Fulvio Abbate per https://www.huffingtonpost.it
fulvio abbate
La persistenza dell’ex brigatista. Il pervicace terrorista “rosso” votato, un tempo, a colpire il “cuore dello Stato”. Prosaicamente parlando, in ciò che Pasolini definisce la Dopostoria, il già facente parte del cosiddetto “partito armato”, già talvolta lettore delle pagine di Nanni Balestrini, scrittore cui si devono i romanzi-manifesto “Vogliamo tutto” e “La violenza illustrata”, il figlio di una “generazione di insorti”, sembra ormai naturale immaginarlo, nel migliore dei casi, titolare-assegnatario di un portierato, possibilmente in luogo periferico. Ed eccolo lì, ormai emendato dagli antichi crimini, fisso nella guardiola, come già un Cesare Battisti nei giorni del soggiorno parigino.
Pronto a porgere la posta ai condomini, ora al dottor Marcello ora alla signora Maricla, ora a far capannello con chi consegni i volantini pubblicitari e le Pagine Bianche. Amichevole con gli inquilini che, appunto, nel momento del rientro scuotono la testa constatando l’ennesimo plico giunto: “… ancora dall’Agenzia delle Entrate?” Risposta dell’ex: “Temo di sì, dottore.” Tra grazie e buongiorno d’esilio.
raimondo etro
Vanno idealmente immaginati proprio nell’antro della portineria, gli ex terroristi rossi, il calendario della parafarmacia a far da sfondo in luogo della bandiera con la stella a cinque punte. Nel cassetto, magari, i libri pubblicati dalle edizioni DeriveApprodi, così, per leggere e ricordare un po’ i tempi andati, poi l’occhio al sito Carmilla, per tenere in esercizio lo spirito irriducibile, meglio, antagonistico. Questo e poco altro.
Stupisce quindi, nonostante i segni evidentissimi della Caduta, trovarsi a prendere visione delle energie vitali residue di un Raimondo Etro, brigatista sconfitto, che ebbe modo di partecipare all’organizzazione del sequestro Aldo Moro, lo stesso signore che non molte settimane addietro ha apostrofato, sui social, Giorgia Meloni con frasi degne della peggiore grevità da bar-tabacchi - “Nana coatta sgraziata fascia”. Sempre restando su Etro, si scopre ora che questi risulta in procinto di fruire del reddito di cittadinanza.
federica saraceni 2
Lui: “Io il 6 marzo scorso ho fatto domanda alle Poste perché sto affogando, sono un vero povero”. Parola di 62enne, condannato nel 1999 a 20 anni e 6 mesi di carcere per la strage di via Fani, il rapimento di Aldo Moro e l’uccisione del giudice Palma. Ancora lui: “Dopo aver detto tante cattiverie contro Di Maio e i 5 Stelle, per me è una boccata di ossigeno”.
E ancora: “La mia vita l’ho buttata al vento, facendo però pagare il prezzo ad altri che non c’entravano niente. Perciò, se ci saranno proteste e il reddito di cittadinanza mi verrà ritirato, pazienza, non mi opporrò”. Sentito bene? Non si opporrà, parola sua.
Stupisce infine la vis polemica dal medesimo Etro montata, sempre nei giorni scorsi, in diretta con Giuseppe Cruciani su Radio24. Ne riportiamo un ampio, esemplare, stralcio: “Prendo 780 euro e senza questi soldi non riuscirei a vivere, altrimenti non l’avrei chiesto”. Cruciani: Non ti senti a disagio a prendere soldi dallo Stato che hai combattuto? Etro: “È una domanda retorica del cazzo.
FULVIO ABBATE
Che differenza c’è tra l’assegno sociale ed il reddito di cittadinanza? Allora vi faccio una domanda, rinuncio al reddito di cittadinanza e mi metto a fare le rapine? Non rompetemi le palle”. C.: Si può anche lavorare nel privato. E.: “E chi te lo dà un lavoro?” C.: La vedova D’Antona dice che è una vergogna. E.: “Questo è un problema loro. Io sinceramente non ho mai avuto rapporti coi familiari delle vittime”. C.: Ma non è uno scandalo che uno che ha combattuto lo Stato prenda ora soldi dallo stesso Stato? C.: Io almeno non ho contribuito all’omicidio di persone.
