Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
rifugiati in fuga ucraina
Ne sono già arrivati 71mila, le stime parlano di una possibile ondata di almeno nove volte tanto e di posti effettivi, al momento, ne abbiamo circa 90mila. Che sull'accoglienza ai profughi ucraini i conti non tornino è nei fatti. Anzi, nei numeri. Perché per adesso ci sono quelli: le cifre degli ingressi (71.940, un terzo dei quali sono bambini: lo dice il Viminale); le proiezioni complessive (la guerra di Putin porterà almeno 650mila sfollati in Italia: lo sostiene l'Unhcr, cioè l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) e le somme stanziate (152 milioni di euro per le regioni e le province autonome «in relazione al numero di persone accolte sul territorio»: è scritto nel decreto legge numero 21 del 2022, al secolo "misure urgenti perla crisi in Ucraina").
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C'è un problema, a Roma: ed è che non siamo preparati. D'accordo, è appena l'inizio. D'accordo, sono i primi passi. Però, a guardare le cose nel loro complesso, qualche dubbio viene. La stragrande maggioranza di ucraini che, fino a ora, hanno lasciato Kiev e Mariupol e Odessa per venire a Milano, Roma e Bologna (le destinazioni principali del loro esodo forzato) è ospitata dalla rete privata. Ossia dalle famiglie che danno lavoro alle badanti dell'est e che han messo a disposizione un appartamento o una stanza o quel che potevano. E vivaiddio, per fortuna che ci sono: non fraintendiamoci.
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Solo che nelle strutture pubbliche, in quei centri dell'assistenza che tanto conosciamo, ne sono entrati a malapena 5mila: «Molti di loro hanno fatto ricorso ai parenti e agli amici», spiegava pochi giorni fa la ministro degli Interni Luciana Lamorgese. E va pure bene, oggi. Ma domani, quando la dogana la passeranno in mezzo milione, che si fa? Un mese fa, a inizio conflitto, quando i russi sono saliti sui carri armati e hanno deciso di invadere i campi di grano ucraini, il flusso di arrivi in Italia era anche di 4mila disperati al giorno, nell'ultima settimana la media è scesa a 1.600 (sabato, ma il week-end ha sempre dati un po' sfalsati, ne sono stati contati 1.156): tuttavia, qui, il punto è che non si arresterà tanto facilmente.
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Ci sono le organizzazioni no-profit, le onlus, le cooperative del terzo settore che il governo spergiura di voler coinvolgere nel piano adi ssistenza (e, non a caso, ha avviato un tavolo di confronto). Ci sono i circa 16mila posti ricavati tra i Cas (i centri di accoglienza straordinaria) e il Sai (il sistema di accoglienza e integrazione). Ci sono gli altri 75mila messi in piedi nelle ultime settimane. Ci saranno i contributi statali (pare 35 euro a persona ospitata al giorno fino al 31 ottobre prossimo).
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E poi c'è la burocrazia, un vagone di burocrazia, che si inframmezza tra chi vorrebbe aprire le porte di casa sua ma non ce la fa, perché non si capisce nemmeno a chi rivolgersi. Oppure tra chi si è perso in mille certificati, altrettanti documenti da presentare, da bollare, da protocollare: nonostante l'emergenza sia, per sua natura, un problema che va affrontato nell'immediato.
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Altrimenti che senso ha? «I bambini in fuga dall'Ucraina sono a rischio tratta. Qui c'è una grande volontà di fare bene, ma manca un coordinamento reale». A lanciare l'allarme (quello peggiore di tutti, tra l'altro) è Ernesto Caffo, il presidente del Telefono azzurro. I minori che hanno raggiunto l'Italia, a ieri, sono 28.197: mica una bazzecola. Più di 5mila si sono già iscritti a scuola, e questa è una buona notizia.
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Però in 277 non hanno proprio nessuno. Da noi ci sono arrivati senza un genitore, un nonno e nemmeno uno zio: «C'è l'esigenza», ha spiegato Lamorgese assicurando che sono in carico al sistema di accoglienza temporanea, «di ottenere un censimento del fenomeno soprattutto incrementando i controlli per evitare zone d'ombra che favoriscano interessi e traffici criminali». Ecco, è pure il minimo.
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