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    KEITH HARING, IL BAMBINO RADIOSO - UN QUARTO DI SECOLO FA L’AIDS SI PORTAVA VIA IL GENIALE ARTISTA SBOCCIATO NELLA METROPOLITANA DI NEW YORK


     
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    Francesco Bonami per “la Stampa”

     

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    La Pennsylvania è la Firenze della Pop Art. Da qui arrivano tre giganti dell’arte del XX secolo, Andy Warhol, Keith Haring e Jeff Koons. Li unisce il desiderio di creare un’arte per tutti senza rinunciare alla qualità, ai contenuti e, perché no, ai prezzi stratosferici del mercato. Keith Haring era il più giovane dei tre, e oggi non avrebbe neppure 57 anni, se l’Aids non lo avesse portato via un quarto di secolo fa, il 16 febbraio 1990. 

    Durata appena un decennio, l’arte di Haring, con il suo segno inconfondibile, ha prodotto opere diventate icone eterne. Così nuovo era il suo linguaggio da essere diventato famoso prima di lui. Nelle caverne della metropolitana di New York alla fine degli Anni 70 la gente impazziva per i suoi omini senza sapere chi li facesse. Haring è un «maestro Manzi» dell’underground.

     

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    Ma anziché usare le lavagne, usava gli spazi neri destinati alla pubblicità. Nessuna parola, nessuna frase, solo geroglifici che tutti capivano. Un suo programma in televisione si sarebbe potuto chiamare Non è mai troppo presto. Mai troppo presto per diventare famosi, mai troppo presto per morire, a soli trentun anni. 
     

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    Amico di Wahrol
    Figlio di un ingegnere che disegnava vignette, il piccolo Keith, nato nel 1958 nell’oscura Kutztown, sembra lui stesso il fumetto di una striscia destinato a vivere la sua breve vita al confine della realtà, sull’onda magica della fantasia. Sarà amico di Madonna e dello stesso Warhol. Frequenterà i locali notturni dell’East Village, il Lucky Strike o il Club 57.

     

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    Nonostante l’aspetto apparentemente asessuato, arrivato dalla provincia si butta a capofitto dentro una New York dove il virus dell’Aids è, come lo stesso Haring, anonimo e ancora pressoché sconosciuto. La promiscuità in quegli anni regna sovrana e Keith, pochi mesi prima di morire, in un’intervista con David Scheff per Rolling Stone, racconta come, uscito dall’armadio della vergogna omosessuale, sia sprofondato nel sesso più audace e rischioso. 

    Personaggi priapici
    I suoi disegni spesso raccontano la storia di personaggi priapici super eccitati come Debbie Dick. Ma oltre al sesso, a New York lo folgora un’arte che lo investe a tutta velocità: i graffiti sui vagoni della metropolitana. Immediatamente sente la necessità d’immergersi negli intestini della città inventando il suo vocabolario di figurine, cagnetti che abbaiano e dischi volanti.

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    La polizia, quando riesce, lo porta al commissariato, ma i suoi scarabocchi innocui e allegri piacciono alla gente che scende e sale dai treni. Gli stessi poliziotti confessano di essere fan di quel giovane improbabile vandalo. 
     

    Nei sottosuoli Haring conosce l’altro prodigio di quegli anni, Jean-Michel Basquiat. Diventeranno miti della vita notturna di New York e del mondo dell’arte, che davanti al loro talento e alla loro energia perderà completamente la testa. 
     

    Una macabra profezia
    Il critico della rivista Time, Robert Hughes, grande scrittore d’arte che però non capisce un bel niente di contemporaneità, disprezza questi ragazzi arrivati dal nulla sulla ribalta delle cronache e del mercato. «Avranno vita breve» sentenzia con una fiatata diabolica. Il destino dei due giovanotti aiuterà la macabra profezia ad avverarsi.

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    Le carriere e le vite di Basquiat e Haring bruciano infatti come due bengala. Si erano accese nel 1980. Un gruppo di artisti chiamato Colab organizza una mostra a Times Square. Ne scrive entusiasta The Village Voice, elogiando proprio le opere di Haring e Basquiat. La cosa non sfugge a Tony Shafrazi, il gallerista più potente degli Anni 80 a New York, che nel 1982 organizza la prima personale di Keith Haring. I prezzi delle opere prendono il volo.
     

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    Da lì a poco tutti i musei del mondo vorranno una mostra con il segno del suo pennarello che, come il terribile virus dell’Aids, entra dappertutto, copre tutte le superfici che incontra, diventa inconfondibile confondendosi con tutto. Pure a Milano Haring è un eroe. Fa una mostra da Salvatore Ala e diventa amico di Elio Fiorucci e del dj del Plastic Nicola Guiducci.

     

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    Tutti vogliono Haring, ma i prezzi di Haring non sono per tutti. Così, nel 1986, nasce il Pop Shop, una piccola caverna dove si vendono magliette, borse, tazze, cose tutte con il segno inconfondibile di Keith ma a poco prezzo. Gli intellettuali urlano allo scandalo, il grafomane si è venduto l’anima. Ma per lui il negozio è un’estensione della metropolitana, accessibile, libero, economico. 
     

    Il bambino radioso
    All’apice della popolarità Haring si ammala. Inizia il conto alla rovescia. Come reazione si butta a capofitto nella sua arte trasformandola in pubblicità per il sesso sicuro. Il suo disegno Silence = Deathdiventa il logo della campagna di prevenzione dell’Aids. Quello che era divertimento diventa avvertimento. Inizia a collaborare con scuole e studenti. Nel 1986, nel centenario della Statua della Libertà, mille ragazzi lo aiuteranno a fare un gigantesco murale.

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    Una delle ultime opere collettive la farà a Pisa nel 1989, Tuttomondo. 
    Oggi quasi tutti possono riconoscere il segno di Haring, pochi sanno che, come il flash di una macchina fotografica, Haring è stato capace d’impressionare la storia dell’arte per sempre. Robert Hughes ha visto purtroppo avverarsi la sua profezia. Ma ignorando l’artista ha commesso l’imperdonabile errore di non capire di avere davanti un eccezionale testimone del suo tempo, il cantastorie di una tragedia che ha divorato una generazione. Un grande artista non deve sempre piacere. L’importante è che ci aiuti, anche con un semplice segno, a capire il mondo e i suoi problemi. Keith Haring, il bambino radioso, lo ha fatto.

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