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    SPORT A MISURA D'OMO - JOSEPH NAKLÉ, 35ENNE LIBANESE OMOSESSUALE, HA FONDATO LA "PEACOX BASKET ITALIA", LA PRIMA SQUADRA DI PALLACANESTRO LGBT D'ITALIA - "ALL’ESTERO ESISTONO GIÀ PROGETTI DEL GENERE. QUANDO SONO ARRIVATO A MILANO HO CERCATO UN GRUPPO SIMILE E HO SCOPERTO CHE NON ESISTEVA" - "SIAMO MOLTO INCLUSIVI: CI SONO GAY, ETERO, BISESSUALI E LESBICHE. E DI ETÀ DIVERSE. LA PRESENZA DEGLI ETEROSESSUALI PORTA GRANDE RICCHEZZA E CONDIVISIONE"


     
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    Angela Geraci per www.corriere.it

     

    Coraggio, tenacia, muscoli e cervello: Joseph Naklé, 35 anni, ha messo tutto se stesso nella Peacox Basket Milano, la prima squadra di basket Lgbt d’Italia. E adesso raccoglie i frutti del suo impegno: a Milano - il 27,28 e 29 maggio - ci sarà il primo torneo internazionale arcobaleno di pallacanestro. Naklé, nato a Beirut, non nasconde la sua soddisfazione: «Sì, sono fiero di me: sono venuto in Italia e ho creato qualcosa che non c’era, un valore aggiunto. Per tutti».

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    Come è nata l’idea di fondare una squadra arcobaleno?

    Nella mia vita ho vissuto in diversi Paesi: Libano, Emirati Arabi, Spagna, Francia e adesso Italia. E continuo a viaggiare molto per lavoro (è manager nel mondo del lusso e si occupa di export per un’azienda di carta da parati, ndr). All’estero esistono già progetti del genere e nei miei giri mi è capitato di giocare in queste squadre, così quando sono arrivato per studio a Milano ho cercato un gruppo simile e ho scoperto - con sorpresa - che non esisteva. Allora ho contattato il Pride Sport Milano, l’associazione che riunisce i gruppi sportivi Lgbtqia+ della città, ed è cominciata l’avventura.

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    Quando è successo?

    Nel 2020. Poi da aprile di quest’anno siamo diventati proprio ufficialmente associazione sportiva dilettantistica, una cosa che mi riempie di orgoglio e per cui voglio ringraziare pubblicamente anche il vicepresidente Francesco Fusello e il segretario Antonello Mazzotti che mi danno una grande mano.

     

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    Iniziare in piena pandemia non deve essere stato facile...

    Sì, è stata dura. Ma in un certo senso è stato anche importante: ero frustrato perché in quel periodo avevo perso il lavoro, ma non sono un tipo che sa stare senza fare niente. Così ho voluto creare questa cosa e mi ci sono dedicato completamente. All’inizio eravamo 5 o 6 e ci vedevamo al parco, d’estate, quando l’allentamento delle restrizioni lo ha permesso. Oggi siamo in 18, ci alleniamo tutti i mercoledì e abbiamo partecipato a tornei all’estero: a Madrid l’anno scorso siamo arrivati secondi, a Barcellona quarti, questo aprile a Parigi secondi. E solo per un punto, eh! Ma non tutti i componenti della nostra squadra hanno la possibilità di fare questi viaggi, per questo sono molto felice che adesso si giochi a Milano: potranno partecipare tutti.

     

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    Chi fa parte dei Peacox?

    Siamo molto inclusivi e aperti a tutti: ci sono gay, etero, bisessuali e lesbiche. E di età diverse, dai 20 ai 45 anni. La presenza degli eterosessuali porta grande ricchezza e condivisione: stando insieme si allargano gli orizzonti di tutti. Il mio sogno è quello di arrivare a creare in futuro due squadre di due livelli, vedremo.

     

    Come fate a trovare nuovi giocatori e a sostenere le spese?

    Per noi è stato ed è fondamentale il passaparola che nasce dai social. Pride Sport Milano ha una convenzione con il Comune di Milano e affittiamo il campo per tutto l’anno: ogni giocatore paga una quota di 180 euro. Poi abbiamo uno sponsor - Winelivery, azienda che si occupa di consegna del vino a domicilio ed è della mia migliore amica - che ci fornisce maglie, sacche e i gadget che vendiamo durante i nostri aperitivi-eventi. E raccogliamo fondi anche grazie a donazioni di privati.

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    Lei è nato e cresciuto in Libano: qual è la situazione della comunità Lgbt nel suo Paese? Per lei è stato difficile?

    No, il Libano è uno dei Paesi più aperti del Medio Oriente. La comunità c’è ed è ben accolta. Poi io sono cristiano e i cristiani accettano molto di più l’omosessualità: non a caso tutti i locali e i bar gay si trovano nella zona cristiana della città.

     

    E la sua famiglia?

    I miei mi hanno capito e sostenuto fin da subito, anche se da genitori mediorientali non deve essere stato semplice per loro. Con gli altri non ho mai avuto problemi, da ragazzo per esempio. Ma io ho un carattere molto forte, non mi importa proprio niente di cosa pensa la gente e credo che non sia affare di nessuno sapere quel che accade nel mio letto. Poi aver viaggiato molto, parlare tante lingue e conoscere culture diverse mi ha cambiato: oggi penso solo a vivere bene ed essere felice.

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    Non tutti hanno questa forza, e fortuna. Giocare in una squadra arcobaleno come la vostra può aiutare qualcuno ad accettarsi e sentirsi meglio?

    Sì, succede che chi gioca con noi trovi una dimensione di libertà che fuori non riesce a vivere pienamente. Ma non sempre è così, alcuni non sono riusciti a lasciarsi andare davvero. C’è una storia che voglio condividere, quella di un ragazzo che si è allenato con noi per un certo periodo. Era molto forte, giocava ad alti livelli, ma aveva paura della visibilità del nostro gruppo perché non si accettava. Gli andava bene giocare ogni tanto ma è stata più forte la paura di essere “scoperto”: non è più tornato.

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    Come si sente se guarda, oggi, la sua squadra “rainbow” nata due anni fa?

    Soddisfatto, molto. Ma non è facile: ci vuole tanto impegno e io voglio arrivare a un livello di impegno ancora più alto.

     

    Senta, lei è consapevole di avere più di qualcosa in comune con Mika, il cantante libanese e gay che ha trovato una seconda patria in Italia?

    Eh eh, sì, è vero (ride). Abbiamo vissuto negli stessi Paesi, parliamo le stesse lingue... L’unica differenza è che io non canto! Scherzo. Una volta l’ho conosciuto, a un concerto in Libano, anni fa, quando mi occupavo di organizzazione di eventi. Magari, se è qui in Italia, potrebbe venire sabato prossimo alla premiazione del nostro torneo a Milano. Io la butto lì.

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