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    “L’8 SETTEMBRE DEL 1943 NON È MORTA LA PATRIA. FU LA DISSOLUZIONE DELLO STATO” – LO STORICO EMILIO GENTILE: “QUELLE ORE INCREDIBILI ANCORA OGGI LASCIANO SGOMENTI PER LA TOTALE IRRESPONSABILITÀ E VILTÀ DELLA CLASSE DIRIGENTE MILITARE E POLITICA, CHE SI OSTINA A FARE IL DOPPIO GIOCO. CON UN SOLO SCOPO: SALVARE I MEMBRI DELLA CORONA E IL CAPO DEL GOVERNO"– “CI RESTA UNA LEZIONE AMARA. ABBIAMO IMPARATO DA QUEL GIORNO CHE LO STATO DELLE LIBERTÀ PUÒ NON GARANTIRE LA SUA SOPRAVVIVENZA…”


     
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    Estratto dell’articolo di Ezio Mauro per “la Repubblica”

     

    EMILIO GENTILE EMILIO GENTILE

    «Quel giorno non è morta la patria, come si continua a ripetere. Piuttosto, l’Italia ha conosciuto l’esperienza drammatica di uno Stato che si sfascia: una tragedia, perché da quel momento niente può garantire che possa durare in eterno».

     

    Ottant’anni dopo, Emilio Gentile rilegge la data dell’8 settembre 1943, con la fuga a Brindisi di Vittorio Emanuele III e di Pietro Badoglio coi vertici militari, lasciando il Paese senza guida e senza comando, l’esercito allo sbando, la capitale sguarnita davanti all’assalto tedesco. Per lo storico del fascismo quel giorno pesa ancora sul calendario civile italiano, col tradimento dei vertici istituzionali rispetto ai loro doveri. Un’ombra che arriva fino ad oggi […]

     

    vittorio emanuele III vittorio emanuele III

    Professore, si poteva evitare quella fuga notturna del re insieme col Capo del governo?

    «Chi l’aveva decisa non pensava a nessuna alternativa. Ma ebbe un ripensamento il principe ereditario Umberto: mai associato dal padre in nessuna decisione di rilievo della Corona, durante il viaggio avverte la necessità che almeno un membro della famiglia reale sia presente a Roma per fronteggiare i tedeschi, e chiede di poter tornare nella capitale.

     

    Umberto capisce che è in gioco il destino della monarchia, e le scelte di quel momento sono decisive. Certo se il principe avesse preso parte a un’azione anche simbolica di resistenza, avrebbe probabilmente trascinato molti civili e militari con sé. Ma Vittorio Emanuele e Badoglio lo bloccano».

     

    L’armistizio firmato in segreto il 3 settembre [...] non aveva segnato una seconda svolta, dopo l’arresto di Mussolini?

    PIETRO BADOGLIO PIETRO BADOGLIO

    «Ma come si arriva all’armistizio? A tentoni, nel massimo della segretezza e nel massimo della confusione. Il governo (in forma non ufficiale per paura d’essere scoperto dai tedeschi) spedisce quattro inviati speciali dagli Alleati per capire se è possibile un accordo che consenta di fronteggiare i tedeschi, e su questa base giungere all’armistizio.

     

    Sono episodi paradossali. Il generale Castellano consiglia addirittura agli angloamericani cosa devono fare, proponendo loro di sbarcare a Livorno e a Rimini, scacciare i tedeschi e poi discutere l’armistizio. Siamo nell’assurdo di un Paese che va dai suoi nemici non per arrendersi, ma a cercare aiuto per liberarsi del suo alleato: inconcepibile».

     

    Com’è possibile che il re e Badoglio pensassero di “lavorare di ricamo” tra i due contendenti, spostando l’Italia dall’Asse su una posizione di neutralità?

