Estratto dell'articolo di Fabiana Giacomotti per ilfoglio.it
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Quelli che portano l’esempio dei teatri lirici spagnoli che per attrarre pubblico giovane hanno piazzato il dj nel foyer post spettacolo, prima il Trovatore e poi la techno, non hanno capito che esiste una terza via per far conoscere la grande musica al pubblico dei concertoni, e che la musica da film è un ottimo viatico.
Non si sa come sia andata, forse con un passaparola, certo è che i biglietti per il concerto del più grande compositore vivente di musiche da film, novant’anni, venticinque Grammy Award, cinquantadue nomination all’Oscar (record assoluto, secondo solo a Walt Disney), cinque statuette vinte (“Il violinista sul tetto”, “Lo squalo”, “Star Wars IV”, “E.T.”, “Schindler’s List”) erano andati esauriti due-minuti-due dopo essere stati messi in vendita, due mesi fa.
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Da giorni, l’elegante portineria di via Filodrammatici era invasa di pupazzetti dello Jedi e di Darth Vader con richieste di autografo o semplici messaggi adoranti: “We love you John”. Quando scattano le otto, la regola della puntualità vale sempre, il pubblico del loggione è praticamente appeso alle colonnine come nel film “Casa Ricordi” per il Va’ Pensiero rivoluzionario. Williams entra in sala ed è un boato: il pubblico dei concertoni si comporta anche alla Scala come farebbe nel pratone di san Siro e scatta in piedi: standing ovation di felicità, la musica dopo. Non scattano foto a malincuore e dietro pressanti inviti. Se si siedono fra un’esecuzione e l’altra è per quel genere di rispetto pop che il pubblico delle “prime” non conosce: la “signora della caramella”, come Riccardo Muti definisce le sciure che passano il tempo a schiarirsi la voce e a scartocciare bon bon, semplicemente non c’è. Anzi no, ce n’è una, all’intervallo racconta che da anni non si divertiva così. “Hook”, “Cuori ribelli”, “Harry Potter” (“il miglior personaggio inglese da esportazione dai tempi dei Beatles” dice Williams che ogni tanto prende il microfono, e tutti letteralmente tutti, capiscono l’inglese e ridono a tempo, vedi tutte queste lezioni di inglese che sono servite a qualcosa?).
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Quando il primo violino della Filarmonica Francesco De Angelis chiude l’assolo del tema di “Schindler’s List”, originariamente scritto per Itzhak Perlman, ovunque spuntano i lucciconi (“lavorare su questo film fu una sfida scoraggiante”, raccontava giorni fa Williams: “Niente può essere abbastanza buono per una storia come questa. Dissi a Spielberg che aveva bisogno di un compositore migliore di me per questo film, e Spielberg mi rispose che avevo ragione, ma che erano tutti morti”).
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L'orchestra, che ha invitato il maestro e viene interpellata come “brothers and sisters”, suona partecipativa e divertita come non l’avevamo mai vista: sorride. “E.T.”, “Superman”, “Indiana Jones” (sta per arrivare il nuovo episodio: “Mi sono detto, se Harrison Ford può recitare a settantotto anni, posso scrivere musica anche io che sono molto più vecchio di lui”). Si diverte anche lui che nella vita ha diretto i Berliner e i Wiener, spesso con grandi solisti come Anne Sophie Mutter, composto inni e musica per ogni occasione, con una umiltà spesso sconosciuta su quel palco. Spiega, racconta aneddoti, parla del suo nuovo film con Spielberg “a cui è praticamente impossibile dire di no” (“the Fabelmans”, in sala da 22 dicembre).
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Quando attacca con il tema finale di Star Wars, che in effetti richiama molto l’Elgar di Pomp and Circumstances ma oggettivamente in meglio, fra le poltrone spuntano – lo giuriamo – due spade giocattolo colorate. Al bis, sulle note del tema di Darth Vader, la gente salta. In sala è cambiato perfino l’odore: secca dirlo perché è un po’ un’autodenuncia, ma feromoni giovanili alla Scala non si annusano spesso.
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