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    L’AUTOCENSURA DEL “WASHINGTON POST” SU HAMAS – IL QUOTIDIANO AMERICANO, DI PROPRIETÀ DI JEFF BEZOS, HA RIMOSSO DAL SUO SITO UNA VIGNETTA CHE RITRAE UN TERRORISTA DI HAMAS CHE SI È LEGATO AL CORPO DONNE E BAMBINI, COME SCUDI UMANI. SCOPPIA LA POLEMICA – RAMPINI: “L’AMERICA HA LA MASSIMA TUTELA DELLA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE, IL PRIMO EMENDAMENTO. LA SUA PROTEZIONE SI FERMA DAVANTI A HAMAS? IL WASHINGTON POST EBBE UN RUOLO NELLA CADUTA DEL PRESIDENTE NIXON PER LO SCANDALO WATERGATE. OGGI BATTE IN RITIRATA QUANDO SI TRATTA DI FUSTIGARE IL TERRORISMO ISLAMICO?


     
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    Estratto dell’articolo di Federico Rampini per il “Corriere della Sera”

     

    vignetta su hamas rimossa dal washington post vignetta su hamas rimossa dal washington post

    L’America ha la massima tutela della libertà di espressione, il Primo emendamento. La sua protezione si ferma davanti a Hamas? Il Quarto potere esercitò un compito di vigilanza sui leader. Il Washington Post ebbe un ruolo nella caduta del presidente Nixon per lo scandalo Watergate. Oggi il Post batte in ritirata quando si tratta di fustigare il terrorismo islamico?

     

    I dubbi nascono dalla vignetta che il quotidiano — di proprietà di Jeff Bezos (Amazon) — ha deciso di non pubblicare, dove un terrorista di Hamas si è legato al corpo donne e bambini, scudi umani. Si può discutere sulla qualità del disegno, sui tratti del jihadista. Ma questa discussione non è avvenuta.

     

    La redazione del Post è insorta, soprattutto i giovani, e i vertici hanno fatto marcia indietro, spaventati dalla rivolta interna. Il Post è un giornale progressista, ha fatto battaglie contro Trump.

    Sul Medio Oriente cerca un delicato equilibrio: difende il diritto all’esistenza di Israele; condanna l’antisemitismo; dà massima visibilità alle vittime civili fra i palestinesi e sostiene il loro diritto ad avere uno Stato. Tutto ciò non basta per una parte della redazione.

     

    washingtonpost washingtonpost

    Quando Trump era presidente il Post si lanciò nel «giornalismo resistenziale»: addio alle sfumature. Ora una parte di giornalisti americani abbandonano i principi antichi della deontologia, vogliono che i media prendano posizione, che dipingano un mondo diviso tra buoni e cattivi. Israele e l’Occidente sono l’impero del male; gli altri sono vittime.

     

    La vicenda della vignetta si situa in questo contesto, le redazioni sono soggette ai diktat della parte militante. È il parallelo con quel che accade nelle università.

     

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    A rendere ossessiva la difesa dei musulmani, è intervenuta la saldatura tra gli estremisti afroamericani e i filo-palestinesi. Per il movimento ultrà Black Lives Matter, neri e palestinesi sono vittime della stessa oppressione dell’uomo bianco. L’America rivive gli anni Sessanta, che nel mondo giovanile furono segnati da un’egemonia dell’estremismo.

     

    jeff bezos washington post jeff bezos washington post

    Allora però le redazioni dei giornali rappresentavano l’establishment moderato-conservatore, ancorché illuminato e attento verso la contestazione. Mezzo secolo dopo il cerchio si è chiuso: l’establishment dei miliardari digitali come Jeff Bezos, Larry Page (Google) e Mark Zuckerberg (Meta-Facebook) sostiene il politicamente corretto; l’accademia è in mano a un corpo docente molto schierato oppure impaurito dalla pressione degli studenti; nelle redazioni sono avvenute purghe di moderati. La censura di una vignetta è troppo normale per fare scandalo.

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