Angela Mauro per www.huffingtonpost.it
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Che fare quando si è bloccati all'Europarlamento, mentre fuori Strasburgo si trasforma in una città fantasma, degna dei romanzi gialli di Fred Vargas? Meglio darsi all'alcool. Non è una battuta, ma è quello che è avvenuto ieri notte qui alla sede parlamentare dell'Ue nella cittadina francese, quando, subito dopo l'attentato avvenuto in centro, le autorità hanno deciso di chiudere le porte. Tra le 2 e le 3mila persone, parlamentari e assistenti, addetti alla sicurezza e giornalisti, sono rimasti chiusi dentro per ragioni di sicurezza. E si sono riversati in gran parte al bar.
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Sono i racconti dell'indomani, in una città che pian piano cerca di ritornare alla normalità, tra controlli che in centro vanno avanti a singhiozzo: ora ci sono, ora non ci sono. Ma questo lo vediamo più avanti. E' invece surreale la storia dell'attentato per come è stata vissuta dentro il Parlamento europeo. In poche ore l'edificio si è trasformato in un bivacco. Fonti di Huffpost, raccontano di bicchieri e bottiglie di Crémant - champagne francese, pare sia andato per la maggiore ieri notte - lasciate in giro un po' ovunque. Si racconta di europarlamentari e assistenti intenti ad ammazzare il tempo al bar, ingannare l'attesa di notizie che non arrivavano: centellinate dalla prefettura di Strasburgo che ha avuto il controllo delle operazioni in loco e anche delle informazioni, non solo per la stampa ma anche per i parlamentari.
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Anche gli eurodeputati insomma sono rimasti a bocca asciutta di news per ore. Pochissimo filtrava dentro, aumentando evidentemente la sensazione di sbandamento di una istituzione europea già debolissima di per sé e, in questo momento storico, emblema di una Europa debole. Un misto di sensazioni, anche panico: meno si sa, più si è nervosi. Il bar ha dato una risposta. E così, fino alle 3 del mattino, hanno passato la serata bevendo per esorcizzare i timori: per gruppi di nazionalità, i britannici da una parte, gli austriaci dall'altra e via così.
Fino a quando alle 3 il presidente Antonio Tajani decide di riconvocare tutti in plenaria per ordinare le uscite. Era infatti arrivato il via libera dalle autorità francesi: porte aperte, si può tornare all'hotel, a casa. Il Parlamento mette a disposizione bus e macchine per portare a destinazione tutti, parlamentari, assistenti, giornalisti, addetti alla security. Tutti scortati dalla polizia. Ma giustamente Tajani vorrebbe dare un ordine a tutte queste uscite, per evitare la ressa ai controlli. Dunque, a notte fonda e dopo alcuni litri di Crémant in pancia, plenaria. La proposta del presidente è di far uscire prima i deputati, poi gli assistenti, poi i giornalisti ecc. Ma incredibilmente su questo, con tutto quello che è già successo fuori, si scatena il dibattito.
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Ne nasce una discussione su chi deve uscire prima, chi dopo. Un dibattito poi sull'Europa. Chi urla all'Europa "che è unità nella diversità", chi parla dei "valori europei: la libertà, la solidarietà ecc". E fin qui, ci sta. Ma poi si va nel merito dell'ordine delle uscite. "Io non uscirò mai senza i miei assistenti! Prima gli assistenti!", urla in aula l'eurodeputato del Pd Daniele Viotti. E a quel punto tutti diventano eroi al grido di 'prima gli assistenti'. Addirittura c'è chi comincia a chiedere a Tajani informazioni specifiche, pratiche. Tipo: "Ma ci posso arrivare nella via di casa mia?". Imbarazzante. Un eurodeputato, che interviene verso la fine della seduta, si ostina a parlare nonostante gli evidenti segni di ebrezza lasciati dal Crémont. Ancora più imbarazzante.
La seduta dura mezz'ora, diventa l'occasione per fare sfoggio di tesi politiche con pretese filosofiche su quella che invece è solo un'esigenza pratica. Finisce che si esce un po' tutti insieme, nullo lo sforzo di Tajani. I bus accompagnano tutti verso il centro, ognuno riesce a raggiungere i propri 'rifugi'. Qualcuno però decide di dormire addirittura dentro al Parlamento Europeo, come la capo delegazione del Pd Patrizia Toia. Per sicurezza.
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Intanto, mentre in aula si discute senza aver visto la situazione fuori, senza cognizione di causa, un po' al buio e dunque con paure amplificate, in centro le autorità decidono di smontare i posti di blocco.
