Salvatore Dama per “Libero Quotidiano”
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«A 14 anni mi chiamavano la "Santa". Uno mi appoggiò la mano sulla spalla. Gli dissi: "Non ti permettere più!". Era il frutto dell'educazione che avevo ricevuto a casa. Mia mamma mi diceva: i ragazzi vogliono solo quello».
La biografia di Jessica Rizzo si intitola Nata bene (D Editore, euro 16,90). Che poi è l'etimologia greca del suo vero nome. Si chiama Eugenia. Pornoattrice, imprenditrice, manager di club privè.
il libro nata bene di jessica rizzo
Partiamo dall'inizio. Lei viene dalla provincia, Fabriano, e da una famiglia molto tradizionale. Sono gli anni Ottanta e il sesso a casa è un tabù.
«Non se ne parlava proprio. Avevo dieci anni e un gruppo di ragazzini mi fece un indovinello: "Sul tavolo ci sono un martello e una sega. Se io ti tiro il martello, tu che fai?", mi domandò uno.
"Ti tiro una sega", dissi io, ingenua. Quelli ridevano e io non sapevo perché. Andai a casa e chiesi spiegazioni. "Da grande capirai", mi dissero i miei. Tutto quello che c'era da sapere sul sesso lo appresi dalle mie amiche».
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Prima volta tardi: a 18 anni. Con Marco, che poi è diventato suo marito.
«Ho attraversato tutte le fasi dell'evoluzione sessuale. Dalla donna sottomessa e servizievole alla rivoluzione femminile. C'era questa mentalità: se lei si concede è una puttana, se lui ha l'harem è un macho. Mi sono ribellata».
Nel libro scrive: «La prima volta che presi un pene in mano mi sembrava un manico di scopa. Poco eccitante, non sapevo cosa farci».
«Non ne avevo mai visto uno. Il primo è stato quello del mio futuro e attuale marito. Abbiamo avuto il primo rapporto dopo sei mesi di fidanzamento. Gliel'ho fatta sudare».
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Dopo però lei si è rifatta con gli interessi.
«Esatto» (Ride).
Aveva questa fantasia: farlo davanti a una telecamera.
«Sì. Abbiamo cominciato da soli con la telecamerina. Ma era poco eccitante. Mi piaceva l'idea di un cameraman intorno che cogliesse i dettagli. All'epoca c'era Fermo Posta, dove lasciavi gli annunci per incontrare altre coppie scambiste. Poi abbiamo conosciuto i primi registi amatoriali, presto siamo entrati nel giro dei trasgressivi. È stato tutto molto naturale. All'inizio andavo in video con la parrucca».
JESSICA RIZZO
Però l'hanno riconosciuta. Scandalo a Fabriano.
«Sono arrivati con i pullman. Giornalisti ovunque. Mia mamma non poteva uscire più di casa. Mia sorella veniva massacrata a lavoro. Per anni non mi hanno parlato. Poi hanno capito che era la nostra vita. Eravamo sposati. Quindi, nella loro ottica, sistemati. Non ci siamo più nascosti».
Dal porno casalingo ai set professionali. Com' è andata?
«Eravamo un fatto nuovo. C'erano gli attori porno, ma erano singoli. Noi eravamo la coppia trasgressiva, quella della porta accanto, che faceva performance hard davanti alla telecamera. Io non volevo diventare famosa, era un gioco che mi eccitava, non un lavoro».
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Lo è diventato.
«Ci trovammo catapultati su un set con Moana Pozzi. Mio marito doveva girare una scena con lei sul cofano di una macchina. Moana gli disse: "Vedi di fartelo venire duro che non ho tempo da perdere". Capirai: avrebbe smontato qualsiasi uomo! Lo aiutai io. Mi misi in un cespuglio e iniziai a masturbarmi. Marco guardava me e scopava lei. Alla fine gli fece i complimenti».
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Che tipo era Moana?
«Giustamente altezzosa. Era una diva. Noi esordienti. A telecamere spente si levava. Io continuavo a giocare con gli attori, per mantenerli in tiro».
Baby Pozzi?
«Non aveva grande propensione al porno. Per esempio, non voleva farsi venire in faccia. Era sui set forse per sfruttare un po' la scia della sorella».
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Lei ha mai finto un orgasmo in scena?
«A volte dovevo fare delle parodie con degli attori che non erano bellissimi. E lì capitava. Però quando abbiamo iniziato a produrre i film da soli, ce li facevamo su misura, con le storie che mi eccitavano.
