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    L'ARGENTINA CERCA UN NUOVO "DIOS" - È L'ULTIMA OCCASIONE PER LIONEL MESSI PER MERITARSI IL PESANTE PARAGONE CON MARADONA - L'ATTACCANTE DEL PSG CI È ANDATO VICINO GIÀ UNA VOLTA, CON LA FINALE PERSA NEL 2014 CONTRO LA GERMANIA - E PENSARE CHE "LA PULCE" AVREBBE POTUTO GIOCARE PER LA SPAGNA E MAGARI VINCERE IL MONDIALE NEL 2010...


     
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    Giulia Zonca per “la Stampa”

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    Primo marzo 2006, siamo a Basilea, fa freddo, Messi ha i capelli lunghi e il numero 19 sulle spalle. Segna il suo primo gol per l'Argentina, dopo aver piazzato un assist per Carlito Tevez. Corre ad abbracciare Riquelme: sta in mezzo agli uomini per cui fremono gli hinchas, i tifosi che si identificano nella Seleccion. Quelli che Messi, con i capelli corti e il 10 addosso, ha conquistato solo ora, solo dopo la partita contro l'Olanda e ancora non sa se li avrà per sempre dalla sua parte.

     

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    In quel finale di inverno di 16 anni fa, l'Argentina giocava (e perdeva) in amichevole contro la Croazia in cui esordiva da titolare Luka Modric. Incroci. Di più, in campo c'erano Samuel e Aimar, adesso sulla panchina della nazionale come assistenti di Scaloni che allora era tra le riserve. Questa squadra è una famiglia per Messi ed è pronto a difenderla, nel gruppo lui è l'unico e il solo leader riconosciuto a cui nessuno si oppone.

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    Sembra scontato, ma in un Mondiale non era mai capitato prima, c'era sempre un nome meno famoso o talentuoso di lui e decisamente più amato dall'Argentina cresciuta nel mito di Maradona e orfana di un capopopolo. Messi era altro e fino a che non si è messo le mani dietro alle orecchie per fare il verso all'allenatore dell'Olanda van Gaal è rimasto altro.

     

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    Uno che si è fatto adottare dalla Spagna, adorare dal Barcellona, uno che vive in Europa e va in vacanza dove è nato. Uno con doti straordinarie che però non è Maradona e c'è solo un Maradona: quando lo senti a 16 anni, a 20, a 25 e a 30 senza riuscire a scalfire questa idea ti stufi. Nel 2018 Messi era stanco di vedere sempre quei dubbi accendersi, di sapere che esisteva un qualche clan pronto a dubitare della sua dedizione, della capacità di trainare un Paese affamato di calcio. E di altro.

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    Di stabilità, di una moneta che regga fluttuazioni deprimenti, di una politica che dimentichi il populismo. Ma soprattutto di pallone perché è più facile, immediato e con un Mondiale in tasca tutto il resto può attendere. Il contesto non è cambiato, Messi sì e non conta il fatto che Maradona sia morto, per lui era comunque già un fantasma, un ombra. Non che non lo amasse, ma non lo poteva nemmeno avere in eterno sulle spalle insieme con il numero ereditato da lui.

     

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    Maradona è stato il giudice di Messi nel 2006 del debutto, il ct di Messi in un 2010 carico di frustrazioni, il tifoso di Messi nel 2014 che ha portato alla finale, un'illusione pagata a prezzo altissimo anche da chi guadagna milioni di euro. Poi è arrivata la noia e adesso c'è solo la volontà. Messi ha un ultimo tentativo per ripetere quello che è riuscito a Maradona e diventare meglio di lui perché vincere in Qatar lo porterebbe su un altro pianeta, soprattutto per la gente che non lo ha mai amato come adesso. Messi ha scoperto che questo affetto gli piace. Lo cambia.

     

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    Non è nel pieno della sua carriera, è stato più forte di così e più continuo, a Rio credeva di aver sprecato l'occasione migliore: in finale con la Germania, una combinazione perfetta. Poter vincere il trofeo più ambito, in casa dell'avversario calcistico più sentito, contro la nazione che ha tolto la possibilità di bissare il titolo all'Argentina di Maradona, nel 1990. L'incastro della vita. E ha segnato Goetze. Fine, sipario, calo del desiderio. Ci sono voluti anni e due Mondiali per riattivare la passione.

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    Maradona è ancora negli striscioni, sta, proprio vicino a Messi, nella sfilata di ritratti dedicati ai campioni al centro culturale di Katara, un lungo mare dipinto tra Doha e Lusail. Maradona riemerge nei filmati con cui si culla Buenos Aires e in ogni ricordo di chi porta una bandiera ma non è a lui che si votano stavolta, non può essere il santo patrono di un Mondiale dato in mano a Messi. Chiavi in mano.

     

    Per capire se riuscirà ad aprire la porta agli argentini che bussano dal 1986 deve prima sfinire la Croazia. La Croazia di Modric che ha attraversato di continuo la sua strada, fin da quel marzo del 2006 segnato sul calendario da entrambi come prima volta. Questa è l'ennesima eppure ha la stessa semplicità e la medesima urgenza. Due campioni al loro ultimo giro per stabilire un pezzo di eternità.

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    Messi credeva di poterne fare a meno. Ha scoperto di averne bisogno. C'è la sua faccia sul bandierone gigante con cui sciamano gli argentini arrivati in massa ieri sera, hanno occupato il Souq Waqif, dormono in strada, immaginano un'altra finale. E in questa ci sarebbe un solo numero 10.

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