Antonio Riello per Dagospia
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E' sempre estremamente affascinante come le tradizioni extra-europee -soprattutto quelle asiatiche - riescano ad interagire con sistemi culturali che sono delle creazioni prettamente "occidentali" (la Musica Classica ad esempio). Ovvero faccende concepite e sviluppate all'interno di dinamiche molto peculiari - in termini di spazio e di tempo - rispetto alla Storia del pianeta. Noi europei, per pacifica assuefazione, di solito non ce ne accorgiamo ma tendiamo a porre automaticamente al centro della scena solo quelli che sono dei frammenti di una realtà molto più ampia (e assai meno eurocentrica) di quanto comunemente si pensi.
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Il paese orientale che storicamente ha saputo misurarsi (e soprattutto re-interpretare) con maggiore successo le elaborazioni culturali della tradizione europea è stato il Giappone, in particolare nel secondo dopoguerra. Per certi versi, in barba alla longitudine, lo si potrebbe immaginare paradossalmente come una sorta di Super-Occidente.
Questo è accaduto (e accade) anche con quell'insieme di pratiche e credenze che siamo usi chiamare "Arte Contemporanea". Il glorioso (ed eterogeneo) gruppo Gutai negli anni Cinquanta e Sessanta del XX Secolo ha avuto rilevanti rapporti tanto con l'Arte Concettuale che con l'Action Painting. Yoko Ono con il suo personalissimo stile ha virtuosamente (e per diversi anni) flirtato intorno a Fluxus e alla cosiddetta Poesia Visiva.
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Nara Yoshitomo e Takashi Murakami hanno separatamente sviluppato linguaggi che rappresentano in qualche modo l'evoluzione estrema della Pop Art (Hyper-Pop). Yayoi Kusama non ha bisogni di presentazioni, non solo è l'ubiqua regina del punto (o, come si dice in gergo, del pois) ma anche un'autentica eroina - su scala globale - delle fatiche supplementari che le donne hanno dovuto sopportare per essere riconosciute nella feroce e competitiva arena dell'Arte Contemporanea.
Un'altra protagonista originaria del Sol Levante, forse meno noto al grande pubblico, ma assolutamente di non minore statura artistica (e umana) è Kazuko Miyamoto. Con una magnifica mostra curata da Eva Fabbris, il MADRE di Napoli regala al pubblico italiano, finalmente, l'opportunità di conoscere meglio la sua ricerca. Già nel 1973 comunque la galleria Bonomo di Bari aveva ospitato la sua prima mostra personale in Italia (la collaborazione con la galleria sarà feconda e durerà a lungo).
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L'artista, nata a Tokyo nel 1942, si sposta a New York nel 1964 per completare gli studi. Là inizia presto una amicizia e una collaborazione professionale con Sol Lewitt. La prima fase del lavoro della Miyamoto è decisamente segnata dalle esperienze del Minimalismo. L'artista attiva un silenzioso dialogo con i vari aspetti della spazialità. O meglio: più che un dialogo piuttosto un raffinato duello che, di fatto, non ha mai veramente abbandonato. Il suo approccio fondamentale è quello delle cosiddette string constructions, fitte strutture geometriche realizzate usando corde (o fili): linee determinate (con rigore matematico) che collegano il pavimento con la parete o le pareti tra loro. Nel frattempo il suo impegno si estrinseca anche con A.I.R, un collettivo di sole artiste donne attive a New York.
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Le sue griglie, bidimensionali con il disegno su carta o tridimensionali con le installazioni a parete, assurgono a paradigma della stagione della Minimal Art. La impeccabile millimetrica precisione di questi lavori sancisce l'esistenza di un vuoto spaziale. Con una attitudine concettuale che forse un po' ci ricorda certe realizzazioni legate all'Arte Povera di Giovanni Anselmo: ma in questo caso più poetica e raffinata (e comunque anche meno ironica).
La diligenza dell'esecuzione (assieme ai materiali, sempre più eterei) produce dei veri e propri capolavori che con nonchalance - davvero molto orientale - interrogano (e mettono in discussione) il comune senso dello spazio che ci avvolge. Un sistema il suo, che nel tempo, diventa via via sempre meno mera costruzione geometrica e invece sempre più una sofisticata creatura organica e vibrante. Visitando la mostra (assai generosa di esempi) si può cogliere con facilità questo tipo di evoluzione che si sviluppa in forme sempre nuove. La griglia può felicemente diventare una sorta di abito/tunica oppure una scala a pioli verso un cielo invisibile.
riello gattaro
Un elemento essenziale della sua poetica è inoltre la consapevolezza dell'effimero. Le "costruzioni" che allestisce nel momento in cui sono finite - et voilà - si dichiarano pronte ad essere naturalmente smontate, risucchiate dal vuoto. Sculture dunque inevitabilmente e programmaticamente temporanee, come fossero degli incantesimi di qualche fiaba dell'Estremo Oriente.
Ha poi una sua tutta propria diffidenza per il colore. Lo usa raramente: quasi tutta la sua produzione si affida alle gradazioni di grigio. Al massimo fa capolino saltuariamente qualche colore "naturale" come quello della carta non-sbiancata o quello delle corde che adopera.
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Rimane comunque piuttosto salda la vigilanza attiva dell'artista rispetto alla discriminazione di genere (femminile): frequenta a New York Ana Mendieta e gli ambienti artistici più impegnati sui diritti civili. Questa attenzione si traduce in numerose performance. Insomma una parte del suo lavoro si sposta, sempre con molta personalità, verso gli ambiti della Body Art. L'ombrello è un oggetto distintivo che ricorre spesso in questo suo periodo creativo. Tutta la fase è ben documentata al Madre; sono particolarmente belle alcune foto visibili sui vetri delle finestre del Museo che mostrano la Miyamoto in azione.
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All'alba del nuovo secolo l'artista ri-scopre il kimono (abito tradizionale che da giovane ovviamente ben conosceva) come forma di espressione artistica. In mostra un suo kimono in bianco e nero che riproduce il manto di uno dei suoi amati gatti (l'Arte e i felini sono due entità che sembrano andare sempre molto d'accordo...)
Mostra assolutamente notevole che merita (per chi non fosse di Napoli) un viaggio.
KAZUKO MIYAMOTO
MADRE (Museo d'Arte Contemporanea Donnaregina)
Via Luigi Settembrini 79, Napoli
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Fino al 9 Ottobre 2023