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    “SCROFA”; “TI DOVREBBERO STUPRARE”; “CESSA SCHIFOSA” – L’AVVOCATA E ATTIVISTA CATHY LA TORRE HA CONSERVATO IN UN ARMADIO TUTTI GLI INSULTI RICEVUTI DA MICHELA MURGIA NEGLI ULTIMI ANNI: INSIEME ALLA SCRITTRICE, HA FATTO UNA BATTAGLIA LEGALE, IN SEDE CIVILE, CON GLI HATER, CHE QUASI SEMPRE ABBASSAVANO LA TESTA DI FRONTE ALLE CAUSE, E CORREVANO A SCUSARSI – “NON AVEVO CAPITO… NON VOLEVO OFFENDERE.  ABBIAMO DECINE DI LETTERE DI SCUSE IN CUI ODIATORI E ODIATRICI SI PENTIVANO, MA SOLO QUANDO SI TRATTAVA DI DOVER METTERE MANO AL PORTAFOGLIO…”


     
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    Estratto dell’articolo di Elisa Messina per www.corriere.it

     

    CATHY LA TORRE MICHELA MURGIA CATHY LA TORRE MICHELA MURGIA

    Se si potesse misurare l’odio di cui Michela Murgia è stata bersaglio negli anni in metri cubi, quanto sarebbe grande? Almeno tanto quanto entra in un armadio. Che esiste: è nello studio legale di Cathy La Torre, avvocata, attivista, curatrice testamentaria e amica della scrittrice scomparsa il 10 agosto per un tumore.

     

    Vi sono accatastate tutti fascicoli giudiziari delle cause intentate nell’arco degli ultimi quattro anni a chi la insultava gratuitamente sui social: decine di cause vinte e di cause in corso. Metri cubi di fogli che raccontano le ondate di insulti che la investivano dopo una posizione espressa in tv, o sui social e spesso lasciati visibili sulle bacheche pubbliche di personalità politiche o di testate giornalistiche. […]

     

    UNA DELLE LETTERE DI SCUSE RICEVUTE DA MICHELA MURGIA UNA DELLE LETTERE DI SCUSE RICEVUTE DA MICHELA MURGIA

    […] insulti alla persona con epiteti violenti, frasi sessiste, attacchi all’orientamento sessuale (“scrofa”, “ti dovrebbero stuprare”, “cessa schifosa”, “più larga che alta”). Parole che mai entravano nel merito delle idee espresse ma prendevano la scorciatoia dell’insulto ignobile. […]

     

    […] «Poi nel 2019 - racconta La Torre - decidemmo, insieme, che non potevamo più ingoiare e basta. Bisognava rispondere in sede giudiziaria. Non con querele penali, bensì per via civile. Perché Michela ed io eravamo convinte che il reato di diffamazione sarebbe da depenalizzare e non dovrebbe intasare i tribunali penali che si occupano di reati più gravi.

     

    SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA SULLE OFFESE A MICHELA MURGIA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA SULLE OFFESE A MICHELA MURGIA

    Meglio agire per via civile con forme di giustizia riparativa ovvero attraverso richiesta di risarcimento danni e richiesta di scuse. «Così, insieme, io per le mie offese, lei per le sue abbiamo avviato una sorta di esperimento giuridico». Esperimento che è anche una battaglia culturale e politica perché insieme, avvocata e scrittrice affiancarono alle cause la campagna «Odiare ti costa»: «È una questione di educazione digitale - spiega l’avvocata - perché non siamo consapevoli del male che fanno le parole che usiamo troppo disinvoltamente sui social».

     

    Così, dopo le indagini […] per profilare gli haters, sono partite le prime lettere con richiesta di mediazione civile. «In quella sede si può trovare un accordo: per esempio con una lettera di scuse e una donazione in denaro a un’associazione decisa da Michela. L’80 per cento dei casi si sono risolti così. Michela ha partecipato a molte mediazioni e ogni volta si stupiva di come i tentativi di giustificazione fossero sempre gli stessi: “non avevo capito… non volevo offendere…”. Abbiamo decine di lettere di scuse in cui odiatori e odiatrici si pentivano, ma solo quando si trattava di dover mettere mano al portafoglio».

    MICHELA MURGIA CATHY LA TORRE MICHELA MURGIA CATHY LA TORRE

     

    Si potrebbe tracciare anche un profilo medio dell’odiatore di Murgia: over 50, maschio o femmina in egual misura, politicamente orientato a destra anche se non sono mancati quelli di estrema sinistra. E quando capita che l’odiatore non si presenta alla mediazione, oppure si presenta ma rivendica quello che ha scritto, allora si valuta se procedere con la causa civile per il risarcimento del danno subito: «Vinte tutte. E con risarcimenti altissimi per cause di questo tipo: fino a 25mila euro. Non è semplice quantificare un danno intangibile, non c’è un braccio rotto, o un’auto fracassata, bisogna fare una valutazione sulla reputazione della persona offesa, il suo peso professionale e intellettuale, il suo seguito... Le ultime sentenze erano bellissime in questo senso, ma Michela non ha fatto in tempo a vederle».

     

    MICHELA MURGIA MICHELA MURGIA

    In effetti sono sentenze esemplari nella loro formulazione: In una delle ultime, pronunciandosi in seguito a un insulto «razzista e sessista» ancora leggibile sulla bacheca Facebook di Matteo Salvini, il giudice parla di «mero e deliberato attacco all’onore e alla reputazione della sig.ra Murgia» e motiva la condanna precisando che «la volgarità del commento in questione è portatrice di una valenza obiettivamente denigratoria, che non può in alcun modo risultare coperta dall’ombrello del diritto di critica».

     

    […] In certi periodi la scrittrice era letteralmente sommersa dall’odio. Racconta La Torre: «[…] Il 2021 fu terribile. Fu insultata per aver criticato la scelta di nominare il generale Figliuolo alla guida della campagna vaccinale, addirittura per le opinioni su Battiato. Le conseguenze sullo stato d’animo della scrittrice erano forti. «Ricordo che nel 2021 aveva iniziato a perdere peso, quando andavamo a cena non mangiava e vomitava spesso. Le dicevo di continuo: “devi farti visitare” e lei mi rispondeva: “è psicosomatico!” Riconduceva il malessere, il vomitare, l’inappetenza all’odio e agli attacchi social». E lo ha voluto narrarlo quel malessere, spiega Giammei: «Il racconto sul vomito nell’ultimo libro, “Tre ciotole” nasce lì: è ispirato proprio dalle reazioni fisiche che le provocavano i commenti di odio e il bullismo di cui era vittima».

     

    MICHELA MURGIA IN OSPEDALE MICHELA MURGIA IN OSPEDALE

    Ma come scoprì poco dopo c’entrava anche un tumore. «Eravamo nel periodo della pandemia e Michela non ebbe veloce accesso ai controlli medici» racconta La Torre. Ma quel profondo malessere che gli attacchi le provocavano da mesi era reale, tangibile da tempo. E adesso? L’armadio della vergogna resta aperto. «Porteremo avanti le cause rimaste in sospeso e ne inizieremo altre per le quali Michela ci aveva dato già l’ok […]»

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