Quando intorno alle 3.30 del mattino lasciamo il palazzo della Prefettura di Strasburgo dove il ministro degli Interni Christophe Castaner ha appena rilasciato una breve dichiarazione alla stampa, non troviamo più i ponti bloccati. Il centro è incredibilmente percorribile. Eppure, come ha spiegato lo stesso Castaner, è "ancora in corso la caccia all'attentatore", indentificato come Cherif Chekat, 29enne, radicalizzato islamico e schedato con la lettera 'S', vale a dire potenziale minaccia per la 'sicurezza dello Stato'. Ma i ponti e le strade del centro, nella notte, sono libere.
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Le possiamo percorrere per tornare al luogo del delitto in rue des Grandes-Arcades, il posto dove l'attentatore ha sparato per la prima volta: uccidendo. E' la via che conduce al mercatino di Natale di Place Kléber, finito sotto attacco: arrivandoci alcune ore prima, mezz'ora dopo i fatti, vediamo le bancarelle con la mercanzia esposta, lasciate incustodite. Ovvio che i venditori sono dovuti scappare, senza poter raccogliere nulla. Scena triste che stride con le luci del grande albero di Natale che continua imperterrito a brillare di colori. Ecco solo qui, a notte fonda, c'è la polizia e c'è anche l'esercito: la zona è circoscritta, non ci si può avvicinare. Il resto del centro di Strasburgo è deserto e spettrale, come in un giallo della francese Vargas, appunto.
Ma del resto anche oggi i controlli vanno e vengono in centro. Al pont du Corbeau non ce ne sono, intorno alle 10 del mattino. Per poi apparire quasi un'ora dopo. Alcuni gilet gialli, non in protesta, ma ligi al dovere, controllano le borse di chi va verso il centro. Da Parigi il governo rifiuta di chiamare lo stato di emergenza, come successe per gli attentati al Bataclan il 13 novembre 2015. Ma Parigi è comunque sotto assedio, come tutta la Francia, come Strasburgo, piccola cittadina "simbolo di pace", dice Tajani stamane in aula prima di indire un minuto di silenzio a mezzogiorno ed esortare i parlamentari a "continuare i lavori: vogliamo reagire come rappresentanti dei cittadini dell'Ue parlando del futuro dell'Ue come da programma. L'Ue bisogna cambiarla, ma non distruggerla: è l'unico modo per dimostrare che la forza vince contro la violenza".
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Ma naturalmente lo sforzo per tornare alla normalità, in uno Stato francese già piegato dalla rivolta dei 'gilet gialli', non è semplice. Ci sono le prime avvisaglie di polemica sulla gestione della sicurezza. Marine Le Pen, leader di Rassemblement national, definisce i fatti di Strasburgo un "massacro islamista" e chiede un "cambiamento radicale" nelle politiche di sicurezza che sono "vacillanti".
Poi ci sono anche le provocazioni, ma in questo caso non cadono totalmente a sproposito. In aula a Strasburgo il leghista Angelo Ciocca - l'europarlamentare che il giorno della bocciatura del bilancio italiano da parte della Commissione Ue brandì la scarpa contro Pierre Moscovici per calpestare le sue carte - oggi in aula annuncia che indosserà un "gilet giallo" e lascerà "il Parlamento europeo per tornare in Italia". Perché? "E' inaccettabile e non possiamo fare finta di niente davanti ad un'Europa e ad un governo, quello francese, incapace di proteggere i cittadini...Non possiamo continuare i lavori come se niente fosse. Venga qui Macron a spiegare come sia possibile che un criminale schedato dalle forze dell'ordine francesi e tedesche e con oltre 20 condanne alle spalle, possa agire indisturbato nel cuore dell'Europa, togliendo la vita a cittadini innocenti".
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Del resto, qui ognuno dice la sua. Un gruppo di ragazzi vicini ai 'gilet gialli' si chiede "perché tanta rigidità contro la nostra protesta, quando un attentatore riesce a scappare in una cittadina in fondo piccola". Gli stessi 'gilet gialli' diffondono sui social la teoria del complotto: l'attentato sarebbe stato organizzato ad arte per sabotare la protesta. Il governo si dice "indignato" dalle illazioni. Christiane Schnabel, una gentilissima signora di Strasburgo che incontriamo in un caffè del centro e che ci racconta come "già nel 2000, prima delle Torri gemelle, la cittadina francese fu teatro di un tentato attacco terroristico di matrice islamica, sventato dalle forze dell'ordine", ringrazia gli addetti alla sicurezza e spinge per il ritorno alla normalità: "Oggi il mercatino di Natale è chiuso, giusto. Ma domani va aperto: dobbiamo reagire". Anche perché già c'è questa protesta dei 'gilet gialli' che ha piegato la Francia, ci dice preoccupata: "Ho votato Macron ma devo dire che ha sbagliato all'inizio togliendo le tasse ai ricchi...".
ALESSANDRA MUSSOLINI
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Un paese confuso, in un'Europa debole e alle prese con tanti fronti: dalla rivolta francese, al caos Brexit fino al braccio di ferro con l'Italia sulla manovra economica. Meglio darsi al bar?
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