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    GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA POLITICA GENDER - L'APPELLO DELLE DETENUTE AMERICANE CONTRO LA CONVIVENZA CON DETENUTI MASCHI CHE "SI SENTONO" DONNE: "È UN CALVARIO. LE DONNE IN CARCERE SONO SPESSO VITTIME DI ABUSI SESSUALI DURANTE LA DETENZIONE" - "È INTERESSANTE CHE, NESSUNA DONNA CHE SI IDENTIFICA COME TRANSGENDER SIA STATA RINCHIUSA IN UNA PRIGIONE MASCHILE. QUESTO DIMOSTRA CHE..."


     
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    Estratto dell'articolo di Giuliano Guzzo per “La Verità”

     

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    «Stare in prigione con maschi che “si sentono” femmine è, per noi detenute, un calvario». A firmare questa forte denuncia è Kokila Hiatt, detenuta presso l’Edna Mahan correctional facility for women, una struttura penitenziaria del New Jersey dove la convivenza tra carcerati di sesso biologico differente è una realtà. Insieme a 800 donne, infatti, ci sono una trentina uomini che tali non «si sentono»; fra questi, pure detenuti che è eufemistico definire pericolosi.

     

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    […] un lungo appello, pubblicato dal sito Reduxx, in cui urla tutto il disagio suo e delle altre nella sua condizione.  «In tutta l’America, vengono progettate e implementate politiche carcerarie per persone transgender detenute», esordisce la Hiatt, che ricorda come tali politiche mirino «a garantire la sicurezza e la dignità degli uomini che si identificano appartenenti al sesso opposto, alloggiandoli in prigione insieme alle donne». […], «sebbene tali politiche siano relativamente nuove, si sono rapidamente dimostrate pericolose per le detenute. […]».

     

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    Una novità che Hiatt, come altre, ha trovato sconvolgente: «Sono rimasta scioccata dalla miriade di modi in cui il dipartimento penitenziario del New Jersey ha facilitato ai detenuti trans l’accesso allo spazio tradizionalmente riservato ai noi donne». […] «È interessante notare che, benché queste politiche siano in vigore in più Stati», prosegue infatti la Hiatt, «nessuna donna che si identifica come transgender sia stata rinchiusa in una prigione maschile».

     

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    «Questo», si legge sempre nell’appello riportato su Reduxx, «dimostra una verità ineludibile: che i corpi maschili sono pericolosi per quelli femminili indipendentemente dall’identità di genere di una persona[…] «Le donne in carcere sono spesso vittime di abusi sessuali durante la detenzione», racconta Hiatt che, non bastasse il buon senso a far capire la fondatezza di quanto afferma, richiama dei numeri inequivocabili: «Dal 2009 al 2011, i dati nazionali sulla vittimizzazione sessuale in carcere hanno mostrato che le detenute, pur essendo solo il 7% della popolazione carceraria complessiva, hanno rappresentato il 33% delle aggressioni sessuali denunciate dal personale penitenziario». […]

     

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    Nel Canada di Justin Trudeau è stato, per esempio, realizzato uno studio, intitolato Gender diverse offenders with a history of sexual offending, da cui si evince come quasi un detenuto transgender su due - il 44%, per l’esattezza - si trovi in carcere per reati sessuali e, oltre l’80% di essi, siano uomini che «si sentono» donne. Degno di nota, inoltre, è che il 94% dei criminali transgender abbia commesso i propri crimini, che spesso sono a sfondo sessuale, identificandosi col proprio sesso biologico. Che ciò rappresenti un rischio concreto è provato dal varo, ufficializzato a fine febbraio dal segretario alla Giustizia inglese, Dominic Raab, di nuove regole per i penitenziari: i trans condannati per crimini violenti e ancora in possesso dei genitali maschili saranno esclusi dalle carceri femminili in Inghilterra e Galles.

     

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    Una decisione, aveva affermato Raab ripreso dal DailyMail, «basata sul buon senso e che migliorerà la sicurezza dei detenuti». Il buon senso, però, sembra non esser di casa nell’America di Joe Biden, dove carcerate come Kokila Hiatt rischiano ogni giorno la loro incolumità; probabilmente più di quanto non la rischierebbero passeggiando libere per strada. «Vivere il calvario di essere in prigione con maschi affetti da disforia di genere», ha affermato sempre la detenuta dell’Edna Mahan, «mi ha fatto apprezzare il lavoro delle donne che, nel corso della storia, hanno lottato per il nostro diritto alla sicurezza».

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