Giorgio Gandola per “La Verità”
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«L'ho capito giorno dopo giorno, quando ho visto il gruppo diventare un monolite. Un lavoro fideistico». A Salerno va in scena l'altro scudetto, quello impressionista e arcitaliano di Walter Sabatini, senza potenze straniere e private equity fra i piedi.
A Salerno si respira l'aria di un miracolo vero, una salvezza da follia cominciata con una frase non proprio beneaugurante del Franco Califano dei manager: «Siamo ultimi, soli e al freddo. Abbiamo il 7% di possibilità di non tornare in B». È il 10 gennaio, il giorno zero. Quella percentuale diventa un'icona, oggi i tifosi l'hanno stampata sulla maglietta e sul cuore. È il punto di partenza di un'impresa diventata realtà all'ultima giornata nel modo più assurdo: perdendo 4-0 in casa dall'Udinese. Ma la fede è proprio quella cosa lì. Il resto è noia.
danilo iervolino
A fine dicembre la Salernitana è straultima e rischia di essere espulsa dal campionato, il bipresidente laziale Claudio Lotito non riesce a vendere e solo la minaccia della Federcalcio smuove le acque. Mentre i giornali azzardano la nuova classifica senza i granata campani (massima depressione) arriva Danilo Iervolino, finanziere e imprenditore (università telematica Pegaso) che prova a risollevare e motivare un ambiente sfinito.
walter sabatini davide nicola danilo iervolino
Primo acquisto, suo nipote Antonio Pio Iervolino dall'Imolese, passiamo oltre. L'idea meravigliosa è quella di affidare le chiavi del negozio a un vecchio lupo di mare come Sabatini, nella speranza che tra una frase bohémienne e una voluta di vapore acqueo della svapo riesca a nascondere la retrocessione dentro un'aura di sconfittismo e nobiltà.
federico fazio
Invece lui apre il taccuino dei ricordi e degli amici, comincia a telefonare e in una settimana cambia faccia alla squadra: confeziona 10 acquisti (da Ederson a Simone Verdi, da Luigi Sepe a Federico Fazio, da Ivan Radovanovic a Pasquale Mazzocchi) e li mette a disposizione di Davide Nicola, un allenatore intelligente e moderno, capace di creare brividi caldi. Domenica dopo domenica, Salerno vola.
diego perotti
Cinque mesi per un'impresa, una vita a bocca aperta, niente fumo solo arrosto. Oggi Sabatini può mettere il punto esclamativo con la voce roca da bluesman. «Quando ho preso in mano la situazione mi hanno chiamato in tanti dicendo che stavo facendo una follia, così mi hanno caricato ancora di più. Quindi li ringrazio». La salvezza della Salernitana sta lassù in cima al suo orgoglio. «La metto al primo posto fra i successi della mia carriera, pura utopia. È stata la mia migliore performance, cosa che mi legittima a continuare. Se non fosse accaduto mi sarei messo in discussione».
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Invece all'ultima giornata il Cagliari non va oltre lo 0-0 col Venezia già retrocesso. Salvi.
Ma non è la premiazione sul traguardo a gratificarlo, bensì il ciclista in fuga. «Il lavoro fideistico giorno dopo giorno mi ha fatto capire che quel 7% poteva diventare 100%». È il giorno del Walter, 67 anni, barba da profeta, parlata da intellettuale fanè della beat generation, uno che davanti alla quindicesima sigaretta spenta dentro una decina di tazzine di caffè ripeteva: «Ho il cervello di sinistra e il corpo di destra, sempre in conflitto».
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Oppure: «Il calcio per me è vita, è una forma d'arte attraverso cui mi esprimo». Uno così, alternativo dalla nascita, due anni fa ha dovuto smettere con i vizietti per via di un tumore. Ha battuto anche quello ai supplementari perché «ho fatto un compromesso con Dio». Per capire il ds più originale, antico e sornione d'Italia basta farsi spiegare come imparò a fumare: «Mio padre tornava dal lavoro alla Perugina e mi abbracciava. Amavo quell'impasto di fumo e cioccolato, era il profumo della mia infanzia. Così ho cominciato a tenere da parte i mozziconi e finirli di nascosto, uno stordimento bellissimo». La carriera dell'irregolare per antonomasia parte da Perugia, calciatore normale nella squadra dei puri e maledetti.
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Impara a leggere libri da Paolo Sollier («Mi mise in mano Cent' anni di solitudine, non ho più smesso e ho finito per recitare Pier Paolo Pasolini in piazza»); conserva in tasca una foto con Renato Curi, che un giorno crollò in campo come Christian Eriksen ma non si rialzò più. «La tengo perché sembra che quella luce bianca lo inghiotta, e infatti così accadde».
Quando ricorda non riesce a trattenere una lacrima. Il Walter dà il meglio da direttore sportivo perché ha una dote rarissima: nelle pepite grezze riesce a vedere il campione. A Perugia svezza Gennaro Gattuso, alla Lazio lancia Alessandro Nesta e Marco Di Vaio. Al Palermo battezza Javier Pastore (pagato 6 milioni all'Huracan e venduto al Psg per 43) e Josip Ilicic. Alla Roma valorizza gente come Momo Salah, Miralem Pjanic, Edin Dzeko, Alexander Kolarov, Radja Nainggolan, Marquinhos, Alisson, oggi definito il miglior portiere del mondo.
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E costruisce la squadra che arriverà in semifinale di Champions senza di lui. Nel curriculum ha un paio di flop: scambia Erik Lamela per Omar Sivori e strapaga Juan Iturbe, rivelatosi un mediocre. In quegli anni lo Zdenek Zeman dei dirigenti diventa un guru, addomestica giornalisti e calciatori. Adora Francesco Totti («È una divinità, luce sui tetti di Roma») ma sotto sotto è il primo a spingere perché smetta. A differenza di Luciano Spalletti se la cava con una frase da paraguru: «Non volevo assistere al suo declino, ma non capivo che lui si divertiva. Gli chiedo scusa».
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Nell'era degli algoritmi, Sabatini è ancora un uomo di campo, impermeabile alla Humphrey Bogart e occhio svelto. «Ammiro la logica, ma se a dettare le scelte del mio lavoro è un software che tratta gli uomini come numeri e come pezzi di ricambio, io non ci sto. Se devo comprare qualcuno e sbilanciarmi, devono poter contare anche il mio occhio e la mia riflessione. Uno sciamano sa, per altre vie».
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Lo stregone che temeva di avere perso il fluido magico nelle ultime stagioni (prima con i freddi cinesi dell'Inter, poi con il Viperetta a Genova sponda Samp, infine con il canadese Joey Saputo a Bologna) oggi guarda la classifica da Salerno ed è felice. Vede il senso di un trionfo, forse il senso di una carriera. Ha trasformato il 7% in un bingo, nessuno squalo di Wall Street ci riuscirebbe. Il lavoro fideistico è compiuto.
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