Estratto dell'articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica”
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Si chiama New development bank (Ndb), ma è più conosciuta come la “Banca dei Brics”. È l’istituto di finanza per lo sviluppo con cui le potenze emergenti – trainate dalla Cina – cercano di costruire un’alternativa alle grandi istituzioni a guida americana come la Banca mondiale.
La guerra in Ucraina ha fatto tremare uno dei suoi pilastri visto che Mosca, socio fondatore, è diventata all’improvviso intoccabile per colpa delle sanzioni. Ma a rilanciare un progetto mai davvero decollato e rimpinguarne le casse potrebbe arrivare un nuovo socio assai ricco: l’Arabia Saudita. Secondo il Financial Times il negoziato per l’ingresso della petromonarchia è in corso.
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Creata nel 2015 da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, i Brics, la Ndb si è nel frattempo allargata ad Emirati, Egitto e Bangladesh. Ha stanziato 33 miliardi di dollari di prestiti per infrastrutture di vario tipo: la distanza rispetto ai 67 miliardi sborsati dalla Banca mondiale nel solo 2022 spiega la differenza di peso.
E le difficoltà sono cresciute non poco dopo il necessario congelamento della posizione di Mosca. Nelle ultime settimane però i movimenti attorno all’istituto di Shanghai sono aumentati, significativi soprattutto alla luce del rimescolamento degli equilibri globali generato dalla sfida tra Stati Uniti e Cina.
In un crescendo di competizione, le due superpotenze stanno cercando di portare dalla loro parte il mondo “terzo”.
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Un mese fa il presidente brasiliano Lula era in Cina per assistere alla cerimonia con cui la ex numero uno del Paese sudamericano Dilma Rousseff è stata nominata alla presidenza dell’istituto. In quell’occasione Lula ha promosso la “de-dollarizzazione” degli scambi tra i Paesi del Sud globale, un pallino di Xi Jinping.
Nei prossimi anni la Nbd verserà un terzo dei prestiti in moneta locale, anziché in dollari, mentre proseguono le discussioni su un’ipotetica, per ora utopica, valuta dei Brics.
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L’ingresso dell’Arabia Saudita confermerebbe però l’avvicinamento tra la monarchia, in rotta con gli Usa, e la Cina di Xi. Che qualche settimana fa, tra lo stupore generale, è stata mediatore dell’accordo tra i Sauditi e l’Iran.
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Pechino cerca di cavalcarne i timori, presentandosi (con ipocrisia) come difensore della globalizzazione contro la logica “dei blocchi” americana. Ma gli Stati Uniti sembrano avere capito il rischio e non a caso all’ultimo G7, a cui il Giappone ha invitato anche India e Brasile, la retorica è stata modificata: non “decoupling”, divorzio dalla Cina, bensì “derisking”, riduzione dei rischi. Per gli emergenti questa sfida è l’occasione di “alzare il prezzo” con le due superpotenze.
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Ma da qui a costruire un sistema alternativo a quello americano, come auspicherebbe Pechino, il passo è lunghissimo. Proprio la Ndb mostra quanto al momento sia impensabile: nonostante la Russia sia uno dei suoi membri fondatori, la banca ha interrotto i progetti con Mosca per non rischiare sanzioni. E senza i fondi russi la trattativa per portare a bordo Riad pare una necessità, più che una prova di forza.
Xi jinping con Salman bin Abdulaziz al-Saud XI JINPING BIN SALMAN xi jinping con vladimir putin a mosca new development bank