Gabriele De Stefani per “la Stampa”
Daniel Gros
«Riformare il patto di stabilità sarà molto difficile. E non è neanche il momento giusto per farlo».
Il patto Draghi-Macron per la riscrittura delle regole europee di bilancio trova scettico Daniel Gros, economista del Center for european policy studies. Che cosa non la convince?
«L'iniziativa non mi stupisce, ci può anche stare puntare a qualche aggiustamento come alzare la soglia dal 60 al 100% del rapporto tra debito pubblico e Pil. Ma mi sembra complicatissimo pensare di arrivare a mettere d'accordo tutti i ventisette per una riforma in profondità.
mario draghi al senato
Poi chiaramente bisognerà vedere quale sarà la proposta che Italia e Francia vorranno avanzare. Ma non arrivare alla riforma non sarebbe un male a mio avviso».
Perché?
«È come se un'impresa volesse fare un investimento quando non sa nulla di cosa accadrà al mercato di lì a pochi mesi: perché non aspettare? Noi veniamo da venti anni di bassa crescita, bassa inflazione e bassi tassi di interesse.
emmanuel macron mario draghi trattato del quirinale 3
Un elemento, quest' ultimo, che dava l'idea che il debito non abbia pericoli né costi. Ora abbiamo un'economia in grande ripresa, i tassi di interesse sono destinati a muoversi, i mercati torneranno più turbolenti e già per l'Italia il rischio sta iniziando ad aumentare.
Nessuno può dire in che condizioni saremo tra un anno: che senso ha allora correre a fare una riforma che potrebbe rivelarsi subito superata dai fatti e non più adeguata?».
mario draghi al senato 1
Tra un anno però torneranno in vigore le vecchie regole, pensate per un mondo che non c'è più, stravolto dalla pandemia. Non è rischioso?
«E qual è il pericolo? Nel 2023 paradossalmente potremmo avere perfino un contesto in cui la crescita nominale renderà più facile soddisfare i criteri sul debito, benché aumentato in questi anni di lotta alla pandemia. Un anno oggi è un tempo lunghissimo».
PAOLA ANSUINI RETWITTA L'ARTICOLO DELL ECONOMIST
La Bce resta prudente sul ritiro degli stimoli avviati con la pandemia. Condivide?
«Le previsioni di lungo periodo sono molto incerte, ma una cosa è certa: l'economia è ripartita, dunque non siamo più in una situazione per cui ci si debba preoccupare di un'inflazione troppo bassa.
Io credo che da parte della Bce serva equilibrio: non schiaccerei né il freno né l'acceleratore con troppa forza. Però è l'ora di dare qualche segnale, perché quelli erano strumenti di emergenza e ora l'emergenza è alle spalle. Il ritiro degli stimoli andrebbe anticipato».
Draghi e Macron puntano anche a coinvolgere la Germania in un patto a tre per la riforma del Patto di Stabilità. Cosa si aspetta dal nuovo governo tedesco di Olaf Scholz?
«Temporeggerà. Non potrà fare altrimenti, perché l'incertezza c'è per tutti e perché anche Berlino ha bisogno di spendere di più il prossimo anno. Ma nel medio-lungo periodo la Germania vorrà tornare ai freni al debito: è nella Costituzione tedesca ed è un tema politicamente importantissimo nel dibattito del Paese.
angela merkel olaf scholz
Prima o poi Scholz dovrà prendere quella direzione».
Da una parte c'è l'autorevolezza del premier, dall'altra la posizione scomoda dell'Italia. Che margini può avere la leadership di Draghi nel processo di riforme delle regole Ue?
«Il passato di Draghi gli assicura una leadership morale fortissima, ma se guardiamo alla manovra del suo governo, come ha già notato la Commissione Ue, sono previsti aumenti molto significativi della spesa corrente.
Draghi non potrà andare in Europa a dirsi garante di una finanza pubblica che chiede meno rigore in cambio di investimenti, se è il primo ad aumentare la spesa. Come del resto sta facendo Macron. È vero, c'è un'emergenza sociale da contrastare, ma non va fatto a debito».
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I mercati, ieri lo ha rimarcato The Economist, temono il passaggio di Draghi al Quirinale. L'Italia può permetterselo?
«È una scelta e come ogni scelta ha costi e benefici. È come fare debito: a breve termine c'è da sostenere un onere, cioè la sfiducia dei mercati, ma nel lungo periodo c'è il beneficio di avere il garante più autorevole del Paese che per sette anni sarebbe al Colle.
le copertine di the economist contro berlusconi
Però io credo si debba anche guardare più in generale alle scelte che vuole fare il Paese e alla serietà che la classe politica vuole mettere in campo».
In che senso?
«Se l'Italia veramente non facesse le riforme solo perché Draghi lascia un po' prima la guida del governo, direbbe al mondo intero che non è in grado di prendere impegni di lungo termine».