Paolo Condò per la Repubblica – Estratti
atalanta bayer leverkusen gasperini con la coppa
Se per molti anni abbiamo insistito sul fatto che all'Atalanta mancasse la conquista di una coppa per definire compiuto lo straordinario ciclo di Gian Piero Gasperini, non era certo per sminuirlo.
Quel che ha detto il tecnico subito dopo la conquista dell'Europa League, «quest'anno non hanno vinto solo l'Inter e la Juve, ha vinto il Bologna perché è arrivato in Champions e ha vinto il Verona perché si è salvato», è una verità da stampare a caratteri cubitali: vince chi raggiunge il proprio obiettivo, che non per tutti può essere lo scudetto.
Ma per quello che ha fatto nelle ultime otto stagioni l'Atalanta meritava una coppa, nel senso di un premio tangibile da esporre perché le prossime generazioni capiscano solo vedendolo l'eccezionalità di questo periodo.
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Per tre volte l'Atalanta era arrivata a Roma senza vedere il Papa: la deviazione irlandese — il cui peso specifico supera di netto una Coppa Italia, anche perché la rivale battuta è la squadra dell'anno in Europa — chiude il cerchio perfetto aperto quel giorno di ottobre del 2016, quando Gasperini in grave difficoltà scelse di giocarsi il futuro con una squadra di ragazzi. È più facile insegnare il coraggio quando il primo coraggioso sei tu.
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Molte volte in questi otto anni Antonio e Luca Percassi devono essersi sorrisi nel ripensare a quei giorni, e a come la pazienza dimostrata dando un'altra chance al loro nuovo allenatore — dopo cinque giornate l'Atalanta era penultima — li abbia condotti a traguardi inimmaginabili. L'Europa League con partecipazione alla prossima Supercoppa, tre terzi posti in campionato, i quarti di Champions, tre finali di coppa Italia, il rispetto di Guardiola, gli applausi di Klopp, i complimenti di Xabi Alonso: tutto scorre, ma le memorie restano. Da mercoledì c'è una coppa ad attivarle per sempre.
È noto a tutti che per il complicato (ma non così tanto) meccanismo delle qualificazioni alle prossime coppe europee, la posizione in cui l'Atalanta chiuderà il campionato può aprire o meno alla Roma — sesta classificata comunque vada l'ultimo turno — un'ulteriore porta per la Champions League. Sperare che succeda è umano, perché sei iscritte alla coppa più nobile costituirebbero un fatto storico e prezioso per l'immagine competitiva del calcio italiano.
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Premesso questo per evitare ipocrisie, l'Atalanta non ha alcun obbligo morale né convenienza economica nel rallentare: ci sono 5-6 milioni che ballano fra terzo e quinto posto sommando i premi piazzamento per il campionato con i diritti tv europei (la distribuzione è cambiata, non c'è più il cannibalismo indotto dal vecchio market pool), e dunque la Roma deve sperare nell'alta motivazione del Torino domenica a Bergamo — la Conference è vicina — più che nell'accondiscendenza di Lookman e compagni.
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Di certo un contingente di 9 squadre nelle coppe (6 più 2 più 1) implicherebbe una stagione con mezza Serie A in campo due volte alla settimana. Molto stimolante. Due anni fa la Roma vinse la Conference riallacciando un discorso lungamente interrotto. L'anno scorso siamo arrivati a tre finali: non ne abbiamo portata a casa nessuna, ma intanto c'eravamo.
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Quest'anno l'Atalanta ha vinto l'Europa League, la Fiorentina si gioca la Conference mercoledì, è opinione comune che l'Inter abbia sacrificato un posto nelle prime quattro della Champions per blindare lo scudetto e il ranking Uefa ci vede in testa. I problemi del nostro calcio restano pressanti, ma le sue potenzialità non sono da meno.
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