E.: “Sei uno stronzo. Ricordati che mi hai cercato tu…. Ma chi cazzo ti si incula, mi hai cercato tu”. C.: Calmiamoci… E.: “No, calmiamoci ’stocazzo. Voglio sapere che cazzo vuoi da me. Mi hai posto la domanda se mi sento a disagio col reddito di cittadinanza? Ti ho detto di no. Non mi sento a disagio, va bene? Mi sento più a disagio a parlare con te…” C.: Ma non ti frega niente dei parenti delle vittime? Perché non rinunci al reddito? E.: “Perché dovrei rinunciare?” sic.
Ecco, su questo zampillio di cortesie ospitali, dove c’è perfino modo di ravvisare la rocciosa intransigenza di chi ritenga di avere combattuto per ragioni addirittura palingenetiche lo Stato Imperialista delle Multinazionali (il paradigmatico S.I.M.) fino a colpirlo, in dissolvenza incrociata sembra quasi di veder scorrere le immagini della cronaca criminale dei cosiddetti, “anni di piombo”.
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Dal cadavere di Mara Cagol sul prato di cascina Spiotta alle immagini di via Mario Fani, dalla polaroid di Aldo Moro nella “prigione del popolo” ai pugni chiusi dei brigatisti orgogliosi dei propri baffi leninisti a favore dei fotografi, le “compagne” non meno determinate, così uscendo dalle gabbie dei tribunali, e molto altro ancora; ogni cosa adesso incoronata da un “vaffanculo” e un rionale “machittesencula?”, materiali linguistici assai più riconducibili al mondo delle “più belle frasi di Osho” che non ai comunicati sormontati dal simbolo della stella a cinque punte, il testo battuto a macchina con testina rotante, evocata perfino da un’ormai remota sigla del Tg3 musicata da Brian Eno. Amen.
Un passo appena e, lasciato Etro alle sue passioni tristi, troviamo il caso analogo di Federica Saraceni, anche lei brigatista, tuttavia dell’ultima ondata, la più paradossale, dissennata, politicamente inconcepibile. Condannata a 21 anni e mezzo di carcere per l’omicidio di Massimo D’Antona e attualmente ai domiciliari, anche lei starebbe ricevendo in questi mesi il reddito di cittadinanza.
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“Ho provato un grande senso di ingiustizia. Non sempre quello che è legale è giusto”, dichiara Olga D’Antona, vedova del giurista assassinato, appunto, dalle Nuove Brigate Rosse il 20 maggio 1999.
E qui, nel teatro della già menzionata Dopostoria, c’è perfino modo di imbattersi nell’ala protettiva paterna. Spiega infatti Luigi Saraceni, magistrato, tra i fondatori di Magistratura democratica: “Prima del reddito di cittadinanza mia figlia percepiva il reddito d’inclusione. Dobbiamo mandarla a fare la prostituta o buttarla in una discarica?”. Nell’attesa che l’insieme dei casi smetta d’essere “oggetto di verifica da parte dei competenti uffici del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero della Giustizia e l’Inps, al fine di accertare l’eventuale presenza di anomalie”, come precisano dal Ministero del Lavoro, lessico burocratico che si specchia nel suo doppio insurrezionalista.
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Resta a tutti noi, oltre la memoria cosciente del dato criminale pregresso dei singoli e d’ogni riflessione sulla stagione del terrorismo, una sensazione di supponente mestizia, dove la metafora assai concreta dell’epilogo della portineria sembra inquadrare uno spettacolo di rottami subculturali, difficili perfino da restituire, da ricontestualizzare, sembra davvero che alla fine la storia del terrorismo si riduca a una questione privata: le famiglie delle vittime, le famiglie dei carnefici, risibile perfino il ricordo che qualcuno potesse prendere sul serio “Stato e rivoluzione” di Lenin o i manuali di guerriglia in vendita nelle librerie Feltrinelli degli anni Settanta. Tristezza da centro sociale occupato con canna fumaria abusiva. Senza bisogno di citare “Le mani sporche” di Sartre, ci pensi se uno di questi, giunto al compimento dell’ “assalto al cielo”, avesse mai preso possesso perfino della portineria del Viminale?
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