    «La nota dominante in realtà è il terrore della reazione di Hitler, che paralizza ogni azione italiana. Il risultato è che i tedeschi intuiscono questa ambiguità [...], sospettano, incalzano e soprattutto entrano nel nostro Paese da padroni, senza nessuna opposizione. E siamo appena ad agosto, con un rapporto di forze favorevole alla difesa».

     

    maria jose di savoia e umberto 1 maria jose di savoia e umberto 1

    [...] Quindi l’8 settembre italiano è figlio della confusione, della paura e dell’ambiguità?

    «Per capire bisogna districarsi in una rete fittissima di menzogne, spiegazioni di comodo, ricostruzioni a posteriori, verità taciute. Aggiungiamo che nella frenesia della fuga dei vertici istituzionali vengono bruciati moltissimi documenti che sarebbero utili a decifrare scelte e responsabilità. Dopo la firma segreta dell’armistizio, dal 4 all’8 di settembre è tutto un gioco degli equivoci, con gli italiani convinti di aver tempo per l’annuncio della resa fino al 12, mentre sapevano benissimo che la data prevista era l’8».

     

    [...] quelle ore incredibili tra il 3 e l’8 settembre ancora oggi lasciano sgomenti per la totale irresponsabilità e la viltà dell’intera classe dirigente militare e politica, che si ostina a fare il doppio gioco. Con un solo scopo: salvare i membri della corona e degli alti comandi e il Capo del governo».

     

    8 settembre 8 settembre

    L’ambiguità si traduce in una raffica di assicurazioni menzognere ai tedeschi, documentate nei rapporti dell’ambasciatore Rahn a Hitler: mentono tutti?

    «Dal re all’ultimo generale, passando naturalmente per Badoglio: tutti. Il primo settembre il ministro degli Esteri Guariglia garantisce a Rahn che il governo è deciso a non capitolare.

     

    Il 3, vale a dire il giorno in cui è firmato l’armistizio, è Badoglio che insiste: “noi combatteremo e non capitoleremo mai”. Il 4 il generale Ambrosio, Capo di stato maggiore, conferma ai tedeschi la volontà di continuare la guerra comune. E addirittura l’8 settembre scende in campo il re, per assicurare che il legame dell’Italia con la Germania “è per la vita e per la morte”».

     

    adolf hitler e benito mussolini in italia nel maggio 1938 adolf hitler e benito mussolini in italia nel maggio 1938

    […] La prima preoccupazione di Badoglio dopo l’armistizio è scrivere a Hitler?

    «È organizzare la fuga, per salvare il re con alcuni ministri e generali, lasciando all’oscuro della decisione il resto del governo e dei comandi, che rimangono a Roma, abbandonati al loro destino. Il terrore della possibile reazione tedesca – che, ripeto, domina ogni cosa – blocca anche le comunicazioni tra lo stato maggiore generale, lo stato maggiore dell’esercito, e i comandi delle forze italiane nella penisola e in tutti i territori di guerra dove erano dislocate. I reparti sono abbandonati alla vendetta dei tedeschi.

     

    L’ossessione della segretezza non è a salvaguardia del Paese, ma di chi ha deciso di abbandonare la capitale. Marina e Aeronautica nulla seppero delle trattative. Il rimo aiutante di campo del re, il generale Puntoni, l’8 mattina scrive nel suo diario che ci sono solo vaghe voci di armistizio: è all’oscuro anche lui».

     

    maria jose di savoia 1 maria jose di savoia 1

    […] Badoglio e il re invocheranno a giustificazione della fuga da Roma il pericolo di una cattura tedesca del Capo dello Stato e del Capo del governo che avrebbe decapitato le istituzioni, cancellando l’armistizio con gli Alleati e riportando il fascismo al potere. C’era questo rischio?

