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    L'AJAX CI HA FATTO INNAMORARE CON IL SUO GIOCO MA LA JUVE PASSERA’ IL TURNO – SANDRO MODEO: “PIÙ CHE I FREDDI NUMERI (CHE INDICANO UNA NETTA PREVALENZA DEGLI OLANDESI), A RESTARE NEGLI OCCHI SONO STATE CERTE SEQUENZE, FRAMMENTI DI CALCIO TOTALE AGGIORNATO AL TERZO MILLENNIO. E POI IL CENTRALE CARTESIANO DE LIGT, DE JONG E IL SENSO DELLO SPAZIO DI VAN DE BEEK - SOTTOFONDO MUSICALE? I PINK FLOYD"


     
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    Sandro Modeo per www.corriere.it
     
    La Juve (quasi) certamente passerà, e i realisti come (quasi) sempre faranno chinare la testa agli utopisti. Ma il match di mercoledì è il classico caso in cui tabellini e ratifiche (su fino agli albi d’oro) diventano rune mute, cifre gelide.
     
    E non perché (o non solo) a contrastarli si impongano altre cifre, seppur più volatili: cioè, nella fattispecie di ieri, un dominio assoluto, con ogni score favorevole agli ajacidi (possesso 61-39%, tiri totali 19-7, nello specchio 6-1); in fondo, con cifre appena attenuate, lo United di Mourinho aveva incappottato un paio d’anni fa in finale di Europa League l’Ajax di Peter Bosz (0-2), per molti aspetti simile - negli uomini e nell’impianto - a quello di mercoledì.
     

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    No, la differenza sta nelle sequenze (brevi, medie, lunghe) che restano negli occhi e nella memoria emotiva come frammenti di visioni, persino quando (o forse proprioquando) sembrano slegati dalla concretezza e dall’efficienza a tutti i costi. L’Ajax visto contro la Juve fondeva i tratti strutturali e costitutivi del totalvoetbalstorico (gioco posizionale, possesso-pressing, polivalenza dei giocatori, quei tratti che avevano fatto irruzione nel calcio come le suite-progressive dei Pink Floyd nel rock o i film lisergici di Kubrick nel cinema) con le variazioni e gli aggiornamenti di sistema implementati prima da Bosz stesso e poi, soprattutto, da Erik ten Hag, che ha portato ad Amsterdam - grazie ai suoi tre anni al Bayern II come vice di Pep Guardiola - nuove dinamiche d’insieme (costruzione dal basso, smarcamenti a staffetta, e nuove magie posizionali (le ali che si accentrano come half-back).

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    Il che si è tradotto in flussi di gioco (in veri effetti-sciame) con diverse dinamiche e sotto-dinamiche: fraseggi complessi e prolungati di aggiramento-penetrazione grazie a sponde, smarcamenti e alternanza tra tocchi di prima e dribbling (ce n’è stato uno, nel cuore del secondo tempo, con applauso a scena aperta); scambi sullo stretto tra falangi di juventini (eredità dell’antico street-ball celebrato da Cruyff, l’addestramento tra i parcheggi) svolti dai «bad boys» ajacidi con una scioltezza che li renderebbe immutati anche se al posto della linea laterale ci fosse il bordo di un precipizio; momenti di gegenpressing (il pressing sùbito reiterato a palla persa) così intensi da dare l’idea di contrarre il campo (mentre certe distensioni in staffetta sembravano poterlo dilatare). In questo contesto, anche i giocatori emergevano per tratti non separabili da quelli della filosofia d’insieme;

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    De Ligt come difensore centrale di costruzione cartesiana (e così Blind); De Jong (rovescio simmetrico) come mediano di costruzione capace di scalare in varie posizioni di difesa; Van de Beek con un «senso dello spazio» come quello di Smilla per la neve, cioè con un’ubiquità posizionale che gli permetteva di scalare a marcare, smarcarsi in appoggio, toccare rapido o tenere palla secondo necessità; e ancora la plasticità di Tadic (un «nove e mezzo» di rara sagacia), il pendolarismo tra le fasi e gli incroci offensivi di Zayech e Neres, e così via.
     

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    Di fronte a tutto questo, la Juve (cioè non la difesa, ma il sistema difensivo più forte del mondo, perché di questo stiamo parlando) resisteva senza vacillare davvero, ma al costo di somigliare per lunghi momenti (specie nel secondo tempo) a una delle provinciali che lei stessa in serie A narcotizza e poi finisce con una-due stoccate risolutive. Il che acuisce i meriti ajacidi, perché raramente il gioco di Allegri - esito di una lunga, ammirevole evoluzione - è sembrato così passivo, nemmeno nello 0-2 di Madrid (e difficilmente lo sarà a Torino). Di fatto, quasi tutto è consistito nella delega ai tanti tenori e primattori (i suoi Bocelli, pardon Pavarotti): vedi la formidabile penetrazione sincronica di CR7 sul gol (con uno dei suoi leggendari contro-movimenti in corsa) o la terrificante accensione di Douglas Costa.
     

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    Come detto, allo Stadium non dovrebbero esserci sorprese. I tenori (e una Juve più intraprendente) dovrebbero chiudere il discorso. Se così sarà, agli utopisti converrà non perdere la partita: con l’Ajax all’ennesimo smembramento (De Jong già venduto; De Ligt quasi; gli altri chissà), la musica di ieri (qualcosa che riprendeva la concezione del «largo» di «Wish You Were Here» o del motivo sinfonico di «Atom Heart Mother», ma con voci e strumenti nuovi) potrebbe essere ascoltata per l’ultima volta, almeno in Europa.

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