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    JUNK RUSSIA - LE SANZIONI CONTRO MOSCA STANNO FUNZIONANDO: LE AGENZIE DI RATING HANNO DECLASSATO I TITOLI DI STATO AL LIVELLO SPAZZATURA, E SUL DEBITO ALEGGIA L’OMBRA DEL DEFAULT - IL RISCHIO INSOLVENZA È REALE, E C’È ANCHE UN PRECEDENTE: GIÀ NEL 1998 NON ONORÒ I PROPRI IMPEGNI. IN BALLO CI SONO CIFRE NON INDIFFERENTI PER GLI INVESTITORI ESTERI, CHE A INIZIO FEBBRAIO DETENEVANO ALMENO 30 MILIARDI DI DOLLARI DI TITOLI DI STATO RUSSI E 20 IN EUROBOND SOVRANI…


     
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    Maximilian Cellino per “il Sole 24 Ore"

     

    Vladimir Putin Vladimir Putin

    L'ombra del default si allarga sul debito russo: un effetto collaterale e che passa sicuramente in secondo piano di fronte alle quotidiane vicende tragiche che accompagnano il conflitto con l'Ucraina, ma che per mercati e investitori potrebbe avere ricadute importanti.

     

    Ieri le agenzie Fitch e Moody' s hanno declassato a junk, «spazzatura», i titoli di Stato di Mosca portando il loro rating rispettivamente a «B» e «B3» e seguendo l'analoga mossa operata da S&P che la scorsa settimana aveva ridotto il giudizio da «BBB-» a «BB+».

     

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    Il taglio compiuto dalle agenzie rischia tuttavia di essere soltanto un passo intermedio e di preludere appunto al mancato rimborso delle cedole o dei debiti ai sottoscrittori da parte della Russia, che anche sui mercati sta vivendo una situazione senza precedenti tra sanzioni e blocco dei sistemi di pagamento.

     

    «Le attività finanziarie russe sono oggi difficili da scambiare - ammette Francesco Castelli, responsabile Fixed Income di Banor Capital - perché le banche di investimento hanno il divieto di trattare alcune di queste e in molti casi preferiscono starne alla larga, contribuendo all'illiquidità di mercato».

     

    reazione delle borse alla guerra tra russia e ucraina 6 reazione delle borse alla guerra tra russia e ucraina 6

    Oltre alle evidenti difficoltà connesse ai riflessi economici e finanziari dello scenario di guerra esistono dunque anche ostacoli legati al funzionamento materiale degli stessi listini.

     

    «Ci sono alcuni tecnicismi di mercato da fronteggiare» aggiunge Nachu Chockalingam, Senior Credit Portfolio Manager per la divisione internazionale di Federated Hermes. Il suo riferimento va in particolare ai trasferimenti di denaro per le cedole e ai rimborsi nei confronti degli investitori esteri: «Se questi pagamenti non verranno effettuati nei tempi previsti - avverte - potremmo vedere emergere dei default tecnici».

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    Il precedente del 1998

    Non vanno poi sottovalutate le reali volontà della Federazione, che potrebbe anche rifiutarsi per ritorsione di onorare i propri impegni pur essendo ancora in condizione di farlo. In tema di insolvenze Mosca non viaggia del resto con la «fedina» immacolata e il precedente del 1998 ha se non altro molti punti in comune con la situazione presente.

     

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    A partire dal precedente crollo del rublo e della Borsa locale, anche se allora non ci si confrontava certo con un conflitto bellico e l'elemento scatenante era semmai stato rappresentato dalla crisi asiatica.

     

    Stavolta in ballo ci sono cifre non proprio indifferenti per gli investitori esteri, che secondo i dati della Banca centrale russa detenevano a inizio febbraio titoli di stato in valuta locale (Ofz) per l'equivalente di quasi 30 miliardi di dollari ed Eurobond sovrani per circa 20 miliardi.

     

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    Per i primi l'agenzia depositaria russa ha già fatto sapere di aver pagato cedole in scadenza per 96 milioni di dollari soltanto ai detentori locali, escludendo già di fatto gli esteri. Per la sorte dei bond in valuta «forte» non bisognerà attendere poi molto, visto che a metà marzo sono in programma versamenti per 107 milioni e a fine mese matureranno cedole per oltre 400 milioni, senza contare che all'inizio di aprile dovrà essere rimborsato un titolo da due miliardi.

     

    Ancora più complicato appare comprensibilmente il caso dell'Ucraina, che pure sta provando a collocare un nuovo «bond di guerra» dopo quello da 244 milioni di euro di due giorni fa e che aveva dichiarato fallimento già nel 2014 all'epoca della crisi legata alla questione della Crimea.

     

    «Rispetto ad allora - i conti del Paese attraversavano fa una fase diversa, con un valore delle riserve in valuta estera più che triplicato, un avanzo delle partite correnti, un rapporto debito/Pil inferiore al 15% e un cambio col dollaro stabile», segnala Luc D'hooge, Head of Emerging Market Bonds di Vontobel, prima però di precisare che «questi erano i valori di inizio anno, ora un default tecnico è più che probabile».

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     La situazione delle società

     Complessa poi anche la situazione nel mondo corporate, dove per alcuni settori il peso degli emittenti di Russia e Ucraina messi insieme non è certo privo di significato. Secondo i calcoli di Federated Hermes nel comparto dell'energia i bond dei due Paesi valgono per esempio oltre il 3% degli indici europei per gli investment grade e superano il 6% quando si parla di high yield, ma quote non del tutto trascurabili si trovano anche considerando industria di base, utility e trasporti.

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    «Alcune società - segnala Castelli - tenteranno di rimanere solventi, Gazprom sta per esempio facendo di tutto per pagare un'obbligazione prossima alla scadenza». Il quadro resta però condizionato alla piega che prenderanno gli eventi: «Nell'ipotesi di una rapida soluzione della crisi - spiega ancora - pensiamo che almeno gli emittenti di migliore qualità creditizia riusciranno a onorare i propri impegni, ma con il protrarsi della situazione non si può escludere che l'effetto di lungo termine delle sanzioni comporti un generale blocco dei pagamenti di cedole e di rimborsi delle obbligazioni». La guerra rischia insomma inevitabilmente di cambiare anche i connotati dei mercati.

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