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Andrea Carugati per "la Stampa"
«Non ho paura di invecchiare, però voglio farlo con grazia, comprando un sacco di maglie con il collo alto, o una bella gorgiera come quella che usa il Joker. L'unica cosa di cui ho paura è la luce in verticale sopra la testa. Essere nudo in piena luce dopo una certa età è come la criptonite per Superman, tutto grida rughe! Vecchiaia! Per il resto tutto bene, grazie». Ecco Jim Carrey, sempre a cavallo tra il serio e il faceto.
Complesso interprete di personaggi comici accompagnati da un'ombra di tristezza e di personaggi tragici accompagnati da un guizzo di allegria. Una carriera sfavillante quella «dell'uomo di gomma», 60 anni oggi, che ha toccato il picco del successo con The Truman Show, per cui ha vinto anche un Golden Globe e che ha rallentato, per sua esplicita scelta, solo nell'ultimo decennio.
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L'ultimo ruolo di rilievo al cinema risale infatti a otto anni fa, con il sequel di Scemo e più Scemo, ma non sarà l'ultimo, anzi, in arrivo c'è anche il sequel di Ace Ventura, il film che lo ha lanciato nel firmamento hollywoodiano. Una carriera, la sua, iniziata sui palchi dei piccoli teatri, come comico «in piedi»'. Una strada indicatagli dal padre, con cui lavorava in fabbrica, in Canada, e che come lui aveva una mimica facciale straordinaria e un umorismo innato cui l'attore non ha mai fatto mistero di essersi ispirato.
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«Di fatto i personaggi che interpreto sono un'imitazione di mio padre. Un uomo infinitamente gioioso, incredibilmente divertente. Era quasi un cartone animato. Tutto quello che ho fatto in commedia deriva da lui. L'ho amato tanto. Quando si è depresso profondamente ho cercato di aiutarlo facendolo ridere. Lo facevo ridere così tanto da fargli sputare la dentiera. Da quel momento in poi ha cominciato a sognare attraverso di me e per me, e lentamente si è ripreso».
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La depressione, altro aspetto ereditato dal padre. «Ne ho sofferto per anni, sono sempre stato onesto al riguardo. Ora non è più la mia compagna costante come è stata in passato, per tanto tempo. Ora quando piove, piove. La differenza è che la pioggia non resta abbastanza da permettere di immergermi e annegare, come invece accadeva prima. Ho imparato a tirare fuori quello che avevo dentro.
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Per anni curavo la mia depressione con gli psicofarmaci e per un po' è andata bene, poi un giorno ho capito che stavo solo rimandando il momento della resa dei conti. Prima o poi avrei pagato un prezzo. I medicinali mi facevano sentire bene, ma non mi permettevano di guardarmi dentro, di capire la ragione della mia rabbia. Ero profondamente arrabbiato e frustrato e se tu non dai voce a questi sentimenti, se li reprimi o li sopisci con le medicine, un giorno scoppi.
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Ha presente quei poveracci che entrano in una scuola armati fino ai denti e sparano a tutti? È perché hanno represso la loro rabbia e sono scoppiati. Credo che la cosa più importante sia insegnare alla gente ad esprimersi. Insegnare che un uomo può piangere senza che venga considerato un debole. Devi piangere, altrimenti ti ammali».
È dalle difficoltà e dal dramma che nasce la commedia, si usa dire. E Jim Carrey non fa eccezione alla regola del clown triste. Anni fa, quando era ancora un ragazzo, la sua famiglia fu investita da una crisi economica profonda, perse tutto e i Carrey per un periodo andarono a vivere in un caravan, furono costretti ad accettare i lavori più disparati. Jim lasciò la scuola e trovò un lavoro come addetto alle pulizie. Nacque così la sua rabbia. Jim ce l'aveva con tutti. Si salvavano la famiglia e l'amore per la commedia.
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«La vita era davvero dura in quel periodo e per cercare di renderla più semplice mi ero fissato un magnifico obbiettivo da perseguire. Diventare una star, conoscere altre celebrità, essere un attore ricercato. Ricordo che mi ero dato cinque anni di tempo per riuscirci. Ne avevo sedici». A poco più di venti aveva già una decina di progetti alle spalle, tra cui Le ragazze della terra sono facili. A venticinque il grande successo, planetario, con Ace Ventura, l'acchiappa animali, di cui ora, con Amazon, sta realizzando il terzo episodio della saga.
Obbiettivo realizzato: anche se con la solita ombra al seguito. Un rapporto con la fama molto conflittuale. Seppur protagonista di film di successo, da The Mask, a Scemo e più Scemo, da Il Grinch a Una settimana da Dio, a quel ragazzino determinato e forgiato nelle difficoltà non è mai riuscito di venire preso seriamente, di essere considerato un attore a tutto tondo, capace anche di ruoli drammatici. Come quelli interpretati in The Majestic, o in Se mi lasci ti cancello, ma soprattutto nell'indimenticabile ritratto di Andy Kaufman, Man on the Moon, snobbato dagli Oscar, come accaduto anche per The Truman Show.
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«Non sono i premi che fanno l'attore, ma riceverli fa piacere. Per vincere bisogna giocare a un certo gioco, rendersi disponibili a dinamiche promozionali. Non sono mai stato capace di giocare a quel gioco. L'umorismo e la commedia sono state una medicina per me quando stavo crescendo e a pensarci oggi, tutto sommato, non ho sofferto molto per la percezione che il pubblico ha di me. La cosa importante è che non ho mai avuto il dubbio sulla mia capacità di essere una persona autentica, che è poi tutto ciò che conta nella vita».
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Arte e tristezza Dolore e umorismo spesso vanno a braccetto: «Non c'è arte senza tristezza, non c'è arte senza disperazione. La disperazione è come una vagina per il nascituro, come il percorso che un feto fa per venire al mondo, è un tratto di vita necessario e inevitabile. La disperazione può essere devastante se la ignori, se ci bevi sopra, se ti droghi, se ci mangi sopra, se la nascondi dietro a una maschera. Ma se ti permetti di viverla, di viverne le sensazioni, di accettarla, si possono scoprire delle cose bellissime».
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Per qualche anno, un po' per curarsi, un po' per ritrovarsi, un po' per processare il lutto dovuto al suicidio della ex fidanzata, Jim Carrey si è isolato, mantenendo aperto il contatto con il mondo attraverso i suoi social, seguitissimi, e si è dedicato alla pittura.
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«L'artista era la mia mamma. Quel lato l'ho preso da lei. Mi ricordo che a volte si alzava di notte per fare bellissimi murali sulle pareti delle stanze. Era l'unico spazio nella sua vita dove trovava pace. Per i primi cinquant' anni della mia vita ho fatto il minatore. Ho semplicemente scavato e approfittato del talento dei miei genitori. Poi una notte sono diventato un artista. Ed è stato come tornare ad avere mia madre al fianco. Ora sono felice ed è tutto quello che voglio».
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E a 60 anni questo artista con cui si vocifera sia molto difficile lavorare, è tornato ad essere protagonista in una Hollywood che suo malgrado non può prescindere da un talento così raro.
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