    «Certo lo ha ingigantito il prelevamento tedesco di Mussolini dal Gran Sasso. Ma bisogna tener conto che non tutti nel vertice tedesco avrebbero approvato una soluzione del genere. Kesselring ad esempio temeva la possibile reazione dell’esercito, monarchico per tradizione. In ogni caso, la fuga resta una fuga: soprattutto per le modalità in cui è stata decisa.

    badoglio badoglio

     

    Senza informare gli altri membri del governo, lasciati a Roma, senza lasciare disposizioni per la difesa della capitale, senza ordini per i reparti, abbandonati a se stessi. Un intero esercito, [… ] precipita nello sbando, al buio, senza guida e senza un riferimento istituzionale. Non ci sono indicazioni su come resistere, tutto è sospeso e ambiguo, come la frase del Capo di stato maggiore dell’esercito, Roatta: “ad atti di forza reagire con atti di forza”».

     

    Più che un ordine, una tautologia militare?

    «Appunto: col risultato di lasciar soli e indifesi oltre mezzo milione di soldati e i reparti che hanno deciso autonomamente di resistere condannandoli al massacro, come a Cefalonia e Lero. Ma è l’intera Italia che è abbandonata, anzi trasformata in campo di battaglia di due guerre, che diventeranno tre con Mussolini che dalla repubblica di Salò scatena la guerra civile».

     

    In casa Savoia solo Umberto capisce che in queste scelte la monarchia si gioca il futuro?

    mussolini vittorio emanuele III mussolini vittorio emanuele III

    «No, prima e più di lui la moglie, Maria José. Confida all’ex ministro Soleri che vede buio per il futuro della monarchia, ha rapporti continui con gli antifascisti. Non a caso il re la detesta e la allontana a Sant’Anna di Valdieri, e il generale Puntoni registra le formule di cui si circonda: in casa Savoia si regna uno per volta, e le donne non fanno politica. L’esito è la fuga».

     

    Come se il re e Badoglio fossero fuggiti nottetempo dallo Stato: è così?

    «Esattamente. Vittorio Bachelet, che ha 17 anni, vede dal treno che lo porta a Roma in quei giorni lo sfacelo dell’esercito, il disfacimento dello stato maggiore, soldati che gettano dal finestrino divise, mostrine, armi, bombe a mano. Si sfasciava non un regime, ma lo Stato nazionale».

     

    adolf hitler con il re vittorio emanuele iii e benito mussolini adolf hitler con il re vittorio emanuele iii e benito mussolini

    Dunque l’8 settembre è la crisi dello Stato?

    «La sua dissoluzione. Ottant’anni prima l’Italia era diventata uno degli Stati liberali europei, dopo oltre mille anni aveva creato l’unità del suo territorio sui principi di libertà e di uguaglianza di fronte alla legge. Con l’8 settembre questo Stato non c’è più, e gli antifascisti vivono questa tragedia sulla loro carne, perché in quei giorni non possono immaginare quale sarà il futuro. E infatti ci vorranno due anni di sacrifici e sangue per riconquistare ciò che in quel momento è andato perduto».

     

    Che lezione ci resta dell’8 settembre?

    8 settembre 1943 8 settembre 1943

    «Amara. Dal 1861 abbiamo vissuto tre regimi, due guerre mondiali, una vinta, una persa catastroficamente. Ma fino al ’22 abbiamo avuto uno Stato liberale che ha consentito anche ai suoi avversari di operare, garantendo porzioni crescenti di diritti e libertà. Poi, dopo un ventennio di statalismo forsennato, 77 anni di repubblica hanno permesso anche ai nostalgici del fascismo di affermarsi. Perché dunque l’ombra dell’8 settembre dura così a lungo e pesa così tanto sulla nostra coscienza civile? Perché abbiamo imparato da quel giorno che lo Stato delle libertà può non garantire la sua sopravvivenza».

     

    Che cosa teme, professore?

    «[…]  Temo una democrazia senza più valori, puro recipiente o espediente recitativo, dove chi vince governa, ma quasi metà della popolazione non vota. Come se non fosse più possibile credere in qualcosa, e costruire insieme una democrazia migliore».

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