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    L’ARTE DEL POLITICAMENTE CORRETTO AMMAZZA L’ARTE – LUCA BEATRICE: “UN'OPERA SI RICONOSCE SE CAPACE DI RIMANDARE CONCETTI UNIVERSALI E NON PARTICOLARISMI LEGATI A SESSO E GENERE. OGGI I CURATORI DI BIENNALI E MUSEI SONO OBBLIGATI A DISTRIBUIRE LE SCELTE PER GENERE (UOMINI, DONNE, TRANSGENDER, CONFUSE IDENTITÀ CON ASTERISCO FINALE) SENZA DIMENTICARE MINORANZE E RAZZE NON DOMINANTI. TUTTO BENE, MA COSÌ SI FA CRONACA, NON CULTURA E INFATTI L'ARTE INTORNO AL 2020 RISULTA NOIOSA, CONTINGENTE E DIFFICILMENTE RESISTERÀ NEL TEMPO…”


     
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    Luca Beatrice per "Il Giornale"

     

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    A partire dalle avanguardie storiche, ogni epoca della storia dell'arte ha sviluppato diverse teorie anche in contrasto tra loro. Quella di oggi pare incagliata nei bassifondi del «gendersim», lontano parente del fenomeno già contestato negli anni '90 dalle acute osservazioni di Robert Hughes. Mentre un secolo fa, movimenti, gruppi e singoli interpreti gareggiavano per rivoltare l'arte e la cultura come un calzino, gli anni Venti del Duemila recitano la litania delle pari opportunità interpretando il passato sotto la luce viziata del presente.

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    Non c'è giorno in cui non si leggano notizie e dichiarazioni strampalate e senza pensiero: bisognerebbe pareggiare il conto tra presenze maschili e femminili nella collezioni della Galleria Nazionale di Roma e non piuttosto offrire alla riflessione del pubblico le opere migliori indipendentemente dal sesso dell'autore.

     

    La prossima antologica di Lee Krasner (1908-849 al Guggenheim Bilbao non è intesa come la legittima riscoperta di una pittrice dell'Espressionismo Astratto, ma un atto di risarcimento nei confronti della moglie di Jackson Pollock, la quale oltre a sposare un genio fu costretta a sopportare soprusi e violenze di uno psicopatico, nonché mettere da parte le proprie velleità artistiche, almeno fino al 1956, quando Pollock morì in un incidente d'auto.

     

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    Il primo torto grave alle donne nell'arte lo reca proprio questo tipo di lettura. Si parla poco delle qualità dell'opera e sempre troppo del personaggio, del ruolo, del sacrificio sull'altare del maschilismo. In tanti, ma soprattutto tante, parlano molto e studiano poco: Lee Krasner fu senz' altro una valida pittrice, che guardò ai Surrealisti e a Picasso prima ancora che al terribile marito, ma il suo lavoro risulta se non derivativo, almeno di seconda fascia rispetto ai Pollock, Newman, Rothko e De Kooning.

     

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    L'Espressionismo Astratto, seppur maschilista e fallocratico, non fu movimento avaro nei confronti delle donne: Helen Frankenthaler, Hedda Sterne, Grace Hartigan, Joan Mitchell insieme alla Krasner sono salite, meritatamente, nella considerazione del mercato e della critica.

     

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    Nel 2015 Massimiliano Gioni curò al Palazzo Reale di Milano l'ambiziosa mostra La grande madre selezionando oltre 130 artiste donne nel '900, in particolare soffermandosi sulle prime avanguardie e sulla svolta dei tardi anni '60 legata al femminismo. È pressoché certo che nel 2020 la sua lettura verrebbe considerata illegittima perché opera di un maschio (ecco il delirio, le donne si occupino di donne, i neri di neri e avanti così), non il prezioso contributo a una nuova storiografia. 

     

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    Mettendo in risalto le personalità di tante artiste geniali, le futuriste Benedetta Cappa Marinetti e Regina, la dadaista Elsa von Freytag-Loringhoven, fino all'esplodere di performance e Body Art, Gioni ricostruì filologicamente uno scenario in gran parte da scoprire senza per questo attardarsi in proclami militanti o in questioni di equilibri numerici, che invece oggi sono al centro della questione.

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    Rispetto ad altri linguaggi, in particolare la letteratura, le arti visive sono partite senz' altro in ritardo nella piena considerazione del femminile, che si compie dagli anni '90, ovvero da quando la società entra nella globalizzazione e da quando si comincia a guardare oltre l'Occidente. Ma se allora le donne chiedevano a gran voce più attenzione per il loro lavoro, ora è una questione che non si discosta dalle pari opportunità tipo consiglio comunale.

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    Peccato che nell'arte e nella cultura non si dovrebbe ragionare così, che un'opera si riconosce se capace di rimandare concetti universali e non particolarismi legati a sesso e genere. Oggi i curatori di biennali e musei sono obbligati a distribuire le scelte per genere (uomini, donne, transgender, confuse identità con asterisco finale) senza dimenticare minoranze e razze non dominanti. Tutto bene, ma così si fa cronaca, non cultura e infatti l'arte intorno al 2020 risulta noiosa, contingente e difficilmente resisterà nel tempo.

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    E pensando che la Galleria Nazionale di Roma presto presenterà una mostra vietata ai maschi, ghettizzando ulteriormente una creatività che si rafforza semmai dal confronto, l'impressione è che il fanatismo abbia preso il posto della militanza. La storia però ha tempi lunghi e giudizi articolati. Frida Khalo resterà per sempre un gran personaggio e un'artista piuttosto greve, nonostante le folle adoranti.

     

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    Françoise Gilot nutriva l'ambizione di vivere di pittura ma sposò Picasso che sarà stato un gran bastardo con le donne però stiamo parlando del più grande pittore del '900 e nessuno poteva fargli ombra, tanto meno la compagna, 40 anni meno di lui, madre di Claude e Paloma, che dopo dieci anni ebbe il coraggio di lasciarlo e di scrivere un mémoire in cui a tratti lo ridicolizza. Ma non basta a cambiare le carte in tavola e non credo che se Gilot avesse avuto più tempo per dipingere, invece di assecondare le bizze di Picasso, ora noi leggeremo una versione diversa della storia dell'arte.

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