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    DALL’ARABIA SAUDITA AL BAHREIN FINO ALLO YEMEN CRESCE LA TENSIONE PER L’INTESA USA-IRAN. SCEICCHI E MONARCHI HANNO DECISO DI DARE VITA A UN “COORDINAMENTO MILITARE”


     
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    1. BARACK S’È GUADAGNATO IL NOBEL E VUOLE LA PACE ISRAELE-PALESTINESI

    Paolo Mastrolilli per “la Stampa”

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    Dicono che l’accordo con l’Iran, sommato a quello con Cuba, giustifica a posteriori il premio Nobel assegnato troppo in fretta al presidente Obama. Di sicuro, nel bene o nel male, queste iniziative segneranno la sua eredità storica in politica estera, insieme al ritiro dall’Iraq e dall’Afghanistan, e magari all’accordo sul riscaldamento globale da inseguire nel vertice di dicembre a Parigi.

     

    Il capo della Casa Bianca, però, guarda già oltre. Vede questa intesa come l’opportunità per cambiare gli equilibri strategici nell’interno Medio Oriente, fermare il conflitto tra sunniti e sciiti, neutralizzare lo Stato islamico, e magari rilanciare anche il negoziato di pace fra israeliani e palestinesi, nonostante i feroci attriti col premier Netanyahu.
     

    khamenei khamenei

    OPPOSIZIONE INTERNA
    Obama, che sembrava finito dopo il flop in Siria e Iraq, ha superato ostacoli enormi anche nel suo stesso Partito democratico, per arrivare a questi accordi. Su Castro, la lobby cubana che controlla ancora molti voti nel decisivo stato della Florida ha fatto di tutto per bloccare l’intesa, e ha la maggioranza in Congresso per impedire la cancellazione dell’embargo che completerebbe la normalizzazione delle relazioni.

     

    john kerry john kerry

    Sull’Iran hanno espresso dubbi persino collaboratori stretti come l’ex negoziatore mediorientale Dennis Ross, e diversi parlamentari democratici sensibili alle critiche venute da Israele, come ad esempio il senatore di New York Schumer. Il capo della Casa Bianca però è andato avanti, non solo perché non ha più davanti la prospettiva di ricandidarsi, ma anche perché spera che la sua scommessa finisca in realtà per garantire più sicurezza a tutti, a partire proprio dallo Stato ebraico e l’Arabia Saudita.

    Washington sa bene che l’accordo firmato è imperfetto, perché non impedisce a Teheran di continuare a interferire nel Medio Oriente, aiutare Assad in Siria, finanziare Hezbollah in Libano e i gruppi terroristici che avanzano la causa sciita. In più non smantella il programma nucleare, e lascia aperta la possibilità che la Repubblica islamica si limiti ad aspettare una decina di anni, prima di costruire la bomba.

    iran iran

     

    La scommessa di Obama, però, è che la società civile iraniana prevalga, e sfrutti il tempo guadagnato per spingere anche la politica a cambiare, scegliendo di svolgere un ruolo responsabile sullo scacchiere internazionale. Il presidente spera che se questo avverrà, Iran e Arabia cominceranno a dialogare, per mettere fine al conflitto tra sciiti e sunniti e costruire un nuovo equilibrio in Medio Oriente, dopo la fine dell’era segnata dall’accordo Sykes-Picot. Ciò soffocherebbe pure lo Stato islamico, togliendogli gli appoggi più o meno espliciti ricevuti nella regione, riportando la stabilità anche in Iraq e Siria, e magari risolvendo le differenze che hanno incrinato le relazioni americane con Arabia, Egitto e Turchia.
     

    ahamad rhoani e barack obama ahamad rhoani e barack obama

    È una scommessa rischiosa e complicata, che probabilmente verrà decisa solo quando Obama non sarà più alla Casa Bianca, ma potrebbe dare risultati storici ben più significativi del semplice accordo nucleare con l’Iran. Così si spiegano anche le feroci reazioni politiche interne, non solo da parte dei leader congressuali come lo Speaker della Camera repubblicano Boehner, ma anche dei candidati alle presidenziali del 2016, a partire da senatore del Gop Lindsey Graham, che ha definito l’accordo come «una dichiarazione di guerra e una condanna a morte per Israele». Invece Hillary Clinton, ex segretario di Stato di Obama, ha difeso l’intesa ma si è presa un po’ di margine di manovra politica, dicendo che per valutarla bisognerà vederne l’applicazione. 
     

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    RILANCIARE I NEGOZIATI
    Il presidente però ha ancora altre ambizioni. Nei giorni scorsi Mike Yaffe, stretto collaboratore di John Kerry e dell’inviato speciale per il Medio Oriente Frank Lowenstein, ha detto ai diplomatici alleati che il capo della Casa Bianca ha chiesto proposte per rilanciare il negoziato israelo-palestinese, dopo l’accordo con l’Iran. Quattro le ipotesi, al momento: una risoluzione Onu, una dichiarazione del Quartetto, la pubblicazione degli «Obama parameters», o l’iniziativa lasciata alle parti. Sembra impossibile, considerando gli attriti con Netanyahu, ma Obama ha ancora un anno e mezzo di mandato e vuole continuare a fare la storia.

