Non riesco a spiegarmi il boicottaggio da parte di @mediasetrete_4 che ieri ha programmato Sapore di mare nella stessa sera in cui il film riusciva restaurato nelle sale cinematografiche. #saporedimare @MinervaPictures pic.twitter.com/viTF8AiKQW
— Jerry Cala' Official (@JerryCala) August 30, 2024
Giulia Cazzaniga per “La Verità” - Estratti
jerry calà vacanze in america
Ieri sera ha fatto cantare e ridere gli affezionati della Capannina di Forte dei Marmi, nella tradizionale serata agostana in onore del 95esimo compleanno del locale, con Manuela Arcuri. Il resto del mese lo dedica alla vacanza e alla famiglia, a casa sua a Poltu Quatu in Sardegna, a riposo dopo la tournée con Una vita da libidine concert-show, prodotto dalla The best organization, che ripercorre la carriera tra canzoni e gag.
Lo è sempre, la sua, una vita da libidine?
«Beh, mentre ci parliamo al telefono è un momento di grande libidine, per esempio. Sono in barca a vela, con amici cari, cullato dal vento e con il panorama della Costa Smeralda laggiù in fondo».
Vocabolario Treccani: libidine. «Impulso sessuale incontrollabile» o «desiderio smodato di qualcosa». Per lei?
(Ride, ndr) «È il piacere, quello totale, che senti soprattutto nella mente. È godimento, sì, ma gli ho sempre dato un significato esteso».
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Non c’è italiano che non conosca il suo tormentone.
«Faceva parte di una sorta di gergo della notte milanese ai tempi del Derby club di Milano. Si accompagnava spesso con un mugolio - “mmmm libidine” - ed era una cosa che piaceva molto a tutti. E iniziai a lavorare per il film con Bud Spencer, Bomber».
Era il 1982.
«A un certo punto il regista dice di aver bisogno di tre momenti in crescita durante l’incontro di pugilato, facevo la parte dell’allenatore. E allora mi viene in mente questo modo di dire milanese e mi invento quel “doppia libidine” e poi “libidine coi fiocchi”».
A ricordarli oggi, dalla barca a vela, quali sono stati i momenti di massima libidine?
«La più grande quando è nato mio figlio, un momento di apice totale. Lì la libidine era piena, colma di felicità e benessere, totalizzante davvero. Era il 2003 e io avevo 52 anni».
Era un desiderio, quello della paternità?
umberto smaila, nini salerno, jerry cala?? e franco oppini i gatti di vicolo miracoli
«Ero incerto, sa? L’ho capito solo quando ho conosciuto Bettina, mia moglie (Castioni, sposata nel 2002, ndr). Mi sono detto: finalmente».
Nella classifica dei momenti lavorativi invece c’è qualche film che primeggia?
«La lavorazione più divertente è stata senza dubbio quella del 1983, Vacanze di Natale. Cortina era tutta per noi, il gruppo di attori era molto affiatato e per così dire gaudente. Indimenticabile. Ma pure con Sapore di mare ci siamo divertiti parecchio».
Il film diretto da Carlo Vanzina con lei Christian De Sica, Isabella Ferrari, Marina Suma e Virna Lisi torna nelle sale dei cinema la prossima settimana, con una edizione restaurata in 4K. Livello di soddisfazione?
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«Grandissima. Tanta roba. Vuol dire che questi film sono entrati nel cuore della gente, facendo pure la storia del cinema italiano».
È vero che fu grazie al rifiuto di Mauro Di Francesco che lei ebbe la parte nel film?
«Verissimo, sì, rifiutò per andare a fare Attila flagello di Dio con il mio grande amico Diego (Abatantuono, ndr). Mi trovai questo copione in mano e capii subito che sarebbe stato un film di grande successo».
Lo sente ancora, quel sapore di mare?
«Non è lo stesso. Perché in quel film raccontavamo le vacanze fatte apposta per socializzare, e oggi vedo invece ragazzi fermi sulle sdraio con gli occhi fissi sul cellulare. L’altra sera notavo che a passeggiare alla sera c’erano gruppi di maschi e di femmine separati, chissà perché. Noi ci si guardava, soprattutto guardavamo le ragazze».
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Solo guardare?
«Era tempo di intensi amori estivi, che a volte finivano e altre diventavano grandi amori per la vita».
