeno di un 20% il debito complessivo, circa 450 miliardi. Il patrimonio disponibile (immobili, concessioni e partecipazioni) è superiore a questa cifra e gli immobili trasferiti agli enti locali possono essere ricollocati in un fondo centrale.

     

    Si tratta di conferire il patrimonio in un fondo con la missione di valorizzarlo sia facendolo rendere di più sia vendendolo in tempi lunghi, ma subito emettendo obbligazioni con sottostante il rendimento di tale operazione. Queste obbligazioni, poi, potranno essere date in pagamento dei titoli di Stato giunti a maturazione a una platea globale di investitori istituzionali, senza dover fare nuovo debito per ripagarli. E così si ridurrebbe il debito, anche in soli 3 anni, con un risparmio di circa 18 miliardi all' anno sulla spesa per interessi e di altri 4 almeno sul costo di rifinanziamento grazie al miglioramento del rating.

     

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    Con circa 22 miliardi in più all' anno un governo potrebbe avviare una detassazione più spinta, più investimenti modernizzanti e allo stesso tempo arrivare al pareggio di bilancio. La crescita in Italia aumenterebbe migliorando ulteriormente il rapporto debito/Pil. Al quarto o quinto anno, in questo scenario, potremmo sia stare a nostro agio e più potenti nell' Eurozona, de-germanizzandola, sia, grazie a più solidità, tornare alla sovranità monetaria ottenendo fiducia dal mercato internazionale. Solo così potremmo scegliere.

     

    La finanziarizzazione del patrimonio per ridurre il debito è operazione difficilissima? Certo, ma non impossibile con una buona ingegneria. Proviamoci, invece di euroagonizzare giulivi, a sinistra, e di straparlare come galline senza testa, a destra e tra le stelle.

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