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    2. COSÌ L’ACCORDO STRAVOLGE LA REGIONE PARTE LA CONTROFFENSIVA DEI SAUDITI

    Maurizio Molinari per “la Stampa”

     

    Gli alleati dell’Iran in festa, l’Arabia Saudita fa piani atomici e la Turchia teme la resa dei conti fra i giganti del Golfo: l’impatto dell’accordo di Vienna stravolge gli equilibri di forza in Medio Oriente esaltando la rivalità strategica fra gli ayatollah sciiti e il fronte sunnita-israeliano.

    centrale di arak centrale di arak


    Il presidente siriano Bashar Assad è il primo a gioire prevedendo un «maggiore impegno di Teheran per le giuste cause» ovvero più risorse per il suo regime e per gli altri alleati dell’Iran nella regione: gli Hezbollah libanesi, l’Iraq di Haider Al-Abadi, le milizie sciite irachene e siriane, i ribelli houti in Yemen, l’opposizione in Bahrein. È un linguaggio analogo a Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che prevede «più sostegno alla nostra lotta per liberare la Palestina» ovvero più consegne di missili anti-Israele.
     

    IRAN REATTORE NUCLEARE IRAN REATTORE NUCLEARE

    GIGANTE REGIONALE
    Le emozioni si rincorrono lungo i confini della «Mezzaluna sciita» - come re Abdallah di Giordania definisce l’arco geopolitico dall’Iran al Libano sotto l’influenza degli ayatollah - perché lo scongelamento delle risorse economiche sommato alla legittimazione del programma nucleare proiettano Teheran nel ruolo di gigante regionale, con ricadute a pioggia in ogni scenario di crisi dove persegue obiettivi politici e militari.

     

    Poiché in Medio Oriente le percezioni contano più dei fatti la risposta del fronte sunnita - rivale degli sciiti dalla contesa sulla successione al Profeta Maometto - è riassunta da quanto avviene in Yemen nelle ore immediatamente seguenti alla sigla di Vienna: le forze fedeli all’ex presidente Mansour Hadi, sostenute dai sauditi, lanciano il più massiccio bombardamento di sempre contro gli houthi ad Aden, facendo sapere che «faranno di tutto» per controllare la città che domina lo stretto di Bab el-Mandeb, da cui si accede a Suez.

     

    michelle e barack obama con re salman dell arabia saudita michelle e barack obama con re salman dell arabia saudita

    La violenza dell’attacco dei miliziani sunniti è un assaggio della reazione di Riad a un accordo che ha tentato di evitare in ogni modo, fino alla scelta di re Salman di disertare l’incontro a Camp David fra Obama e i leader del Golfo. 


    In Bahrein l’atmosfera è simile. «Un programma nucleare che consentirà all’Iran di avere l’atomica - dice il ministro degli Esteri Sheik Khaled al-Khalifa alla tv Bbc - porterà senza dubbio a una corsa nucleare, non solo l’Arabia Saudita ma altre nazioni dell’area vorranno avere tale capacità». Il Bahrein è la nazione sunnita che più si sente esposta ai rischi del rafforzamento dell’Iran per via dell’opposizione interna, di marca sciita, che contesta la monarchia. Ecco perché il capo della polizia, Tariq al-Hassan, sottolinea le «prove schiaccianti sul fatto che i Guardiani della rivoluzione iraniana sostengono i nostri terroristi».

     

    OBAMA NETANYAHU OBAMA NETANYAHU

    Mansour al-Marzuki, analista saudita, prevede dagli schermi di Al Jazeera che «l’influenza iraniana crescerà e di conseguenza i gruppi jihadisti anti-sauditi, come Isis, aumenteranno gli attacchi contro Riad, facendo trovare la monarchia fra due fuochi». «Ogni accordo fra Usa e Iran nuoce agli Stati del Golfo», riassume Nasser Bin Ghait, analista negli Emirati, spiegando così la recente decisione di sceicchi e monarchi di dare vita a un «coordinamento militare» che si ispira alla Nato. 


    Gli Stati sunniti si blindano e pensano al nucleare perché prevedono uno scontro duro, diretto, con Teheran e i suoi alleati. «L’Iran è un aggressore con piani ambiziosi», dice Jamal Khasoggi, ex consigliere di più reali sauditi, prevedendo «un aumento delle interferenze di Teheran nel mondo arabo» per «aumentare la frammentazione nei nostri Stati». 
     

    SCIITI HEZBOLLAH SCIITI HEZBOLLAH

    L’ASSE CON ISRAELE
    È questo scenario che porta alla convergenza di interessi con Israele evidenziata dalla maratona di incontri - pubblici e non - del direttore generale del ministero degli Esteri, Done Gold, collaboratore del premier Netanyahu, con esponenti di Paesi arabi senza rapporti ufficiali con Gerusalemme. Il braccio di ferro che inizia fra l’Iran nucleare e l’alleanza de facto israelo-sunnita - anche attraverso Al Sisi, che accusa i Fratelli Musulmani di essere legati ad Hezbollah - restringe gli spazi degli Stati sunniti che negli ultimi anni hanno cercato un ruolo autonomo da Riad: Turchia e Qatar.

     

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    Re Salman ha già iniziato il tentativo di recuperarli, per rafforzare il fronte anti-Iran, ma entrambi esitano perché preferiscono - con l’Oman - un ruolo di mediazione fra i rivali. È questo il motivo per cui Recep Tayyp Erdogan si augura che «l’accordo di Vienna abbia successo nel garantire la stabilità, portando l’Iran a ripensare le sue politiche in Siria e Yemen». Se Teheran alzerà il profilo, Erdogan sarà obbligato a schierarsi e poiché la crisi più incandescente è la Siria ciò lo spingerebbe ad accettare l’abbraccio saudita, pur di cacciare Assad.

    Sumeyye Erdogan Sumeyye Erdogan

     

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