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    L’ANGELO DEL MALE – L’EX INFERMIERA DANIELA POGGIALI CONDANNATA A 30 ANNI PER AVER UCCISO UN PAZIENTE DI 95 ANNI CON UNA SOMMINISTRAZIONE LETALE DI CLORURO DI POTASSIO – “SI ERA ERTA AD ARBITRO DELLA VITA E DELLA MORTE DEI PAZIENTI” - LA VITTIMA ERA STATO IL DATORE DI LAVORO DI UN SUO EX COMPAGNO E LA DONNA L’AVEVA MINACCIATO: “STIA ATTENTO A NON CAPITARMI TRA LE MANI”


     
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    Da corriere.it

     

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    Per aver ucciso un anziano paziente con una somministrazione letale di cloruro di potassio è stata condannata a 30 anni di carcere Daniela Poggiali, l’ex infermiera dell’Ausl Romagna dipinta anni fa dai magistrati come la donna (del male) che «si era erta a diventare l’arbitro della vita e della morte dei pazienti». La sentenza pronunciata oggi riguarda il decesso di Massimo Montanari, un anziano di 95 anni, avvenuto il 12 marzo 2014 poco prima di essere dimesso da un ospedale nel ravennate. La sentenza è stata letta nel processo abbreviato dal gup del tribunale di Ravenna Janos Barlotti.

     

    La minacce

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    L’ex infermiera conosceva la vittima (era stato datore di lavoro di un suo compagno) che aveva minacciato più o meno velatamente in diverse circostanze. Una di queste il 3 giugno 2009, mentre si trovava negli uffici per consegnare un certificato relativo a una pratica infortunistica dell’ex. Ad un’attonita segretaria aveva urlato: «State attenti te e Montanari di non capitarmi tra le mani».

     

    Un elemento che ha pesato sul riconoscimento dell’aggravante della premeditazione. Si è scritto e parlato molto di Poggiali in questi anni, al centro di numerose inchieste giudiziarie e forti interessi mediatici. Il profilo umano e psicologico che ne è uscito tende a raffigurarla come una personalità crudele, spregiudicata, diabolica, una sorta di angelo del male che secondo i giudici di Bologna aveva in testa quel folle pensiero: «Si era erta ad arbitro della vita e della morte dei pazienti».

     

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    Parole scritte dai giudici per motivare il «no» alla scarcerazione dell’ex addetta al settore C del reparto di Medicina dell’ospedale di Lugo di Romagna (Ravenna), dopo esser finita in galera nel 2014 con l’accusa di aver ucciso un’anziana paziente, Rosa Calderoni, nel modo più invisibile: iniezione di cloruro di potassio, una sostanza letale che non lascia tracce.

     

    Iter giudiziario

    La vicenda giudiziaria ha presentato diversi colpi di scena. Con giudici che hanno marcato in maniera difforme gli elementi raccolti dall’accusa. Poggiali era stata condannata in primo grado alla pena a vita per aver avvelenato l’anziana paziente Calderoni e il sospetto di averne uccise altre trenta (marzo 2016). Poi era stata assolta in appello a luglio 2017. Esattamente un anno dopo, la Cassazione ha deciso di annullare l’assoluzione disponendo un nuovo giudizio di secondo grado. Un procedimento quest’ultimo che si è concluso il 23 maggio del 2019 con un’altra assoluzione, con l’ex infermiera considerata bersaglio di una diabolica congiura che avrebbe portato alla manomissione della prova regina, il deflussore della flebo della paziente dove è stato trovato il potassio.

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    «Ma quale congiura, quale vittima, questa è un’ipotesi infondata, irrazionale e gravissima» era stata la replica della Procura generale di Bologna, chiedendo alla Cassazione di annullare l’ultima sentenza. Una richiesta «accolta» a settembre dalla Suprema Corte che ha deciso che il processo di Appello dovrà essere rifatto. Ad ogni modo, la storia è andata avanti ed ha preso nuove pieghe.

     

    Vittima

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    All’inizio 2020 i magistrati di Ravenna, con il procuratore Alessandro Mancini in prima persona, hanno aperto un fascicolo per sondare l’ipotesi della Poggiali vittima, dopo averla a lungo indagata come killer con il forte dubbio della serialità. Il procedimento aveva portato all’iscrizione di un nome nel registro degli indagati: quello di Ivonne Zoffoli, direttrice dell’Ospedale di Lugo all’epoca dei fatti. L’accusa ipotizzata è la simulazione di reato o, in alternativa, la calunnia. Ma attenzione perché questa è un’inchiesta anomala, destinata probabilmente a spegnersi in una richiesta di archiviazione.

     

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    D’altra parte se così non fosse crollerebbe in un sol colpo l’intero castello accusatorio degli stessi inquirenti romagnoli. Nel frattempo Daniela Poggiali era ritornata in libertà. «Si occupa della madre malata», aveva spiegato il suo avvocato, Lorenzo Valgimigli, aggiungendo che non sarebbe potuta rientrare in ospedale a fare l’infermiera perché radiata dall’albo professionale al termine di un procedimento disciplinare (2017) per le foto choc che la ritraevano sorridente accanto a un cadavere. Su di lei pesano anche le condanne per i furti in corsia e peculato e per altre foto choc scattate con le pazienti decedute.

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