Non ne nascono più?
«Spero di sì, spero che si riesca a trovare il tempo in queste vacanze-lavoro: prenota l’aperitivo, organizza la serata, cerchiamo un tavolo in tal locale… eh la Madonna, per dirla con Pozzetto».
Si era più leggeri?
«E più liberi. Durante i miei spettacoli vedo che il pubblico desidera sempre leggerezza, desidera ridere. E però forse si ride di meno, oggi. La mia generazione faceva battute a raffica, senza pensare alle conseguenze e senza temere che si potesse offendere qualche categoria o associazione».
Non vi importava?
«No, è che proprio non si offendeva nessuno, negli anni Ottanta.
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Per carità, lo dico e scriviamolo: sono d’accordo che bisogna prestare maggiore attenzione. Certe esagerazioni però ce le potremmo risparmiare. C’è proprio la tendenza a esagerare. Alcune scene mi rendo conto che oggi non avremmo potuto nemmeno girarle».
Per fare un esempio?
«Vacanze in America, la scena sulla terrazza a New York. Salgo per una festa e si scopre che il Liveranni Ermanno non è più “lo schiantatope” dei tempi del liceo.
Ecco, lo sento che ride anche lei, faceva molto ridere, ma oggi sarebbe messa all’indice quella scena lì. Eravamo spudorati, ma sempre con simpatia».
Qualche anno fa fece discutere una sua frase: aveva detto che faticava a lavorare perché non era in odore di sinistra. Poi Giorgia Meloni la invitò ad Atreju…
«Scusi no la fermo subito, perché questo è un campo minato. Quell’invito non lo accettai, e da allora ho deciso di tenermi ogni idea minimamente politica per me, anche perché faccio l’attore che è tutt’altro mestiere. Non sa cosa si scatenò, ci furono persino delle minacce sui social rivolte a me e alla mia famiglia. Non ne parlo e anzi quasi mi viene da dirle che ritratto tutto, che ho detto una stupidata. A proposito di saper ridere delle cose…».
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(…)
L’avete trovata. I suoi come la presero?
«Mia mamma mi ha sempre appoggiato, mi riconosceva il talento artistico perché fin dai 13 anni suonavo in complessini della Verona beat, sulla quale poi scrivemmo anche una canzone con i Gatti di vico miracoli. Con mio padre fu più dura, mi pensava ingegnere, perlomeno laureato. Poi capì che era una cosa seria, bastò invitarlo alla nostra prima serata a teatro».
Un altro punto di svolta c’è stato?
«Sì, e per diventare l’uomo che sono ora. Più che una svolta, un taglio netto. L’incidente stradale nel 1994».
Le cronache raccontano la rottura dell’arteria femorale, l’operazione d’urgenza. Sei mesi in sedia a rotelle.
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«Dopo essermi salvato per un pelo la vita, ripartii da capo. Ho fatto il reset della classifica dei valori. Quando accadde, ero diventato troppo maniaco del lavoro, davvero insopportabile».
A che livello?
«Per dirgliene una, ogni sera telefonavo ai cinema per sapere come erano andati gli incassi dei miei film».
Dopo?
«Dopo ho messo in cima alla classifica la vita stessa. Un taglio di mentalità. Sono riuscito a prendere questo lavoro con calma, ed è rinata la voglia di sperimentare, proporre cose nuove. Ero arrivato al punto che rifiutavo di esibirmi dal vivo, perché ero fissato per il cinema. E poi invece tornare in scena mi ha consentito di divertirmi ancora, di ricevere dalle persone quella sensazione bellissima portata dalle loro risate».
Non fu l’unico problema di salute.
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«No, le sfighe poi non sono finite. L’anno scorso l’infartino a Napoli, e però la sanità pubblica nonostante ne parlino tanto male mi ha salvato ancora una volta la vita. Ho tre stent cardiaci, conduco una vita di stent (ride, ndr)».
Troppe prescrizioni dei dottori?
«Ci provo, si sono raccomandati. Se sono a casa, sono iper controllato.
Certo, quando si è in giro per lavoro è più complicato… ma mi trattengo, sono arrivato ormai a una certa e voglio arrivare a una ancora più alta. Perché la vita è così bella che vale la pena viverla tutta a pieno».
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