Enrico Mannucci per il "Corriere della Sera"
MUSSOLINI E D ANNUNZIO QUANDO L'AMERICA SI INNAMORò DI MUSSOLINI.C'era una volta l'America che andava pazza per Mussolini e il fascismo. Ci fu a lungo, anzi, anche apertamente, fino a poco prima che i soldati Usa cominciassero a sbarcare (e morire) sulle spiagge da questa parte dell'Atlantico.
La storia del rapporto proibito fra la prima dittatura totalitaria di destra nel «secolo breve» europeo e la «più grande democrazia d'Occidente» viene sviscerata in un saggio di Ennio Caretto pubblicato dagli Editori Internazionali Riuniti col titolo Quando l'America s'innamorò di Mussolini (pp. 350, e 22) .
Emerge un quadro sconcertante, ricco di aspetti di colore ma anche di legami e sinergie profonde. I primi spaziano dalla giovanile infatuazione per Duce e Führer di John Fitzgerald Kennedy, registrata nei suoi diari durante un viaggio europeo nel 1937 («Sono giunto alla conclusione che il fascismo sia giusto per l'Italia così come il nazionalsocialismo sia giusto per la Germania...») agli adulatori exploit canori di Cole Porter («Tu sei il massimo, tu sei Mussolini», dichiara in una canzone del 1934) o quelli cinematografici della Columbia Pictures che, l'anno precedente, produsse un film a dir poco agiografico, Mussolini parla , accolto da incassi record nelle sale americane.
benito mussoliniPer quanto riguarda il secondo aspetto, viene ricostruita la lunga consuetudine di Mussolini con gli Stati Uniti (battezzata nel 1903 da un suo articolo su «Il Proletario», periodico socialista dell'emigrazione: ma il segno politico cambierà inesorabilmente), rapporto che si giova di notevoli inclinazioni destrorse negli ambienti politici, industriali e finanziari americani, coi numerosi aiuti ricevuti dal Duce nel corso del tempo.
Da quelli, involontari, del presidente Wilson che, dopo la fine della Prima guerra mondiale, rifiuta il patto di Londra, negando parte delle rivendicazioni territoriali all'Italia e alimentando il mito della «vittoria mutilata», a quelli pienamente consapevoli come il placet dell'ambasciatore Richard Child che incontra Mussolini alla vigilia della marcia su Roma, oppure il prestito di 100 milioni di dollari accordato all'Italia, nel 1925, dalla banca J.P. Morgan a condizioni particolarmente vantaggiose.
hitler e mussolini davanti a paolina bonaparte galleria borghese«La maggioranza dell'America degli anni Venti e della prima metà degli anni Trenta s'innamorò di Mussolini perché ravvisò nel fascismo principi e obiettivi politici che essa allora condivideva», nota Caretto. Non pochi storici, del resto, hanno individuato forti analogie fra il New Deal roosveltiano e le politiche stataliste delle dittature europee.
Trascurando un po' la pagina più nota nei rapporti fra Stati Uniti e Italia fascista (quella della trasvolata atlantica di Italo Balbo), il saggio tocca anche i punti più critici, come la campagna per la creazione di Fasci di combattimento fra gli italoamericani.
Un progetto dapprima sposato con entusiasmo da Mussolini (a organizzare quello di San Francisco fu inviato, sotto incarico diplomatico, quello che Indro Montanelli chiamava «l'amico italiano di Hitler», ovvero Giuseppe Renzetti, complessa figura di collegamento fra i due regimi), poi abbandonato per non urtare le suscettibilità americane.
ELSA MAXELL- COLE PORTERPer finire con la decisione di entrare in guerra a fianco della Germania hitleriana, un passo che gli americani avevano sperato fino all'ultimo di esorcizzare: «Mussolini sprecò in un'impresa suicida il patrimonio accumulato negli Usa in quindici anni».
Cole PorterOltreché sconcertante, il quadro non è di ottimo auspicio in proiezione futura, perché il saggio si dilata a prima e, soprattutto, a dopo il ventennio mussoliniano, sottolineando le analogie a cavallo di un secolo: «C'è qualcosa di mussoliniano nei banchieri di Wall Street che si proclamano master of the universe», nota Caretto preoccupato dall'eventuale indifferenza statunitense davanti a un'Italia che scivolasse verso un regime autoritario, di destra o di sinistra, «in nome della stabilità sociale e della crescita economica».
JOHN KENNEDY