Maurizio Bologni per la Repubblica
FEDERICO DEL VECCHIO2
Gli ultimi dieci anni di vita di Banca Federico del Vecchio cominciano con una supervalutazione e una vendita a peso d' oro. Nel mezzo, errori e inutili tentativi di salvataggio.
Alla fine, la cancellazione di un brand sopravvissuto per oltre un secolo. E ora uno strascico di polemiche che tira in ballo Marco Carrai, vicino a Matteo Renzi, per la mail inviata il 13 gennaio 2015 all' allora ad di Unicredit Federico Ghizzoni.
Con chi ci ha parlato, ieri Carrai ha rivendicato la liceità del suo operato, in qualità di consulente di un cliente interessato al dossier di vendita per salvare la del Vecchio. Dal 1889 la cassaforte dei patrimoni privati dei ricchi fiorentini, aveva vissuto un'esistenza tranquilla, controllata dalle famiglie della città, prima i del Vecchio eredi del fondatore Federico e i Benini, quindi anche i Bagnoli del gelato Sammontana, i Festini e altri ancora.
FEDERICO DEL VECCHIO1
Nel 2006, arriva Banca Etruria. Gli aretini valutano 120 milioni - e acquisiscono subito il 71,3% - quella boutique del credito che allora ha due sportelli e un centinaio di dipendenti, 41 milioni di patrimonio, 285,3 milioni di attivo, 251,6 di raccolta diretta e un utile netto di 2,9 milioni. Si racconta che, allora, nei salotti fiorentini, qualcuno brindò: una perizia dell' epoca aveva stimato molto inferiore a 120 milioni il valore della banca. Oggi i brindisi hanno lasciato il posto all' ironia amara degli aretini delusi: «Del Vecchio sta a Etruria come Antonveneta sta a Monte dei Paschi». Esagerazioni, forse.
mail carrai a ghizzoni
E poi quelli erano anni di crescita e Banca Etruria voleva svilupparsi per linee esterne, creare un polo di private banking e wealth management che del Vecchio incarnava. Di sicuro, però, quel matrimonio non ha portato bene ai due sposi. Per decenni Banca del Vecchio era stata l' istituto dove le danarose famiglie fiorentine aprivano il conto corrente ai figli al raggiungimento della maggiore età; quel glorioso forziere che dopo l' alluvione del 1966 aveva finanziato la risurrezione degli orafi di Ponte Vecchio.
CARRAI
Negli anni Duemila è già cambiata. E con Etruria diventa un' altra cosa. La capogruppo, che finirà di riscattare il 100% della banca fiorentina nel 2008, gli trasferisce altri quattro sportelli che possiede a Firenze, le masse gestite aumentano (di quasi 700 milioni la raccolta del 2015), ma la del Vecchio finisce per perdere la sua peculiarità. Così, quando la banca fiorentina viene trascinata nel fango della crisi di Etruria, restituirle un futuro autonomo diventa impresa impossibile. Ci provano. Risultato, zero.
Siamo nel 2013, Claudio Salini, già alla Comit, poi a Consob prima come responsabile della Divisione mercati e poi segretario generale, prende il timone come presidente da Antonella Mansi, che è passata al vertice della Fondazione Monte dei Paschi. E da allora, fino al 2015, nella storica sede di Viale Gramsci a Firenze, filano via due anni disperati nel tentativo di strappare la del Vecchio dall' abbraccio con Banca Etruria che già si intravede mortale. A Firenze c' è chi pensa di doversi impegnare per tutelare una banca-mecenate della città, qualcuno rispolvera la "fiorentinità" dell' istituto che altri avevano sepolto anni prima.
ghizzoni boschi etruria
«Salini si comportava da gran signore, mosso da spirito di servizio, e ci informava di tutti i possibili acquirenti che si avvicinavano al dossier, anche perché all' epoca del Vecchio aveva in essere un deposito a tempo di 20 milioni verso la capogruppo», ricorda un ex consigliere di amministrazione.
Ed ecco affacciarsi i potenziali salvatori. «Era un viavai di avvocati d' affari, cordate di imprenditori locali che si facevano e disfacevano nell' arco di un giorno - ricorda il consigliere di amministrazione si parlò di due fondi inglesi, di uno israeliano e di uno svizzero, di Algebris di Serra, di manifestazioni d' interesse di Bper e Popolare di Bari. No, escludo un intervento diretto di Marco Carrai». Che invece parlò della banca con esponenti di banche del credito cooperativo indicate come vicine al "Giglio Magico", sicuramente ChiantiBanca, che allora accarezzava il progetto di creare un polo di wealth management.
victor massiah
Ma non se ne fece niente. Banca Federico Del Vecchio costava troppo: 70 milioni di euro. Sconti Etruria non ne faceva per non essere costretta a svalutare l' iscrizione in bilancio. E 70 milioni erano giudicati troppi per una banca gonfiata da sportelli e clienti della capogruppo che verosimilmente se ne sarebbero andati al momento della cessione. E così del Vecchio resta abbracciata ad Etruria fino all' offerta rifiutata di Banca Popolare di Vicenza e fino alla risoluzione. Poi l' arrivo di Ubi che compra in blocco le due banche toscane e ne cancella le insegne assieme ai sogni di gloria di aretini e fiorentini.