Giulia Zonca per “La Stampa”
marcell jacobs
Marcell Jacobs cammina sulla pista di Belgrado con lo sguardo a terra: «È strana, ti fa rimbalzare, ti fa schizzare in alto le ginocchia e resti sul posto invece di avanzare». Si riparte da qui, da una superficie da domare, dai Mondiali indoor, a caccia di sensazioni e medaglie nel nuovo confronto globale dopo l'estasi olimpica. Si riparte da Belgrado che vorrebbe dedicargli una strada, almeno così gli fanno sapere «sommerso da complimenti che proprio non mi aspettavo».
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Noi lo consideriamo l'italiano che ha stravolto la velocità, ma in Europa è lo sprinter che batte gli americani e in Serbia è una nota di merito significativa. Stavolta la sfida con gli Usa è quasi inedita perché è vero che lui e Christian Coleman, padrone del record dei 60 metri, si sono già incontrati, però prima della stagione di grazia dell'azzurro.
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Quando Jacobs ha iniziato ad abbassare il cronometro l'altro, campione del mondo, era squalificato. Fuori 9 mesi per aver saltato tre controlli antidoping e ora dentro convinto che con lui in pista a Tokyo sarebbe andata diversamente. Non c'è risposta, solo futuro.
Marcell, prima sfida con Coleman dai Mondiali del 2019. Lui è diventato più amichevole ora che la ritrova da campione olimpico?
«No, no, no, è rimasto super composto nella sua super posizione con la sua super espressione, ma mi ha salutato e non l'ho mai visto dire ciao a nessuno».
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Un passo avanti.
«Io gli avevo mandato un messaggio via social con i complimenti per il 6"45 che ha fatto quest' anno e lui ha risposto "Grazie fratello, lo stesso vale per te", quindi siamo a due passi avanti. Rispetto alla sua studiata distanza, ovvio».
Distanza che lei continua a non tenere.
«Io sono me stesso, mi piace essere... cazzone anche se forse è la parola sbagliata e non spiega davvero il concetto: mi diverto, sono qui a fare quello che mi entusiasma. Dovrei sfoggiare una faccia truce per sembrare più grande grosso e cattivo? Vivo queste gare con piacere, con gusto e gioia, non riuscirei a fingere di essere arrabbiato solo perché lo sprinter da copione deve fare un po' il bullo».
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Forse è una posa che a lei non dà energia.
«Me la toglie perché è fintissima e ci dovrei pensare per comportarmi in quel modo, correre è il mio sogno da bambino, posso solo sorridere e continuare a salutare con enfasi tutti i miei rivali perché sto alle giostre».
Tempi alla mano Coleman è battibile?
«Nessuno è imbattibile. I 60 metri sono il suo regno, io cercherò di stargli più vicino possibile almeno fino ai 35 metri e lì perderò per forza qualcosa da lui, ma se riesco a non mollarlo poi inizia la mia parte forte. Sui 100 ho un margine per l'accelerata, qui no. Il sogno è stargli avanti un millesimo, stargli oltre in qualche modo».
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Ha aggiustato la partenza dopo la falsa nell'ultima gara, proprio su questa pista?
«Sono dell'idea che deve succedere tutto quello che può succedere prima del grande appuntamento, così hai già vissuto l'esperienza. Ora sono tranquillo».
L'ultima prova generale sui blocchi come è andata?
«Altra falsa. No, scherzo: volevano a tutti i costi farci andare con lo sparo, io ero concentrato sui dettagli miei così ho continuato a partire in controtempo. Poi ho rivisto tutto nei video e ancora c'è bisogno di limare delle imperfezioni, ma mi pare di averla quasi capita sta pista».
E ha capito come si vive da campione olimpico?
«I piedi da terrà non li ho mai staccati».
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Torniamo a quando li staccava, per saltare in lungo. Di quella fase della carriera che cosa si è tenuto?
«Anche allora il punto forte era la velocità, lì contava solo l'accelerata, lo start non esisteva. Quando è servito, all'inizio mi sono mantenuto fedele alla scuola italiana solo che non era adatta a me. Con il mio allenatore Paolo Camossi abbiamo aggiunto altro, costruito sul mio fisico. Ed eccoci qui. A cercare di andare ancora più forte».
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L'anno scorso dalla vittoria agli Euroindoor è stato tutto un crescendo. Ora che sensazioni ha?
«Mi piacerebbe ripetere lo stesso percorso, però ogni stagione è diversa. Io ho la mia consapevolezza e sono in pace. Sentivo di più la pressione prima, quando dovevo dimostrare a me stesso di valere».
È molto luccicante. Gioielli post olimpici?
«Mi sono regalato un bracciale, un orologio che brilla e una collana e... basta, ho fatto il bravo. Sono appassionato di queste cose, si devono vedere se no non ha senso, mi sono tenuto ancora basso. Per adesso».
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