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    L’AMORE RESTA SUPREMO PER COLTRANE, LA DIVINITA’ DEL JAZZ – A 50 ANNI DALLA MORTE, UN DOCUMENTARIO RICORDA IL GRANDE MUSICISTA CHE RIEMPI’ IL SAX DEL SUO DOLORE – LA QUASI MORTE PER EROINA, IL TORMENTATO RAPPORTO CON MILES DAVIS, I FISCHI A MILANO E LA CHIESA CHE A SAN FRANCISCO NE VENERA IL CULTO – VIDEO


     
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    Marco Molendini per il Messaggero

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    Fu amore supremo fra John Coltrane e il popolo del jazz. A love supreme, come il titolo del visionario capolavoro del sassofonista. La musica dei neri prima non aveva mai guardato tanto lontano e così in alto, fino a volare nella trascendenza. E, ancora oggi, a 50 anni dalla morte di quel profeta avvolto dal misticismo delle religioni, le tracce della memoria sono profonde nei meravigliosi dischi che riproducono il suono ipnotico del suo strumento senza limiti e, addirittura, nella bizzaria, solo americana, di una chiesa, la Saint John Coltrane church, che a San Francisco ne venera il culto, con il vescovo ortodosso Franzo King che prova a ripeterne al sax le inimitabili gesta musicali per un gregge di fedeli sulla cui spiritualità non c'è da mettere la mano sul fuoco, ma sulla passione per quell'inarrivabile santo jazzista sicuramente si.

     

    Effetti di una carriera esaltante e caotica, profonda e brevissima, gigantesca per intensità. Uno dei momenti più alti della storia del jazz: ne ha segnato profondamente il corso, facendolo transitare dalle certezze dell'hard bop alle sfrenate larghezze del free jazz, è stato il più influente dei sassofonisti, imitatissimo nel suono e nello stile, ha contribuito alla sua diffusione volando su quel quartetto composto dal suo pianista del cuore McCoy Tyner, da Jimmy Garrison al basso e dall'immenso batterista Elvin Jones.

     

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    Un successo che si riverbera ancora oggi, ma soprattutto per le opere meno trascendenti: non il manifesto del free jazz che fu Ascension, non il caotico Meditations, sicuramente il bellissimo My favorite things, e i dischi di pacata bellezza come Ballads, come l'incontro con Duke Ellington, come la magnifica raccolta di canzoni col crooner Johnny Hartman. Testimonianze esplicite di una dimensione musicale arrivata all'amore supremo solo negli ultimi spiccioli di storia del sassofonista.

     

    Un profeta nato ad Hamlet, nella Carolina del nord, che, come l'eroe shakespeariano, ha spesso frequentato le incertezze del dubbio. Il più grande quando dovette decidere: o il jazz o l'eroina. Il suo amico, protettore, bandleader Miles Davis le aveva provate tutte, una sera anche prendendolo a pugni. Alla fine lo licenziò, esasperato dai continui ritardi. John allora sciolse il dubbio.

     

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    Dopo la quasi morte, la resurrezione. Si chiuse in casa (come nella famosa scena con Frank Sinatra nel film L'uomo dal braccio d'oro) finché non si liberò dell'eroina e cambiò la sua vità: da spettacolare specialista di uno strumento dal fascino travolgente come il sax tenore, si trasformò in profeta. Il dubbio lo tormentò anche quando, anni dopo, fu lui a voler lasciare Miles Davis. Non aveva il coraggio di dirglielo: Miles era quello che era, genio irritabile. E, quando seppe dell'intenzione, si infuriò. John capitolò e partì per il tour europeo che li aspettava solo con un vestito, due camicie e un sacchetto di caramelle al rum life savers di cui andava ghiotto.

     

    MILANO E I FISCHI Quell'anno, era il 60, suonò anche in Italia, a Milano, fischiato dai tradizionalisti del jazz per i suoi assoli torrenziali (anche i santi del jazz hanno avuto i loro calvari). La leggenda di Coltrane è stata segnata anche dal caso. Come quando scoprì il sax soprano, dimenticato da un suo collega sul taxi in cui stavano viaggiando insieme.

     

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    Col soprano John realizzò il suo primo oceanico successo, My favorite things, il valzer di Tutti insieme appassionatamente che trasformò in un tema clamorosamente ipnotico e vagamente orientaleggiante da cui sarebbe rimasto ossessionato per tutta la vita, scomponendolo, rendendolo sempre più astratto. Quando se ne andò il 17 luglio del 1967 aveva appena 40 anni: aveva un tumore ma, avvolto nello studio delle filosofie orientali, non se ne curava, reagendo ai dolori con dosi massicce di aspirina. Lasciava il ricordo di un uomo gentile e dotato, questo si, di una grazia divina.

     

    La sua storia ora è stata raccontata finalmente in un documentario, Chasing Trane, diretto da John Schenfeld, autore del bel documentario The US vs John Lennon, con la voce di Denzel Washington, le testimonianze di Sonny Rollins e Carlos Santana, McCoy Tyner e dell'ex presidente Bill Clinton, suo grande ammiratore. 

     

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