Abbiamo avviato una linea di porno amatoriali e nessuno ci credeva. Siamo stati i primi, pensavamo che gli italiani non volessero solo vedere gli attori, ma anche masturbarsi con la casalinga, che magari era più porca e più vera».
Tolto suo marito, un altro pornoattore chele è rimasto nel cuore?
«Ho lavorato con italiani e stranieri. Anche con Rocco. Eravamo entrambi esordienti. Una persona squisita. Ho girato spesso con Roberto Malone. Quando siamo sbarcati a Hollywood ho conosciuto gli attori americani. Troppo schematizzati.
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Funzionavano, ma erano macchine. Girando una scena chiesi una penetrazione anale, il tizio mi disse di no: nel copione non c'era scritto. I francesi invece erano degli sfondatori. Li mandavi a ruota libera, prendevano molta iniziativa, facevano molto di più del copione».
In totale ha fatto 250 film. Con quanti attori ha fatto sesso, li hai mai contati?
«No. Ero trasgressiva e lo sono anche oggi, continuo a giocare nel mio club».
Qualche migliaio?
«Come faccio a contarli? Solo in un film ho fatto una gang bang con 85 uomini...».
Come ha fatto a gestirne 85?
«Dalla mattina alla sera».
In gruppi?
«A turno».
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Quanti per turno?
«Tre-quattro. A rotazione. Abbiamo girato in Francia, in Italia non si trovavano 85 attori validi. Magari aspiranti sì. Ma o non erano in grado o ce l'avevano piccolo».
Quando dice "piccolo", qual è lo standard, scusi?
«No vabbè, alcuni avevano un mignolo... Non puoi fare il pornoattore con un pisellino così piccolo, che sarebbe stato piccolo anche nella vita normale».
Nella biografia scrive: «Avevo la fantasia di girare una scena di sesso con un nano». Perché?
«Avevo fatto scene con uomini di tutti i colori, volevo un nano. In uno spettacolo a Milano se ne presentò uno. Era un mio fan. Gli proposi una scena di sesso in un mio film. Rispose: "Magari!". Così lo abbiamo reclutato».
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Da attori siete diventati anche imprenditori. Negli anni d'oro quanto vi rendeva un film?
«Non dico la cifra, ma con due-tre film ti potevi comprare un bel appartamento».
Cento milioni di lire a film?
«Circa».
Ai tempi di Pornhub si fanno ancora i soldi con il porno?
«Penso che le pornoattrici di oggi guadagnino 2-3 mila euro a film, se va bene. Non esiste paragone. Noi andavamo a fare spettacoli di venti minuti per cinque milioni di lire. Ora si spogliano per 150 euro».
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Oltre a Pornhub c'è anche Onlyfans. Si guadagna vendendo video e foto.
«Ce l'ho anche io, ci ho giocato in pandemia. Il fatto è che è crollato il divismo. Prima c'era gente che faceva due ore di fila sotto la pioggia per poter avere un posto in prima fila in teatro. Ora gli spogliarelli si fanno dappertutto. Siamo più assuefatti e meno sognatori».
Ha un club per scambisti a Roma. È un genere di intrattenimento che funziona ancora?
«Funziona, ma in maniera diversa. Un tempo era frequentato da persone grandi, con vent' anni di matrimonio alle spalle, che volevano ravvivare il rapporto. Adesso ci sono i ragazzi giovani. Ma non sanno approcciare. Sono abituati con Internet. Vogliono farsi una scopata e trovano già tutto apparecchiato, non devono sforzarsi nel corteggiamento. Sono meccanici».
È la conseguenza dell'educazione sessuale appaltata ai siti porno?
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«Il porno fa anche bene, ma non bisogna esagerare. Ti distoglie dalla realtà. Quando nel club vedo gli sprovveduti, cerco di aiutarli. Il singolo da solo non ha più la maniera di proporsi. Anche la coppia più porcellina alla fine si smonta».
Come immagina il suo futuro?
«In salute. Con i miei cani».
Non ha voluto figli.
«Avere figli e non avere il tempo di educarli all'epoca non mi sembrava giusto. Non volevo coinvolgere altre persone nelle mie scelte».
Ancora trasgressione?
«Sicuramente. Magari, non lo so, a settant'anni farò una casa di riposo hard per anziani con bastone e dentiera...».
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